Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-05-2011) 25-07-2011, n. 29824 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 12-1-2011 il Tribunale di Napoli-Sez.Riesame confermava nei confronti di D.L.A. il provvedimento di custodia cautelare in carcere emesso dal GIP. in data 16-12- 2010,relativo ai delitti di cui all’art. 416 bis c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74 escludendo per il reato di cui al citato art. 74 l’aggravante di cui al comma 4.

L’ordinanza del Tribunale faceva richiamo esplicito alle ragioni di fatto e di diritto poste a sostegno dell’ordinanza cautelare,ritenendo esistenti indizi della associazione di stampo camorristico denominata clan D.L., attiva nel territorio partenopeo e dedita anche al traffico di stupefacenti, evidenziando che l’esistenza di tale sodalizio si desumeva da vari provvedimenti giurisdizionali.

Quanto alla associazione inerente al traffico di droga, il Tribunale ne riteneva l’esistenza a livello indiziario, sulla base di indagini svolte dalle forze dell’ordine con intercettazioni ambientali, nonchè sequestro di oltre Kg. 51 di droga, avvenuto in data 18-3- 2010,e dichiarazioni di collaboratori, come C.C., ed altri dalle quali era emerso il perdurare della attività del sodalizio.

A carico dell’indagato si era evidenziato il ruolo apicale rivestito nell’organizzazione, desumendolo dalle dichiarazioni dei collaboratori,che lo avevano indicato insieme al fratello – D.L. M. che era latitante e capo del clan. Il Tribunale aveva considerato le dichiarazioni dei collaboranti come attendibili, disattendendo le deduzioni difensive,come a fl. 4 del provvedimento. A sostegno della decisione si rilevava che il ruolo dell’indagato era stato indicato dai collaboratori menzionati:

C.C., E.S., C.A., C. G., ed E.B., (v. fl. 5 dell’ordinanza) secondo i quali l’indagato partecipava alle scelte del fratello, nella individuazione dei responsabili dell’attività di gestione delle piazze di spaccio del rione, (quali T.N. e L. A.) e contribuiva partecipando alle riunioni ,a determinare le strategie del sodalizio.

Inoltre acquistava armi e le gestiva e teneva i contatti tra il fratello detenuto ed altri adepti.

Infine si era evidenziato che da videoriprese emergeva la presenza dell’indagato nel rione ove avvenivano i traffici, e risultavano i contatti tra il D.L. ed altri adepti attraverso interventi di controllo delle forze dell’ordine.

In base a tali elementi il Collegio aveva dunque confermato il provvedimento cautelare, anche in ordine alla fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore deducendo: 1- la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. C) ed E) in riferimento all’art. 125 c.p.p., art. 178 c.p.p., comma 1, lett. C) e art. 309 c.p.p., comma 6.

Sul punto rilevava che il Tribunale aveva trascurato di motivare circa le eccezioni difensive contenute in motivi nuovi depositati nel corso dell’udienza camerale. A riguardo la difesa evidenziava la pretesa inattendibilità dei collaboratori ,sia per genericità delle dichiarazioni che per tardività delle stesse,che erano state assunte oltre il semestre di chiusura della collaborazione.

Censurava altresì la carenza della motivazione in ordine alle eccezioni difensive relative alla contestazione di due distinte associazioni per delinquere, ritenendo che si sarebbe potuta considerare la fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 assorbita nel reato di cui all’art. 416 bis c.p..

Ugualmente la difesa rilevava l’assenza di motivazione circa il ruolo dell’indagato che era considerato come "promotore ed organizzatore",e censurava la ritenuta sussistenza delle aggravanti di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e L. n. 146 del 2006, art. 3.

In particolare il ricorrente rilevava l’assenza di motivazione circa la affidabilità dei collaboratori nonchè la carenza di elementi dai quali poter desumere la convergenza delle varie dichiarazioni, che secondo il Tribunale si riscontravano reciprocamente.

2 – Con il secondo motivo deduceva la violazione dell’art. 195 c.p.p., comma 7 per aver ritenuto il Collegio come utilizzabili le dichiarazioni "de relato" rese da C.A., C. G., E.B. e E.S..

Sul punto evidenziava che il Tribunale aveva escluso che fosse applicabile il disposto di cui all’art. 195 c.p.p., comma 7, ma la difesa riteneva scarna la motivazione con la quale il Collegio si era espresso, richiamando giurisprudenza di legittimità,risultando meramente apodittica, in quanto non si sarebbe dimostrata l’appartenenza dei collaboratori al sodalizio criminale oggetto di contestazione ai fini del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (in tal senso la difesa evidenziava che le dichiarazioni di E. S. dovevano ritenersi vaghe circa l’appartenenza dell’indagato al sodalizio camorristico, ed estremamente generiche riguardo alla posizione del D.L. nell’associazione dedita al traffico di droga.

– Quanto ad E.B., la difesa evidenziava che egli dal 2004 era diventato appartenente ad un altro gruppo scissionista,e dunque le sue dichiarazioni avrebbero dovuto essere considerate secondo il criterio dettato dall’art. 195 c.p.p., comma 7 già richiamato.

3 – Con il terzo motivo il difensore deduceva la violazione dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis per carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione inerente alla esistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 416 bis e 74.

A riguardo censurava il provvedimento ritenendo che il Tribunale non avesse valutato l’attendibilità intrinseca dei soggetti che avevano reso dichiarazioni, mentre evidenziava che il Collegio aveva aderito alla valutazione compiuta dal GIP. In tal senso venivano menzionate dichiarazioni dei collaboratori C.C. e E.B. che rivelavano – pur in riferimento a delitto di omicidio non compreso nella contestazione – pretese discrasie alle quali la difesa attribuiva valenza per escludere l’attendibilità dei dichiaranti.

In tal senso evidenziava che il Tribunale non aveva tenuto conto delle contraddizioni tra le dichiarazioni a carico del D.L. – (rilevando che si era attribuita rilevanza all’interrogatorio reso dal C.C. in data 18-2-2010,in base al quale si sarebbe potuto far escludere il ruolo del predetto indagato nel traffico di droga. (v. fl. 18 motivi di ricorso).

Altro interrogatorio era quello reso in data 23-6-2010,nel quale il C. aveva riferito che il D.L. unitamente al fratello M., impartiva direttive per la gestione del traffico di stupefacenti nelle singole piazze di spaccio.

A riguardo la difesa censurava l’ordinanza restrittiva che aveva attribuito rilievo al sequestro di note di contabilità ascrivibili al traffico illecito, e rilevava i significati delle sigle annotate (v. fl. 20 e segg. del ricorso, in tal senso ritenendo erronea l’interpretazione fornita dai giudici del Tribunale).

Per tali deduzioni la difesa concludeva ritenendo che il Collegio non avrebbe dovuto attribuire alcuna rilevanza sia alle dichiarazioni dei collaboratori che al sequestro della documentazione contabile.

Censurava in tal senso per illogicità la motivazione resa dal Tribunale,per mancanza di un ruolo specifico attribuito dal C. all’attuale ricorrente nell’ambito dell’associazione.

Peraltro il difensore menzionava altre dichiarazioni e rilevava che da quelle di E.B. sarebbe al più derivata l’esistenza di indizi relativi al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. (v. fl. 26 del ricorso), mentre restava assolutamente generico il contesto indiziario relativo alla fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74. 4 – Con il quarto motivo deduceva la carenza della motivazione in riferimento alla ritenuta esistenza dei due reati di associazione per delinquere – art. 416 bis c.p. e D.PR. n. 309 del 1990, art. 74 lamentando la mancata valutazione da parte del Tribunale delle deduzioni difensive.

Inoltre rilevava la erronea applicazione della legge penale.

A riguardo il ricorrente evidenziava che si sarebbe dovuta verificare la specificità delle condotte, per poter affermare l’esistenza di entrambe, e che il D.L. era soggetto al quale non risultava attribuito alcun episodio particolarmente riferibile al traffico di droga, avendo le dichiarazioni dei collaboratori ( C.C. ed altri) contenuto generico, e ritenendo che tali dichiarazioni non potessero costituire una chiamata in correità per delitto di cui all’art. 74, D.P.R. citato.

Sul punto la difesa riteneva dunque che il Collegio avesse omesso di menzionare specifici elementi indiziari.

5-Con il quinto motivo la difesa deduceva la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, c ed e in riferimento alla violazione dell’art. 111 Cost. e art. 125 c.p.p. in relazione alle fattispecie di associazione per delinquere contestate.

Sul punto rilevava la mancanza di motivazione nel provvedimento emesso dal GIP circa il ruolo di capo dell’organizzazione attribuito al D.L..

Evidenziava che pertanto il Tribunale non aveva valutato tale lacuna e che l’ordinanza risultava illogica e contraddittoria,oltre che viziata da carenza motivazionale, avendo la difesa richiamato tale vizio dell’ordinanza cautelare con i motivi aggiunti, ex art. 309 c.p.p., comma 6.

La difesa richiamava i canoni giurisprudenziali secondo i quali il ruolo di capo deve essere dimostrato con riferimento alle funzioni effettive svolte dall’imputatole censurava il provvedimento impugnato,evidenziando che il Tribunale aveva tenuto conto al riguardo delle dichiarazioni dei collaboratori che avevano riferito sia del legame esistente tra l’indagato ed il fratello, che del coi volgimento del prevenuto nelle decisioni inerenti alla gestione delle attività di spaccio.

Al riguardo la difesa specificava che non si era considerata anche l’età dell’indagato che aveva diciannove anni, e riteneva – al di là del reale rapporto del D.L. con il fratello, che fosse illegittimo il giudizio formulato in base ad un rapporto di parentela, mentre sarebbe stato necessario dimostrare specifiche condotte tipiche del ruolo di capo di un sodalizio malavitoso.

6-Con altro motivo il difensore rilevava la violazione dell’art. 125 c.p.p., art. 273 c.p.p., comma 1 bis e art. 649 c.p.p. per avere il Tribunale ritenuto sussistenti elementi idonei a configurare anche il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 considerata l’accusa formulata ai sensi dell’art. 74, D.P.R. citato. Sul punto rilevava illogicità della motivazione.

7 – Con il settimo motivo censurava ai sensi dell’art. 141 bis c.p.p. e D.L. n. 8 del 1991, art. 16 quater il provvedimento del Tribunale che aveva ritenuto utilizzabili le dichiarazioni del collaboratore C.G., che non erano state fonoregistrate,sebbene costui avesse dichiarato di avere iniziato la collaborazione dal dicembre del 2010. 8 – Con l’ottavo motivo il ricorrente censurava l’ordinanza per violazione dell’art. 125 c.p.p., artt. 13 e 111 Cost. per non essere stata rilevata la nullità del titolo custodiale per omessa motivazione sulla configurabilità delle aggravanti speciali, L. n. 203 del 1991, ex art. 7 e L. n. 146 del 2006, art. 3 evidenziando che tale ultima aggravante era stata introdotta successivamente ai fatti di causa, risalenti al 2005.
Motivi della decisione

Il ricorso deve ritenersi privo di fondamento.

1 – Va preliminarmente rilevato che non risulta sussistente il vizio denunciato dalla difesa in riferimento alla omessa motivazione sulle questioni addotte con motivi nuovi, avendo il Tribunale reso ampia ed esauriente motivazione anche con riferimenti alle tesi prospettate dalla difesa con memoria, in merito alla posizione dell’indagato e non essendo configurabile alcuna nullità del provvedimento, non avendo la difesa dedotto in questa sede elementi che possano inficiare il giudizio cautelare nei suoi presupposti essenziali.

A riguardo deve evidenziarsi,infatti,che secondo giurisprudenza di questa Corte, che è bene menzionare sull’argomento, vale il principio per cui "Il provvedimento di riesame di una misura cautelare è soggetto a censura di motivazione,al pari di ogni altro impugnabile per cassazione, nel limite obiettivo di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per cui il vizio deve risultare dal suo tenore." v. Cass. Sez. 5 del 27 febbraio 1997, n. 139, Palma-RV 207259.

Nè la difesa elenca dati da ritenersi decisivi,dei quali il Collegio di riesame abbia omesso la valutazione,onde non risulta prospettata alcuna causa di nullità del provvedimento impugnato.

Peraltro risultano del tutto ininfluenti,e come tali inammissibili i rilievi della difesa – sui quali il Tribunale sarebbe stato chiamato ad esprimersi – circa l’epoca in cui i collaboratori avevano deciso di rendere le dichiarazioni – (successive al semestre di collaborazione) – ai fini della valutazione della attendibilità dei dichiaranti.

Deve in proposito rilevarsi che come rilevato dai giudici del riesame, secondo giurisprudenza di questa Corte, (Sez. 5 del 23/09/2003-13/10/2003, "In tema di dichiarazioni accusatorie provenienti da collaboratori di giustizia deve ritenersi che la loro inutilizzabilità, quando le stesse siano state rese oltre il termine di 180 giorni previsto dalla Legge (del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, art. 16 quater, comma 1 conv. con modif. in L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dalla L. 13 febbraio 2001, n. 45, art. 14) operi esclusivamente con riguardo alla valutazione di dette dichiarazioni come "prova dei fatti in esse affermati" e, quindi,soltanto ai fini del giudizio e non invece ai fini cautelari, per i quali sono richiesti soltanto "indizi", sia pure "gravi" e non "prove". V. altre pronunzie più recenti, che il Tribunale indica quali SS.UU., n. 1151 del 25.9.2008).

Tanto rilevato appare altresì manifestamente ripetitiva e infondata la censura difensiva relativa alla mancata valutazione della pretesa tardività delle dichiarazioni accusatorie effettuate dal C. C. a carico del D.L. odierno ricorrente, dovendosi tener conto, ai fini cautelari della globalità delle risultanze indiziarie, che il Tribunale ha ritenuto validamente poste dal GIP. alla base del provvedimento restrittivo,essendo la posizione del prevenuto caratterizzata da plurime fonti di accusa, ed avendo il Collegio reso motivazione su tale argomento e sulla attendibilità delle dichiarazioni a fl. 4-5 del provvedimento impugnato.

2 – Va altresì ritenuta l’infondatezza delle censure formulate ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all’art. 195 c.p.p., comma 7 per avere il Collegio ritenuto utilizzabili le dichiarazioni de relato rese dai collaboratori ( C.A., E.B. ed E.S.). Sul punto va menzionata giurisprudenza di questa Corte, v. Sez. 131 maggio 1995, n. 2340, Corvaia, e conforme Sez. 1 del 21 febbraio 1996, n. 6194, Romeo – RV 201296 – per cui "Nella fase delle indagini preliminari,essendo questa destinata all’acquisizione non di prove, ma di fonti di prova, non sono operanti i divieti e le limitazioni concernenti la testimonianza de auditu, quali previsti dall’art. 195 c.p.p.. Ne consegue che non perdono efficacia indiziante, ai fini di cui all’art. 273 c.p.p., comma 1, le dichiarazioni accusatorie de relato relativamente alle quali non sia intervenuta conferma da parte della fonte cui dette dichiarazioni fanno riferimento".

Devono dunque ritenersi superate le argomentazioni a tale proposito svolte dal ricorrente nel secondo motivo ove si censura la motivazione, per non avere il Collegio di riesame dato conto dell’appartenenza al sodalizio inerente al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 dei collaboratori che avevano reso dichiarazioni in ordine all’indagato ricorrente.

3 – Per ciò che concerne le deduzioni relative alla pretesa contraddittorietà e carenza di motivazione per i gravi indizi di colpevolezza del D.L. in riferimento ai due reati associativi,per i quali si ravvisa da parte del ricorrente una violazione dell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 va rilevato che le censure difensive sono genericamente formulate,senza individuare alcun elemento rivelatore del vizio denunciato, atteso l’esame delle risultanze indiziarie che risulta compiuto dal Tribunale, a livello indiziario in conformità con l’esigenza di dare conto della interpretazione delle risultanze indiziarie, valutate esaurientemente, e ritenute di contenuto convergente a carico del D. L..

Nè assume alcuna rilevanza la deduzione difensiva inerente all’età particolarmente giovane dell’indagato, in presenza del ruolo descritto sia con riferimento alla associazione camorristica che a quella prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (v. fl. 5 dell’ordinanza).

Con il motivo di gravame la difesa si diffonde nelle ripetitive critiche alla ordinanza che conferma la misura cautelare, asserendo che il collaboratore C. ebbe ad accusare il D.L. circa l’attività inserita nel quadro normativo dell’art. 74, D.P.R. citato, solo nelle dichiarazioni rese in epoca recente(ossia nell’ultimo verbale di interrogatorio), senza aver mai fatto in precedenza altri riferimenti al D.L.. Tale rilievo si ritiene meramente ripetitivo,oltre che ininfluente e si evidenzia in contrario che il provvedimento come già accennato, motiva su tali aspetti.

D’altra parte, in questa sede non può devolversi al giudice di legittimità la rivalutazione degli indizi richiamati dal giudice di merito con adeguata e logica motivazione.

Pertanto devono ritenersi del tutto infondate le deduzioni sul narrato dei pentiti svolte nel motivo di gravame ripercorrendo deposizioni del collaboratore C. e di altri che avevano accusato il D.L., al fine di proporre una diversa interpretazione delle risultanze indiziarie (come ai fl. 15-16-17-18 del ricorso), avendo la motivazione dell’ordinanza valutato tutti gli aspetti denunciati dal ricorrente,con aderenza alle risultanze menzionate in modo del tutto coerente e specifico.

Per ciò che concerne il ruolo ascritto al D.L., deve ugualmente evidenziarsi che – ai fini indiziari – resta validamente ritenuta la coesistenza delle due fattispecie associative, che la giurisprudenza ammette, essendo le disposizioni di cui all’art. 416 bis c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 relative alla lesione di distinti beni giuridici (v. sul punto Cass. Sez. 1 – sent. n. 4714 del 9-5-1996, RV 204549 – nonchè Sez. 2, sent. n. 10469 del 6-12- 1996-RV 206493 – sulla concorrenza delle due fattispecie nell’ambito di un medesimo gruppo criminoso. V, per S.U. 25.9.08, n. 1149 Magistris.).

Tanto premesso l’ordinanza validamente riconosce all’indagato, a livello indiziario l’ascrivibilità di un ruolo primario, nel quadro dell’organizzazione, essendo la valutazione scaturita direttamente non solo da plurime e convergenti dichiarazioni rese dai collaboratori della cui attendibilità il Collegio si è fatto carico di rendere puntuale analisi,sia da esiti di indagini di pg. che attestano attraverso videoriprese nei luoghi interessati dall’attività organizzata la frequentazione dell’indagato.

Per ciò che concerne i singolo reati addebitati tra i quali vi è anche la fattispecie di cui all’art. 73, D.P.R. citato si evidenzia la completezza della motivazione (v. fl. 5-6 dell’ordinanza).

Nè può dirsi trascurata l’analisi dei presupposti per l’applicazione delle aggravanti – ossia quella prevista dalla L. n. 146 del 2006, art. 3 dovuta al carattere transnazionale dell’associazione e quella di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 – per le quali la difesa lamenta la carenza di motivazione.

Infatti il Tribunale ha valutato adeguatamente elementi rivelatori sia dell’una che dell’altra aggravante,con congrua motivazione,che appare in sintonia con i canoni giurisprudenziali di questa Corte – (v. per l’art. 3 citato, e relativamente all’art. 4 stessa legge, Cass. Sez. 6 – sent. n. 7470 del 20-2-2009, ove si evidenzia che "Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante a effetto speciale prevista dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 4 è necessario un quid pluris rispetto al concorso di persone nel reato,richiedendosi l’esistenza di un gruppo criminale organizzato – impegnato in attività criminali in più di uno stato, che risulti composto da tre o più persone che agiscono di concerto al fine di commettere uno o più reati previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine transnazionale").

Tali presupposti si desumono dal contenuto della globale motivazione del provvedimento impugnato.

Per tali rilievi si rivelano prive di fondamento le deduzioni contenute nei motivi di gravame al punto 4, e ai successivi punti 5-6 – va evidenziato che resta del tutto privo di supporto il riferimento alla possibile individuazione di un unico reato associativo sussumibile nell’ambito dell’art. 416 bis c.p., essendo espliciti e convergenti, oltre gli elementi rivelatori dell’appartenenza al sodalizio di stampo camorristico, gli indizi della attività di gestione del traffico di droga ascritto al prevenuto.

Nel riferimento alla sussistenza di dette ipotesi la motivazione resta incensurabile, essendo dotata di richiami alle risultanze istruttorie, e coerente con il criterio di valutazione degli indizi, per gravità e concordanza (quanto al reato di spaccio, ex art. 73, D.P.R. citato è sufficiente il riferimento alla esistenza di videoriprese, in zona interessata dal traffico illecito, oltre il contatto dell’indagato con altri soggetti del gruppo, essendo sufficiente, secondo giurisprudenza, la semplice presenza, purchè non meramente casuale, sul luogo della esecuzione del reato, al fine di integrare la partecipazione criminosa, (v. Cass. Sez. 6, sentenza 7957 del 24.8.93-RV194897) essendo nella specie esistenti i rapporti tra il D.L. e gli altri adepti secondo quanto esposto dal Tribunale.

– Infondate si rivelano altresì le censure di cui al punto 7 relative alla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore C.G., rilevando che esse non erano state oggetto di fonoregistrazione, sebbene costui avesse affermato di essere collaboratore di giustizia dal dicembre del 2010.

In tal senso la difesa ritiene violate le disposizioni di cui all’art. 141 bis c.p.p. e D.L. n. 8 del 1991, art. 16 quater.

Sul punto si evidenzia che – ai fini dell’art. 141 bis c.p.p., secondo giurisprudenza di questa Corte – SS.UU. sentenza n. 39061 del 16/07/2009 – RV 244327. "In tema di interrogatorio di persona in stato di detenzione,la mancanza della trascrizione della riproduzione fonografica o audiovisiva dell’atto non importa alcun vizio processuale, nè in termini di inutilizzabilità, nè di nullità".

Va altresì richiamata – ai fini dell’art. 16 quater citato la sentenza della Sez. 5 – in data 23/9/2003, n. 38638 già citata, in relazione alla utilizzabilità delle dichiarazioni del collaboratore nella fase delle indagini preliminari.

Va altresì evidenziato che le deduzioni difensive concernenti l’inizio della collaborazione di un dichiarante, restano generiche ed hanno contenuto meramente ripetitivo, avendo il Collegio adeguatamente valutato il materiale indiziario non essendo stata trascurata dai giudici la valutazione delle questioni poste dalla difesa sui tempi nei quali si erano verificate le accuse a carico del D.L..

Infine si osserva che le censure formulate con il motivo 8 – con riferimento alla ritenuta aggravante della L. n. 203 del 1991, ex art. 7 si rivelano prive di fondamento, al pari delle censure riguardanti l’aggravante della L. n. 146 del 2006, ex art. 3 avendo il Collegio illustrato adeguatamente i presupposti che integrano tali aggravanti speciali, che ben possono coesistere in capo allo stesso soggetto, a livello indiziario,stante il globale quadro fattuale illustrato dal Collegio, dal quale si desume l’esistenza del gruppo organizzato di più di tre persone e il collegamento dell’organizzazione con l’estero per il traffico di droga.

Per tali motivi la Corte deve rigettare il ricorso,ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.

Ogni ulteriore deduzione difensiva resta superata dai rilievi che precedono, stante l’esauriente analisi degli indizi svolta dal Tribunale ai fini della legittima applicazione della più rigorosa misura cautelare.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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