T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 03-08-2011, n. 2086 Detenzione abusiva e omessa denuncia Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con ricorso depositato in data 25 novembre 2008 il ricorrente chiede l’annullamento del decreto con il quale il Questore di Milano ha disposto la revoca della licenza di porto di fucile uso caccia della quale l’interessato è titolare da 25 anni, in virtù di susseguenti e continui rinnovi.

L’autorità di polizia ha motivato la determinazione assunta richiamando gli atti d’ufficio dai quali risulta, a carico del ricorrente, una sentenza 10 gennaio 1984 di riabilitazione del decreto penale di condanna emesso in data 27 febbraio 1978 e il deferimento in data 2 maggio 2007 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano per le ipotesi di reato di cui agli artt. 336 e 651 c.p. derivante dalla denuncia – querela presentata da agenti di P.S. perché il L., durante un banale dissidio per motivi viabilistici che nemmeno lo coinvolgeva direttamente, "ha assunto un atteggiamento minaccioso ed ingiurioso nei confronti dei querelanti, tale da richiedere l’intervento della forza pubblica".

A sostegno del ricorso l’esponente, dopo aver premesso una diversa ricostruzione dell’episodio indicato nella denuncia (in seguito archiviata dall’A.G). e rappresentato che la Prefettura di Milano non ha dato corso alla contestuale proposta di divieto di detenzione armi, deduce che:

il decreto penale di condanna e la sentenza di riabilitazione non possono costituire validi presupposti della revoca, in quanto fatti anteriori al rilascio del porto d’armi e ai suoi successivi rinnovi. Anche le circostanze oggetto del deferimento non potrebbero giustificare il ritiro del porto d’armi trattandosi di ipotesi di reato che la Procura della Repubblica ha ritenuto insussistenti;

il provvedimento impugnato, in quanto espressione del potere discrezionale di cui agli artt. 11 e 43 T.U.L.P.S., avrebbe richiesto una fase istruttoria di particolare spessore che l’autorità procedente ha omesso di esperire, avendo adottato la misura soltanto sulla scorta di una sentenza di riabilitazione per fatti risalenti e della denuncia subita dall’interessato, senza compiere alcun autonomo accertamento;

il provvedimento è irragionevole e carente di motivazione circa il venir meno del requisito di affidabilità nell’uso delle armi;

l’atto di revoca si pone immotivatamente in insanabile contraddizione con il provvedimento assunto dal Prefetto, che ha ritenuto di non adottare il divieto di detenzione, con ciò confermando la sussistenza dei requisiti di affidabilità in capo al ricorrente.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio depositando documentazione.

Con memoria depositata il 10 giugno 2011 il ricorrente ha esposto osservazioni sulla documentazione in atti e insistito per l’accoglimento del ricorso.

All’udienza il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2) Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.

La revoca del porto di fucile per sopravvenuta inaffidabilità del titolare dell’autorizzazione di polizia in ordine al corretto uso dell’arma da tempo posseduta e per perdita del requisito della buona condotta, può essere conseguente solo ad una valutazione complessiva della personalità del soggetto destinatario dell’atto di ritiro dell’autorizzazione di polizia onde valutarne l’incidenza in ordine al giudizio di affidabilità e/o probabilità di abuso nell’uso delle armi, ciò perché la valutazione della possibilità di abuso, pur fondandosi legittimamente su considerazioni probabilistiche, non può prescindere da una congrua ed adeguata istruttoria, della quale dar conto in motivazione, onde evidenziare le circostanze di fatto che farebbero ritenere il soggetto richiedente pericoloso o comunque capace di abusi.

Tanto premesso, con riguardo alla censura con cui il ricorrente lamenta la mancanza dei presupposti di legge e il difetto di motivazione, la Sezione più volte si è espressa nel senso che la semplice denuncia di reato all’autorità giudiziaria non è solitamente circostanza che da sola possa giustificare i provvedimenti di ricusazione e ritiro del porto di arma per sopravvenuta inaffidabilità del titolare dell’autorizzazione di polizia, che devono essere sorretti da una valutazione complessiva della personalità del soggetto destinatario del diniego dell’autorizzazione di polizia onde valutarne l’incidenza in ordine al giudizio di affidabilità e/o probabilità di abuso nell’uso delle armi. Tale principio può trovare eccezione soltanto in presenza di circostanze (quali possono essere l’estrema gravità dei fatti denunciati, la loro reiterazione, la contiguità fisica tra denunciato e denunciante, l’attendibilità del denunciante et similia) che, pur in attesa di un riscontro oggettivo da parte dell’Autorità Giudiziaria, appaiono idonee a supportare, per un ragionevole fine di cautela e prevenzione, un giudizio di pericolosità sociale per l’ordine e la sicurezza pubblica, la cui valutazione può legittimamente fondarsi anche su considerazioni probabilistiche.

Orbene, nella specie, ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato sia sprovvisto di adeguata motivazione, in quanto esprime una valutazione di inaffidabilità del ricorrente, sebbene il rapporto informativo sul conto del sig. L., inviato dal Commissariato di P.S. "Scalo Romana", evidenzi che l’interessato continui a possedere i requisiti necessari al mantenimento del titolo di polizia e benché i "fatti storici", concretizzanti le denunciate condotte, abbiano formato oggetto di specifica contestazione e ricostruzione antitetica da parte del ricorrente, cosicché per essi non poteva dirsi sussistente (all’epoca dell’adozione del provvedimento) alcun riscontro oggettivo.

E difatti, si osserva come, a fronte dell’atto che ha disposto l’archiviazione del procedimento penale, della dichiarazione resa, in data 25 settembre 2007, alla Questura di Milano dagli agenti Rocca e Moro e dal ricorrente (con la quale gli stessi hanno rimesso le reciproche querele e rinunciato all’azione penale) e del corrispondente verbale del 30 novembre 2007 del Giudice di Pace di Milano, non esista alcun accertamento oggettivo dei "fatti" posti a fondamento del provvedimento di ritiro, già di per sé descritti assai sommariamente.

Deve poi ritenersi che un mero litigio, senza che vengano evidenziate adeguate e specifiche circostanze che possano suffragare una lettura dell’episodio quale indice sintomatico di scarso equilibrio caratteriale e di indole incline alla violenza, non appare idoneo a supportare un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato per l’ordine e la sicurezza pubblica poiché, nella sua isolatezza e tenuità, non rende verosimile un giudizio prognostico ex ante circa la sopravvenuta inaffidabilità del ricorrente (Tar Lombardia, III sezione, 31 marzo 2008 n. 624); ciò anche avuto riguardo alla sostanziale incensuratezza del ricorrente e alla pluriennale titolarità del porto d’armi senza che siano insorti mai sintomi e sospetti di utilizzo improprio dell’arma in pregiudizio ai tranquilli ed ordinati rapporti con gli altri consociati.

E’ altresì dirimente ai fini dell’accoglimento del ricorso, il sintomo di eccesso di potere dato dalla palese contraddittorietà estrinseca tra la determinazione del Prefetto e quella della Questura.

Difatti, con provvedimento del 4 ottobre 2007, la Prefettura – vista la memoria presentata dall’interessato, con il quale il medesimo ha comunicato di aver rimesso la querela presentata nei confronti degli agenti di polizia che lo avevano denunciato e dato atto che il procedimento penale scaturito dagli esposti presentati è stato archiviato – ha disposto la chiusura del procedimento avviato per l’adozione del provvedimento di divieto di detenzione armi, avviato in data 23 maggio 2007 in relazione ai medesimi fatti presi in considerazione dal Questore di Milano per la revoca del porto d’armi.

Orbene, la lettura congiunta dei provvedimenti delle due Autorità, che pure appartengono al medesimo plesso organizzatorio titolare della funzione di ordine pubblico, fa ritenere che un soggetto, in relazione al medesimo fatto, non sia pericoloso nell’atto di detenere a casa un fucile ed, invece, lo sia nell’atto di portare fuori dall’abitazione la medesima arma. Come se, nella volizione di un soggetto che si assume essere in parte qua non affidabile, la circostanza di non avere il "porto" possa costituire una efficace remora ad utilizzare l’arma contro il prossimo.

Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando:

– accoglie il ricorso in epigrafe e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato;

– condanna l’amministrazione al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 1.200 oltre IVA, CPA e rimborso C.U.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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