Cass. civ. Sez. II, Sent., 19-12-2011, n. 27341Parti comuni dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Pronunciando sulla controversia promossa da P.C. C., proprietaria di una unità immobiliare facente parte del condominio "Edera" sito in (OMISSIS), nei confronti di D.R.P., costruttore dell’immobile e suo dante causa, nonchè di Pi.Ma.Gi., cui il medesimo D.R. aveva venduto un locale di mq. 50 inizialmente destinato a lavatoio stenditoio e trasformato in miniappartamento, il Tribunale di Lecce, con sentenza in data 16 ottobre 2001, dichiarò che il controverso volume tecnico – già destinato, appunto, a stenditoio – lavatoio – era di proprietà condominiale, ordinò ai convenuti di ridurre nello stato quo ante il volume tecnico trasformato e di restituirlo al condominio e dichiarò il D. R. inadempiente agli obblighi di ottenere il certificato di abitabilità ed antincendio, condannandolo al pagamento in favore della P. della somma di L. 10.000.000, oltre interessi.

2. – La Corte d’appello di Lecce, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 10 gennaio 2005, in parziale accoglimento del gravame del D.R., ha rigettato la domanda di danni proposta nei suoi confronti, confermando nel resto l’impugnata pronuncia.

2.1. – La Corte d’appello:

– ha ritenuto il locale stenditoio – lavatoio di proprietà comune, non essendo la presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c., espressamente derogata dai titoli (non rilevando nè che nel regolamento condominiale detta porzione non venga elencata tra quelle comuni, nè il pagamento – in ogni caso non dimostrato – di oneri condominiali da parte del D.R. in ordine a detto bene, nè, ancora, la circostanza che nel preliminare del 18 dicembre 1978 intervenuto tra il D.R. e la P. la proprietà di detto volume tecnico sia rimasta specificamente attribuita al promittente venditore);

– ha sottolineato: che la P., al momento dell’acquisto della porzione di piano, era ben a conoscenza della mancanza della dichiarazione di abitabilità (comunque conseguita in data 1 marzo 2002), essendosi previsto nel rogito che questa non era stata ancora rilasciata e che la relativa pratica sarebbe stata portata a termine a cura e spese del D.R.; inoltre, che la P. aveva sempre pienamente usato e goduto dell’appartamento in questione, senza dimostrare di avere subito conseguenze dannose per la ridotta commerciabilità del bene.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il D. R. ha proposto ricorso, con atto notificato il 15 febbraio 2006, sulla base di due motivi.

La Pi. ha, con controricorso, aderito al ricorso del D. R. e proposto a sua volta ricorso incidentale, affidato a due motivi.

La P. ha resistito con controricorso ad entrambi i ricorsi e proposto ricorso incidentale, affidato ad un motivo.

In prossimità dell’udienza la Pi. e la P. hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

1. – Preliminarmente, il ricorso principale ed i ricorsi incidentali devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., per essere tutte le impugnazioni rivolte contro la stessa sentenza.

2. – Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte d’appello avrebbe errato ad escludere che la proprietà esclusiva del D.R. potesse discendere dall’atto pubblico di compravendita del 25 ottobre 1983, con allegato il regolamento contrattuale di condominio. Per superare la presunzione di comunione, non occorre necessariamente un titolo di acquisto dal quale desumere la destinazione o la funzione del bene, ma è sufficiente fornire la prova della destinazione e della struttura autonoma del bene in questione. La proprietà esclusiva potrebbe essere provata anche a mezzo di elementi obiettivi. Deduce il ricorrente che il volume tecnico, per caratteristiche strutturali e funzionali, non era legato alle altre parti dell’edificio, sia perchè nessuno dei condomini lo aveva usato, ritenendolo escluso dalle parti comuni, sia perchè il costruttore stesso se ne era riservato la proprietà, tant’è che ne aveva modificato la destinazione e aveva proceduto alla sua autonoma alienazione. Inoltre la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che, in base all’atto pubblico di vendita, i sovrastanti volumi tecnici erano indicati come in uso esclusivo e non compresi tra i beni comuni e-lencati nell’annesso regolamento contrattuale.

Con il secondo mezzo, il ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. e 1372 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Con esso si deduce che la P. non ha mai posseduto nè utilizzato i locali tecnici in questione e che il contratto definitivo per atto pubblico, con allegato regolamento contrattuale di condominio, individuava con esattezza l’oggetto del contratto e l’allegato regolamento contrattuale di condominio evidenziava le parti comuni dell’edificio, escludendo i locali tecnici al piano terrazza.

3. – Con il proprio ricorso incidentale, la Pi. denuncia, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e, con il secondo mezzo, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. e 1372 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, proponendo censure analoghe a quelle mosse con il ricorso principale.

4. – I motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale della P. possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati.

Il giudice del merito si è attenuto al principio per cui in presenza di un bene (il volume tecnico destinato a stenditoio – lavatoio) funzionalmente rivolto all’uso ed al servizio comuni di tutti i condomini, perchè ceda la presunzione legale di condominialita, ai sensi dell’art. 1117 c.c., è necessario un titolo dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene (Cass., Sez. 2^, 18 aprile 2002, n. 5633; Cass., Sez. 2^, 7 maggio 2010, n. 11195).

Congruamente motivando in relazione alle risultanze istruttorie e correttamente interpretando gli atti negoziali, la Corte d’appello ha ritenuto che gli elementi su cui fanno leva il ricorrente principale e la ricorrente in via incidentale non sono idonei ad escludere la condominialità.

Non lo è, in particolare, il contratto preliminare intervenuto tra il D.R. e la P., che riservava il detto volume tecnico alla proprietà esclusiva del venditore, in quanto il successivo contratto definitivo di compravendita, che supera il preliminare ed al quale occorre guardare per stabilire l’oggetto del contratto, non reca più detta clausola.

E neppure lo è il regolamento contrattuale condominiale, allegato al contratto definitivo, perchè l’elencazione delle parti comuni in esso contenuta non equivale a riserva di proprietà per le analoghe tipologie di beni (pure esse destinate all’uso e al godimento comune, ma) non menzionate (tra cui lo stenditoio – lavatoio), e, quindi, non costituisce, in relazione a queste ultime, un titolo contrario, preclusivo dell’operatività della presunzione di legge.

Del resto – ed anche sotto questo profilo la sentenza dei giudici di merito va esente da censure – il mancato uso del locale stenditoio – lavatoio da parte della P. o degli altri condomini non fa venir meno nè le intrinseche connotazioni morfologiche del manufatto nè la sua funzionalità al servizio collettivo. Di qui, a fronte della abusiva trasformazione del suddetto bene in un miniappartamento, l’ordine dato dal Tribunale, e confermato dalla Corte d’appello, di ridurre nello stato originario il bene in questione e di restituirlo nella disponibilità del condominio.

5. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale, la P. prospetta omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1226 e 1453 c.c., e dei principi generali in tema di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale. Secondo la ricorrente in via incidentale, il mancato rilascio della licenza di abitabilità costituisce inadempimento del venditore e legittima il compratore a chiedere il risarcimento del danno, a meno che questi non abbia espressamente rinunciato al requisito dell’abitabilità ed esonerato comunque il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza. Il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l’obbligo di dotare il bene della licenza di abitabilità, senza la quale esso non acquista la normale attitudine a realizzare la sua funzione economico sociale.

Nè in senso contrario – aggiunge la ricorrente in via incidentale – potrebbe avere rilievo la consapevolezza dell’acquirente, al momento della stipula del contratto, della mancanza di tale certificazione, in quanto tale circostanza non sarebbe assolutamente rappresentativa della volontà di rinunciare all’azione di risarcimento a favore del venditore. Il fatto che il D.R. abbia ottenuto il certificato in questione dopo quasi venti anni (e dopo la notifica dell’atto di citazione) farebbe emergere inequivocabilmente l’inadempimento, con conseguente obbligo a corrispondere all’acquirente i danni subiti per il ritardo.

6. – Il motivo non coglie nel segno.

E’ esatto che il mancato o ritardato ottenimento, da parte del costruttore – venditore, della licenza di abitabi1ita relativa a determinate unità di un edificio costituisce un fatto potenzialmente dannoso per i proprietari di queste, specialmente in considerazione della ridotta commerciabilità delle medesime, ed è pertanto idoneo a sorreggere una condanna al risarcimento (Cass., Sez. 2^, 14 febbraio 1980, n. 1106; Cass., Sez. 3^, 23 gennaio 2009, n. 1701).

Sennonchè, la Corte territoriale da questo principio non si è allontanata.

La Corte del merito non ha infatti escluso la potenzialità dannosa del mancato tempestivo rilascio del certificato di abitabilità, ma ha escluso la sussistenza, in concreto, del lamentato danno, considerando: (a) che l’acquirente, al momento della stipula, era, per espressa previsione contrattuale, ben a conoscenza del fatto che l’immobile mancava di detto certificato di abitabilità, essendosi pattuito che la pratica per il relativo ottenimento sarebbe stata portata a termine a cura e spese del costruttore, senza l’imposizione di alcun termine al venditore per ottenere la certificazione in oggetto; (b) che l’alienante ha comunque fatto conseguire all’acquirente, sia pure in corso di causa, il certificato; (c) che l’acquirente ha sempre e pienamente usato e goduto dell’appartamento, senza dimostrare di avere subito conseguenze negative per la ridotta commerciabilità del bene.

Si tratta di una valutazione in fatto, sulla concreta insussistenza di conseguenze dannose nel patrimonio dell’acquirente, effettuata con apprezzamento congruamente motivato ed esente da mende logiche e giuridiche. Come tale, essa si sottrae alle censure della ricorrente in via incidentale.

7. – I ricorsi sono rigettati.

L’esito complessivo del giudizio giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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