Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-05-2011) 25-07-2011, n. 29821 Revoca e sostituzione

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Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 15 marzo 2011,il Tribunale di Ancona- Sez. Riesame, rigettava l’appello proposto ai sensi dell’art. 310 c.p.p. da B.A. avverso il provvedimento emesso dal GIP. in data 14-2-2011 che aveva rigettato l’istanza di revoca della misura cautelare in atto a carico dell’indagato.

Nella specie il B. era sottoposto alla custodia cautelare in carcere per il delitto di cui agli artt. 110-630 c.p. per avere, in concorso con altri, sequestrato U.A. allo scopo di conseguire per loro o per altri il profitto di Euro 50.000,00 come prezzo per la liberazione, fatto accertato il (OMISSIS).

In data 12 novembre 2010 il B. era stato condannato in sede di rito abbreviato,alla pena di anni dodici di reclusione.

Avverso l’ordinanza del Tribunale veniva proposto ricorso per cassazione dal difensore, deducendo:

1 – la illogicità e carenza della motivazione, nonchè la violazione dell’art. 274 c.p.p., dell’art. 275 c.p.p., comma 3 e art. 51, comma 3 bis.

A riguardo il ricorrente evidenziava che il Collegio si era limitato a richiamare le ordinanze cautelari emesse, mentre la difesa aveva rilevato l’assenza delle esigenze cautelari – quali il pericolo di fuga (dati i legami familiari che il B. manteneva) e in riferimento alla insussistenza di tali esigenze riteneva illogica, oltre che carente la motivazione del provvedimento impugnato, che non aveva tenuto conto della situazione personale dell’imputato e della condotta di vita pregressa, definita come irreprensibile, avendo egli svolto per un ventennio l’attività di vigile del fuoco, menzionato per aver salvato la vita di persone anche al di fuori del servizio.

(v. in tal senso i motivi di ricorso), tre mesi prima del fatto contestato.

Peraltro la difesa rilevava che il predetto istante – detenuto da un anno e mezzo – aveva versato somme con emissione di due assegni a favore della parte offesa, dell’importo complessivo di Euro 20.0000,00 e che aveva dimostrato di voler risarcire il danno,anche nella fase antecedente al giudizio, offrendo la somma di Euro 10.000,00. –Tale condotta rivelatrice dell’intento di riparare le conseguenze del reato,secondo la difesa,valeva a dimostrare il ravvedimento del colpevole.

La difesa rilevava pertanto che sarebbe stato necessario verificare la adeguatezza della misura, oltre la pericolosità concreta del soggetto istante, e concludeva chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Innanzi a questa Corte il ricorrente depositava inoltre memoria, con la quale deduceva la violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla possibilità di concedere al B. altra misura meno grave in presenza di indizi di colpevolezza relativi al delitto di cui all’art. 630 c.p., richiamando sentenza di questa Corte sulla valutazione dei presupposti per il mantenimento della misura coercitiva.

2 – Formulava altresì eccezione di illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 51 c.p.p., comma 3 Bis e dell’art. 275 c.p.p., comma 3, nella parte in cui le disposizioni richiamate prevedono che – in presenza di gravi indizi di colpevolezza per delitto di cui all’art. 630 c.p.- deve essere applicata la custodia cautelare in carcere, senza che la norma faccia salve le ipotesi in cui siano stati acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreterai quali possa desumersi che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altra misura meno grave. La disposizione normativa citata, si riteneva in contrasto con gli artt. 3, 13 e 27 Cost. In base a tali argomenti si concludeva chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato.
Motivi della decisione

La Corte rileva che il ricorso risulta privo di fondamento.

Il provvedimento impugnato si rivela infatti adeguatamente motivato in riferimento alle ragioni che legittimano il rigetto della richiesta difensiva tendente alla applicazione di misura meno afflittiva, ovvero alla revoca della custodia cautelare in carcere, per il soggetto già condannato per reato di cui all’art. 630 c.p..

Sul punto il giudice del riesame – in sede di appello, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., non si è sottratto all’obbligo di motivare sulle deduzioni difensive.

Infatti nel provvedimento di cui si tratta, il Collegio non si è attestato unicamente sulla esistenza delle esigenze preclusive del mutamento dello status libertatis ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, bensì ha valutato nel merito, escludendo che il versamento di una somma a titolo di ristoro della parte lesa, potesse assumere, di per se, valore tale da far ritenere scemate o comunque modificate le originarie esigenze cautelari.

Tale valutazione consente di ritenere prive di fondamento le censure difensive attinenti alla carenza della motivazione, anche con riferimento alla applicabilità di misura meno affittiva, avendo il Collegio espresso la valutazione esauriente delle richieste avanzate in appello, ed essendo implicitamente evidenziato che il quadro cautelare doveva ritenersi immutato.

Peraltro deve ritenersi inammissibile la formulazione in questa sede di argomentazioni tendenti a dimostrare l’assenza di un pericolo di fuga dell’imputato, stante la valutazione discrezionale delle esigenze cautelari e della adeguatezza della custodia cautelare in atto, che il Collegio ha espresso in modo completo, rilevando l’assenza di dati idonei a rivelare il mutamento delle originarie esigenze.

Peraltro, trattasi di soggetto nei cui confronti risulta intervenuta condanna la difesa non ha rilevato fatti nuovi rispetto alla offerta risarcitoria. (v. Cass. Sez. I sentenza n. 277 del 21-2-1996-RV203725- per cui "L’insorgenza di un fatto nuovo costituito dalla sopravvenuta condanna ad una pena severa per un grave reato è idonea a far ritenere il pericolo di fuga ragionevolmente probabile").

Pertanto non può in questa sede ritenersi rilevante la questione di legittimità costituzionale avanzata dalla difesa del ricorrente, in riferimento alla applicazione dell’art. 275 c.p.p., comma 3 e dell’art. 51 c.p.p., comma 3,stante la motivazione resa dal Tribunale nel merito riferibile alle deduzioni dell’appellante.

Nè si ravvisabile la avvenuta valutazione delle deduzioni poste dall’appellante ai fini del mutamento dello status cautelatala omessa motivazione in ordine alla personalità dell’indagato, dovendosi avere riguardo a dati idonei a rivelare mutamenti delle originarie esigenze cautelari, già valutati dal Tribunale.

Per tali motivi la Corte deve rilevare che il provvedimento impugnato deve ritenersi correttamente e adeguatamente motivato, non essendo state ravvisate dal Giudice di appello significativi dati innovativi dell’originario quadro cautelare.

Il ricorso va dunque rigettato,con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Ritenuta irrilevante la questione di legittimità costituzionale proposta rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del procedimento. art. 94 disp. att. c.p.p..

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