Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-05-2011) 25-07-2011, n. 29822 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 10 gennaio 2011 il Tribunale di Napoli – Sez. Riesame pronunziava la conferma dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Napoli a carico di T.N., TA.Da. e R.M. ai quali risultavano ascritti i delitti di cui all’art. 416 bis c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74 ritenendo di escludere per il delitto di cui all’art. 74 citato l’aggravante prevista dal comma 4, relativa alla disponibilità di armi per gli scopi della associazione dedita al traffico di stupefacenti.

Diversamente si era ritenuta la configurabilità delle ulteriori aggravanti(quella dell’art. 416 bis c.p., comma 4 – e dunque l’esistenza di un’associazione camorristica dotata di armi, nonchè quelle dovute al numero delle persone ed al collegamento della organizzazione con la (OMISSIS) nel traffico di droga).

I fatti contestati attengono alla esistenza del gruppo camorristico denominato "Clan DI LAURO", per il quale erano stati menzionati dal GIP vari provvedimenti giurisprudenziali dai quali emergeva l’esistenza dell’associazione di cui si tratta.

Il Tribunale dopo aver fatto rinvio integrale alla ordinanza impugnata, quanto agli elementi dai quali si desumeva l’esistenza del clan, aveva poi specificato che doveva ritenersi accertata a livello indiziario l’esistenza di due distinte associazioni, l’una di stampo camorristico e l’altra, pur riferibile ai soggetti inseriti nel clan DI LAURO, dedita al traffico di droga.

In riferimento alle singole posizioni degli indagati il Collegio aveva evidenziato che per tutti vi erano dichiarazioni di collaboratori di giustiziarne si ritenevano attendibili.

Quanto al T. – si riteneva legittima l’attribuzione al predetto – indicato come soggetto inserito nel c.d. "gruppo di fuoco" del sodalizio camorristico, e coinvolto in numerosi omicidi, nonchè dotato del potere di gestione del traffico di droga come persona di fiducia , in diretto contatto con il latitante D.L.M., per il quale teneva i contatti con altri sodali, e curava la contabilità degli affari annotati in un libro mastro sottoposto a sequestro nel giugno del 2010, nel corso di perquisizione nell’abitazione di tale Z.A..

A carico del T. si era evidenziata altresì l’esistenza di video riprese effettuate nell’area interessata dallo smercio di stupefacenti.

Per R.M. si era evidenziata parimenti l’esistenza delle dichiarazioni dei collaboratori, e gli esiti di indagini delle forze dell’ordine attinenti alle frequentazioni del prevenuto.

Anche al R. si era attribuito il ruolo di partecipe al sodalizio del quale curava la contabilità, ed il contatto con il T. e il Ta..

Il TA. veniva considerato coinvolto nelle due associazioni e gestore di quella dedita al traffico di droga, per cui si recava anche all’estero, in (OMISSIS).

Il Collegio aveva infine disatteso le eccezioni formulate dalla difesa per la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori oltre il limite del 180 giorno dall’inizio della collaborazione, (eccezione formulata con riferimento al D.L. n. 8 del 1991, art. 16) richiamando giurisprudenza di legittimità (v. fl. 6 dell’ordinanza).

Parimenti riteneva priva di fondamento altra eccezione relativa alla mancata trasmissione di precedenti dichiarazioni dei collaboratori evidenziando che i difensori non avevano peraltro menzionato elementi favorevoli agli indagati dei quali si sarebbe dovuto tener conto.

Infine, quanto alle esigenze cautelari, aveva rilevato l’esistenza dei presupposti per applicare l’art. 275 c.p.p., comma 3.

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso il difensore di T. N., TA.Da. e R.M., deducendo:

1 – che la motivazione dell’ordinanza era meramente apparente, e contraddittoria, in riferimento alla configurabilità di due reati di associazione per delinquere.

A riguardo evidenziava che il Tribunale del riesame non aveva effettuato un vaglio critico del materiale indiziario, onde distinguere gli elementi tipici delle distinte associazioni, e che in senso contraddittorio risultava affermata – in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p., l’aggravante dell’essere l’organizzazione armata, mentre era stata esclusa l’analoga aggravante in ordine al sodalizio dedito al traffico di droga.

Inoltre rilevava che non vi era stato sequestro di armi.

Negava peraltro valore indiziario al sequestro di un libro mastro per contabilità, non ritenendo dimostrato il riferimento dei dati ad una o all’altra associazione.

2 – Per il T. il difensore rilevava che – essendo egli indicato come fiduciario in contatto con il latitante D.M. L., coinvolgendolo nell’associazione di stampo camorristico, per la quale veniva anche svolto il traffico di droga – si sarebbe ipotizzata un’unica fattispecie di delitti, da individuare nell’art. 416 bis c.p. e ciò avrebbe fatto escludere l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Sul punto il ricorrente ravvisava carenza di motivazione del provvedimento impugnato.

3 – Ugualmente veniva considerata carente la motivazione che affermava il collegamento delle attività illecite all’estero.

4 – Inoltre veniva censurata per carenza assoluta la motivazione inerente al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. 5 – Veniva altresì definita come contraddittoria ed apparente la motivazione sulle eccezioni avanzate dalla difesa circa l’inutilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori.

Alla stregua di tali deduzioni si rilevava, per TA.Da., che mancavano riscontri della attività di soggetto che avrebbe assunto (secondo il dictum di collaboratori) un ruolo di tramite tra due nazioni – nel traffico di stupefacenti).

In tal senso si ritenevano generiche le dichiarazioni dei pentiti e si negava l’esistenza degli indizi relativi al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 – osservando a favore dei tre ricorrenti che non risultava avvenuto alcun sequestro di droga nei loro confronti.

Peraltro la difesa rilevava che la motivazione dell’ordinanza era censurabile ove si asseriva che la difesa non aveva menzionato elementi favorevoli agli indagati su cui si sarebbe dovuto soffermare il GIP, atteso che la difesa non disponeva delle deposizioni dei collaboratori.

Per il T. la difesa evidenziava che trattasi di persona incensurata e che le dichiarazioni dei collaboratori che lo avevano indicato come soggetto coinvolto in numerosi omicidi, nonchè gestore della contabilità dell’associazione, e l’accusa di essere stato notato insieme ad altri indagati, erano prive di riscontro.

Le deposizioni dei collaboratori ad avviso del ricorrente non erano state sottoposte a vaglio critico da parte del Tribunale.

– A riguardo la difesa evidenziava che C.C. era a disposizione dell’AG dal 31-12-2009 ritenendo tale circostanza in contrasto con le dichiarazioni dal predetto rese sulla compilazione del libro mastro che riguardavano il periodo fino al 2010.

Analogo rilievo valeva per le dichiarazioni dei due fratelli del collaboratore citato.

Inoltre il difensore rilevava che il T. era soggetto che abitava nel rione dove si era verificata la ripresa del traffico di droga.

Infine osservava che il Tribunale non aveva tenuto conto delle discrasie delle dichiarazioni dei collaboratori.

Per R.M. la difesa rilevava che il Tribunale non aveva valutato criticamente le chiamate in correità da parte dei collaboratori – C.G. ed A. – che erano coindagati di reato connesso, per il delitto previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

D’altra parte rilevava la genericità della indicazione del R. come persona che aveva favorito la latitanza di D.L.M..

Ugualmente generici si ritenevano i riferimenti dei collaboratori al ruolo di TA.Da., essendo stato indicato con il soprannome " P. e (OMISSIS)" mentre egli non era domiciliato nel rione (OMISSIS).

In tal senso il Tribunale non aveva valutato la genericità del riferimento all’indagato ritenuto aderente al clan Di Lauro.

Infine si rilevava l’assenza di riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori sui collegamenti del Ta. con la (OMISSIS) per il traffico di droga. A riguardo la difesa rilevava anche l’incertezza del contenuto delle intercettazioni. D’altra parte si riteneva carente di riscontri l’accusa inerente all’acquisto di armi che il predetto Ta. avrebbe procurato-non essendovi alcun riscontro fornito da esiti di perquisizioni che le Forze dell’ordine avevano svolto.

Per tali elementi la difesa dei ricorrenti chiedeva l’annullamento del provvedimento impugnato.
Motivi della decisione

I ricorsi di cui si tratta devono ritenersi privi di fondamento.

In primo luogo va disattesa la censura di legittimità inerente alla pretesa carenza e contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza in riferimento alla individuazione di due distinte ipotesi associative – contestate secondo le richiamate disposizioni di legge.

Quanto ai vizi concernenti la configurabilità dei gravi indizi dei colpevolezza, per ciascuno dei ricorrenti, deve evidenziarsi che – ai fini dell’art. 606 c.p.p., lertt. E – l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. "è rilevabile in Cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato ( art. 606 c.p.p., lett. e).." (v.

Sez. 5^, 25-2-2003, n. 9008, ed altre-(Arch. nuova proc pen. 2003, 613).

Va evidenziato altresì sull’argomento che secondo giurisprudenza di questa Corte-(v. Sez. 2^, sent. n. 10469 del 6-12-1996-RV206493-"Le figure criminose di associazione per delinquere di stampo mafioso e di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope concorrono materialmente anche quando sono riconducibili ad un’unica organizzazione criminosa..".

Alla luce di tali canoni giurisprudenziali l’ordinanza del Tribunale risulta incensurabile per aver richiamato con specificità i dati indiziari a carico di ciascun ricorrente, dimostrando di avere valutato la coerenza e gravità del quadro indiziario. Nè appare carente la valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori, avendo il Collegio menzionato elementi idonei a costituire riscontri in fase cautelare – quali gli esiti di indagini di pg.il cui riferimento alle attività comuni degli associati era stato evidenziato puntualmente in motivazione.

Quanto alla pretesa inutilizzabilità di dichiarazioni di collaboratori rese al di là del limite temporale di 180 giorni dall’inizio della collaborazione, va evidenziato che la censura deve ritenersi inammissibile, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, che con sentenza 8638 del 23/09/2003-13/10/2003 – Sez 5^- ha stabilito che "In tema di dichiarazioni accusatorie provenienti da "collaboratori di giustizia"deve ritenersi che la loro inutilizzabilità, quando le stesse siano state rese oltre il termine di 180 giorni previsto dalla legge ( D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, art. 16 quater, comma 1, conv.con modifiche in L. 13 febbraio 2001, n. 45), operi esclusivamente con riguardo alla valutazione di dette dichiarazioni come "prova dei fatti in esse affermati", e, quindi, soltanto ai fini del giudizio e non invece ai fini cautelari, per i quali sono richiesti soltanto "indizi", sia pure "gravi" , e non "prove".

Peraltro tale indirizzo risulta costante come evidenziato dal Tribunale richiamando giurisprudenza SS.UU.25.9.2008/13.1.2009, n. 1151, citata a fl.6-Nè valgono ad inficiare il provvedimento impugnato le deduzioni difensive concernenti la assenza di elementi da cui desumere la verifica fattuale che il Collegio di riesame avrebbe dovuto svolgere circa i ruoli ascritti al T., al R. ed al Ta..

Al riguardo giova rilevare che, diversamente, il Tribunale del riesame deve valutare la adeguatezza e congruità della globale motivazione del provvedimento cautelare, verificando la consistenza del materiale indiziario ai fini della legittima applicazione della misura cautelare a ciascun ricorrente.

Nella specie, tale verifica risulta adeguatamente effettuata, avendo i Giudici collegiali richiamato – per il T. – a fl. 3-4 oltre le parti dell’ordinanza cautelare oggetto di riferimento per dichiarazioni accusatorie di collaboranti, la tipologia di attività addebitate al predetto indagato, che aveva un ruolo riferibile al clan camorristico e che concorreva con il R. e con altro indagato nella tenuta della contabilità (per la quale risultava caduto in sequestro il cd."libro mastro).

Inoltre il Tribunale ha dato conto della esistenza di videoriprese del T. che ne documentavano la presenza nel rione dove si svolgeva l’attività di spaccio, ed i controlli di polizia dai quali erano emersi i contatti dell’indagato con esponenti del clan Di Lauro.

Analogamente dicasi per la posizione del R., per il quale il Collegio ha specificamente richiamato, oltre le convergenti dichiarazioni accusatorie dei collaboratori, gli esiti di indagine di polizia, effettuate con videoriprese, attestanti sia i contatti del prevenuto con altri adepti, che il possesso di armi da fuoco. (v. fl.

5).

I contatti riguardavano esponenti del sodalizio Di Lauro.

Per il TA., il provvedimento indica – come ai fl. 3 e segg.- sia le dichiarazioni accusatorie dei collaboranti che esiti di intercettazione, oltre i controlli sul territorio svolti dalla ps.

(v. fl.5-6).

Inoltre il Tribunale ha valutato anche la questione della individuazione del Ta. in base al soprannome(rispondendo alle deduzioni difensive con motivazione a fl.7), onde non si riscontrano le pretese carenze motivazionali su elementi decisivi ai fini della applicazione della misura.

Per quanto riguarda il ruolo dell’indagato esso risulta descritto come soggetto che svolgeva attività di collegamento con l’estero (in (OMISSIS)) per l’approvvigionamento degli stupefacenti, (v. fl.3) e tali elementi venivano desunti da informativa dei CC. sulle attività del clan e degli adepti, stigmatizzando la sovrapponibilità delle due associazioni (fl.3 citato, che risultano essere state in tal senso correttamente valutate dal giudice dell’impugnazione.

Alla stregua dei richiamati principi giurisprudenziali deve dunque essere disattesa la critica difensiva inerente alla mancata valutazione da parte del Tribunale della adeguatezza e consistenza del quadro indiziario per ciascun ricorrente, essendo state rilevate delle risultanze dotate di oggettività e concretezza, che convergono a carico dei predetti indagati, consentendo di ritenere legittimamente emesso il titolo custodiale.

Per tali motivi, rilevandosi l’infondatezza dei ricorsala Corte ne deve pronunziare il rigetto, condannando ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *