Cons. Stato Sez. V, Sent., 04-08-2011, n. 4680 Contratti Controinteressati al ricorso Procedimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso al T.A.R. per la Campania notificato il 9 e depositato il 19 novembre 2009 la J. s.r.l. (già Consorzio J.) esponeva:

– che con contratto dell’11 gennaio 2006 l’Unione di Comuni Calatia, istituita tra i Comuni di Maddaloni, San Nicola La Strada e San Marco Evangelista, aveva affidato all’A.T.I. Consorzio J. / J. Imprese s.p.a. / F.lli B. s.r.l. / E. s.r.l. / I. s.r.l. / Impresa F., per la durata di anni sette decorrenti dal giorno 10 gennaio 2006, il servizio di spazzamento strade e raccolta in discarica, per l’intero territorio dei Comuni dell’Unione, per un canone annuo di Euro 7.324.343,51 oltre IVA;

– che l’art. 4.3 del contratto di appalto prevedeva che "il canone di appalto sarà sottoposto alle revisione periodica di cui all’art. 6 della legge 24.12.1993 n. 537, così come modificato dall’art. 44 della legge 23.12.1994, n. 724, a partire dal terzo semestre successivo alla data di effettivo inizio del servizio e verrà operata sulla base di un’istruttoria condotta dal dirigente o dal funzionario dell’Unione";

– che, tuttavia, l’Unione dei Comuni Calatia non aveva riconosciuto per tale appalto alcun compenso revisionale, nonostante i numerosi atti di diffida e messa in mora ad essa indirizzati.

Tanto premesso, la ricorrente deduceva, con un primo motivo di ricorso, la nullità per contrasto con norma imperativa della clausola contenuta nell’art. 4.3 del contratto di appalto, nella parte in cui escludeva la corresponsione dei compensi revisionali per i primi tre semestri di svolgimento del servizio, in quanto per la sua stessa ratio l’art. 6 della legge n. 537/93 avrebbe invece riconosciuto all’appaltatore il diritto a vedersi riconosciuta la revisione dei prezzi per tutto il periodo di svolgimento del servizio, senza alcuna limitazione temporale.

Essa lamentava, inoltre, che, nonostante i numerosi solleciti, l’Unione dei Comuni non aveva mai provveduto alla revisione del canone pattuito, nonostante l’esistenza della predetta clausola contrattale e la menzionata disposizione di legge; il comportamento inadempiente e silente dell’Unione di Comuni sarebbe stato in contrasto anche con i principi generali dell’attività amministrativa sanciti dall’art. 1 della legge 241/1990.

Per queste ragioni, la J. s.r.l. richiedeva al Giudice di prime cure: la declaratoria di nullità parziale dell’art. 4.3. del contratto di appalto; l’accertamento del proprio diritto alla revisione periodica del canone per l’intero periodo di svolgimento del servizio e, per l’effetto, la condanna dell’Unione dei Comuni al pagamento delle relative somme, quantificate alla data del 31.12.2008 in Euro 1.109.153,79 (ovvero la diversa somma quantificata in giudizio), oltre interessi e rivalutazione monetaria fino al soddisfo; ove necessario, l’annullamento del silenzio/non accoglimento della richiesta di revisione periodica del canone di appalto formulata da essa ricorrente con nota del 01.12.2008.

Resistevano in giudizio l’Unione dei Comuni ed il Comune di San Nicola La Strada.

Con la sentenza n. 17174/2010 in epigrafe il Tribunale adito, dopo avere respinto le eccezioni in rito opposte dalle resistenti difese, nel merito così decideva.

Per un verso, rigettava la tesi propugnata dalla ricorrente della nullità parziale del contratto di appalto con automatica sostituzione alla clausola contestata di una diversa disciplina di fonte legale, reputando che non fosse elusiva della invocata previsione normativa la stipulazione di una clausola che prevedeva farsi luogo alla revisione del prezzo originariamente pattuito soltanto dopo il decorso di un primo arco temporale di un anno e mezzo, periodo che non appariva incongruo od irragionevole, né tale da vanificare od aggirare l’obbligo posto dall’art. 6 della legge n. 537/1993.

Per altro verso, però, reputava fondata la doglianza della stessa ricorrente per cui l’Unione dei Comuni, nonostante le richieste ed i solleciti pervenuti, non aveva mai proceduto a sottoporre a revisione il canone di appalto, neppure a partire dal terzo semestre successivo alla data di effettivo inizio del servizio, come invece previsto dall’art. 4.3 del contratto di appalto.

Il ricorso veniva quindi accolto in relazione all’illegittimità del comportamento inadempiente e silente dell’Unione rispetto alla richiesta di revisione, con il riconoscimento del suo obbligo di verificare i titoli revisionali vantati dalla ricorrente al fine dell’accertamento, della determinazione e conseguente corresponsione degli importi eventualmente dovuti secondo le modalità indicate dall’art. 6, comma 4, della legge n. 537/93, tenendo altresì conto dell’applicabilità al contratto in questione, stipulato dopo l’8 agosto 2002, del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, di attuazione della dir. 2000/35/CE contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

Avverso tale pronuncia proponeva il presente appello il Comune di Maddaloni, che censurava la decisione appellata per avere disatteso l’eccezione di primo grado circa l’effetto interruttivo del processo che sarebbe scaturito dall’intervenuto scioglimento ed estinzione dell’Unione dei Comuni Calatia.

Veniva altresì esperito da parte del Comune di S. Nicola La Strada un appello incidentale, adesivo a quello principale, con il quale veniva ripresa anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa notifica ad almeno un controinteressato, da identificare tra i tre Comuni membri dell’Unione.

Si costituiva in resistenza agli appelli l’originaria ricorrente, che esponeva che il protrarsi dell’inerzia delle Amministrazioni interessate l’aveva nel frattempo costretta ad instaurare dinanzi al Tribunale un giudizio di ottemperanza al giudicato, la trattazione del quale era stata peraltro rinviata nell’attesa della definizione del presente appello. La società J. eccepiva l’inammissibilità dell’appello incidentale per intervenuta acquiescenza alla sentenza di primo grado, e deduceva nel merito l’immunità della pronuncia dai vizi dedotti, instando per la reiezione dei due appelli.

L’appellante incidentale ribadiva le proprie tesi con una successiva memoria.

Alla pubblica udienza del 7 giugno 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

La Sezione ritiene di poter prescindere dall’esame dell’eccezione di acquiescenza opposta dall’originario ricorrente all’appellante incidentale per la sicura infondatezza degli appelli.

1a Entrambi vertono sulla mancata interruzione del giudizio di primo grado a fronte dello scioglimento ed estinzione, nelle sue more, dell’intimata Unione dei Comuni Calatia.

L’appellante principale puntualizza in via preliminare che lo Statuto dell’Unione (art. 6, comma 4) prevedeva, in caso di suo scioglimento, che la gestione dei rapporti in essere sarebbe stata senz’altro devoluta ai singoli Comuni, che sarebbero subentrati pro quota in ragione della rispettiva popolazione residente. A norma di Statuto nessuna fase di liquidazione era dunque prevista, onde lo scioglimento dell’Unione aveva comportato alla data dell’11 gennaio 2010 la sua immediata estinzione.

Ciò premesso, il gravame è affidato in sintesi ai seguenti argomenti (che si ritrovano anche nell’appello incidentale):

– l’art. 92 R.D. n. 642/1907, che stabilisce che la morte o il mutamento di stato di una delle parti non sospende la procedura, non sarebbe conciliabile con le esigenze di garanzia e tutela sancite dal sopravvenuto art. 24 della Costituzione;

– benché l’art. 24 della legge n. 1034/1971 si riferisca testualmente alle sole parti private, la sua previsione andrebbe estesa almeno per analogia a quelle pubbliche;

– sarebbe incostituzionale la possibilità, affermata dalla sentenza appellata, che in un tema che coinvolge fondamentali diritti di difesa si possa applicare al processo amministrativo un regime diverso da quello seguito dinanzi al giudice ordinario: ed in seno alla giurisdizione ordinaria non si dubita che (anche) la soppressione di un ente pubblico sia causa di interruzione, principio che è stato applicato pure ai giudizi attualmente in corso in sede civile tra Unione e J.;

– i riscontrati profili di incostituzionalità imporrebbero una lettura costituzionalmente orientata delle norme legislative sopra citate;

– in coerenza con quanto esposto, l’art. 79 del Codice del Processo Amministrativo ha assoggettato l’interruzione del relativo giudizio alle disposizioni del Codice di Procedura Civile.

1b Questi rilievi non possono trovare adesione.

Una giurisprudenza di rara compattezza trae, dalla premessa che nei giudizi davanti ai Tribunali amministrativi regionali trova applicazione, relativamente agli eventi interruttivi del processo, l’art. 24 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, in base al quale l’interruzione del processo si ha con riguardo al verificarsi di uno di tali eventi in capo a "una delle parti private", la coerente conseguenza che il venir meno della "parte pubblica" non sia causa di interruzione del processo, e rimarca che la disposizione di cui all’art. 24 legge cit. non si applica in caso di soppressione o estinzione di un ente pubblico (tra le tante: C.d.S., Sez. VI, 15 luglio 2010 n. 4553; 22 agosto 2006, n. 4928; 7 luglio 2003, n. 4025; n. 21 maggio 2001, n. 2783; 5 gennaio 2001, n. 8; Sez. V, 07 settembre 2009, n. 5238).

In questa sede non sono state offerte ragioni tali da poter mettere in discussione questa pacifica e radicata interpretazione. Non è invocabile in tal senso la previsione introdotta in tema di interruzione dall’art. 79 del d.lgs. n. 104 del 2010, che si limita a fare rinvio, in materia, alle norme del codice di procedura civile, poiché la portata innovativa di tale precetto non ha valore retroattivo. Né vale il fatto che la disciplina sull’interruzione del processo civile sia differente da quella che deriva al processo amministrativo dalle citate norme e dalla loro (letterale) interpretazione giurisprudenziale. Le due forme di processo sono da sempre rette da fonti e, quindi, regole diverse, nelle quali si rispecchiano le rispettive peculiarità di genesi, struttura e funzione, onde la circostanza che un istituto trovi nel rito civile un regime diverso da quello per esso dettato sul terreno del processo amministrativo non integra di per sé alcuna anomalia né indice di incostituzionalità.

La mancata dichiarazione dell’interruzione del giudizio da parte del Tribunale, di conseguenza, risulta pienamente sorretta dalle norme di legge applicabili alla vicenda ratione temporis e dalla loro consolidata interpretazione giurisprudenziale.

1c Già nel corso del primo grado di giudizio, inoltre, è stata sollevata la questione della compatibilità con l’art. 24 della Costituzione del combinato disposto dell’art. 92 R.D. n. 642/1907 con l’art. 24 legge 1034/71, nella parte in cui questi escludono l’applicabilità dell’istituto dell’interruzione del giudizio in caso di estinzione di un ente pubblico.

La sentenza oggetto di appello ha peraltro dedicato al punto delle articolate e condivisibili osservazioni, che di seguito si riportano.

"Ritiene il Collegio che non ricorrano i presupposti per l’incidente di costituzionalità.

Nel diritto processuale civile l’istituto della interruzione del processo mira, nel caso di morte o perdita di capacità della parte, a tutelarne gli eredi, nei cui confronti il giudicato fa stato ad ogni effetto; nello specifico caso in cui l’evento colpisca la parte già costituita, la produzione dell’effetto interruttivo è rimessa all’iniziativa del procuratore della stessa parte, sul quale incombe, in virtù della procura ad litem, l’obbligo di rendere noto agli eredi del mandante il verificarsi dell’evento che abbia colpito quest’ultimo e di concordare quindi con essi la eventuale dichiarazione produttiva dell’effetto interruttivo (C.Cost. ord. n. 151 del 2000; sent. n. 136 del 1992).

Il legislatore del 1971 ha esteso l’istituto anche al processo amministrativo, limitatamente però alle parti private, per le quali ha ritenuto sussistere, pur tra le perplessità della dottrina dell’epoca, una analoga esigenza di tutela.

Non ricorre una corrispondente esigenza di salvaguardia quando si tratta di amministrazioni pubbliche, che nel caso di estinzione di altre amministrazioni subentrano automaticamente nei loro rapporti (a titolo universale o particolare, a seconda di ciò che possa avere previsto la disposizione di legge o l’atto amministrativo a base del loro scioglimento), con modalità affatto diverse da quelle che regolano la successione tra privati; e questa più ben stretta linea di continuità tra l’ente che si estingue e l’ente che gli subentra (che non necessita certo della intermediazione del procuratore ad litem per venire a conoscenza dell’evento) non consente di ravvisare una lesione del diritto di difesa nella mancata previsione di una discontinuità nel processo (l’interruzione), non essendo pregiudicato il contraddittorio né sorgendo ostacolo per far valere le ragioni delle parti."

La sentenza n. 17174/2010 in epigrafe ha quindi motivatamente concluso che la prospettata questione di costituzionalità risultava manifestamente infondata, e questo sia per la non comparabilità delle situazioni messe a confronto, sia per l’assenza di lesione del diritto di difesa.

Ora, gli appellanti, pur avversando una simile conclusione, non hanno fornito argomenti che potessero confutare la motivazione sopra esposta, e segnatamente la peculiarità, a ragione sottolineata dal T.A.R., del modo di operare della successione tra enti pubblici rispetto ad analoghe vicende tra privati. Né, pur richiamandosi alla tutela del diritto costituzionale di difesa, gli stessi appellanti hanno concretamente superato le argomentazioni con cui il primo giudice aveva escluso la presenza di una lesione del valore della difesa in giudizio per le Pubbliche Amministrazioni. Lesione tanto più ardua da rinvenire, nello specifico, in presenza di una previsione statutaria, racchiusa nell’art. 6 dello Statuto dell’Unione e sopra già menzionata, che inequivocabilmente recitava, in termini per così dire autoesecutivi: "In caso di scioglimento, la gestione dei rapporti è devoluta ai singoli Comuni, che vi subentrano pro quota in ragione della popolazione residente al 31 dicembre dell’anno precedente".

Della questione proposta si può pertanto ribadire la manifesta infondatezza per le ragioni sopra esposte, avuto riguardo, in particolare, alla notorietà che caratterizza le vicende estintive che colpiscono le Amministrazioni pubbliche, per lo meno nei riguardi degli enti chiamati a succedere loro, ed altresì alla doverosità ed ordinaria automaticità delle relative vicende successorie.

2 L’appellante incidentale riprende, infine, l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa notifica ad almeno un controinteressato, da identificare, a suo avviso, sin dalla data di notifica del ricorso di prime cure, tra i Comuni membri dell’Unione.

Neppure questo rilievo può essere condiviso.

Il T.A.R. ha rettamente escluso che all’atto della proposizione del ricorso fosse ravvisabile in capo ai singoli Comuni dell’Unione la qualità di controinteressati, benché in caso di accoglimento del ricorso gli oneri discendenti dall’eventuale adeguamento del canone contrattuale sarebbero stati in ultima analisi da essi sopportati, stante la natura derivata della finanza dell’Unione.

La decisione del punto poggia sulle seguenti, ineccepibili considerazioni.

"La posizione processuale di controinteressato è collegata all’interesse sostanziale alla conservazione degli effetti di un atto impugnato in giudizio, dal quale uno o più terzi abbiano acquistato una posizione giuridica di vantaggio in via immediata (cfr. art. 21 l. 1034/71: "… controinteressati ai quali l’atto direttamente si riferisce") – nel senso che l’attribuzione di quella posizione di vantaggio costituisce, in tutto o in parte, funzione dell’atto – di cui, dunque, si troverebbero privati nel caso di annullamento dell’atto medesimo.

Non è questo il caso in esame, nel quale, invece, il paventato pregiudizio economico per le singole amministrazioni non costituirebbe altro che un effetto mediato e riflesso dell’eventuale fondatezza della pretesa nei confronti dell’Unione di comuni, cioè un mero pregiudizio in via di fatto che non legittima ad altro che all’intervento in giudizio ed alla opposizione di terzo.

Neppure potrebbe ragionarsi, nella logica del giudizio non impugnatorio, in termini di litisconsorzio necessario, del quale comunque, alla stregua delle norme che lo regolano, mancano i presupposti, per le stesse ragioni per cui l’azione di condanna nei confronti di un ente munito di soggettività autonoma non richiede citazione in giudizio dei singoli associati, soci o membri."

L’appellante incidentale obietta che dall’accoglimento del ricorso i Comuni avrebbero tratto un pregiudizio non già solo mediato e in via di mero fatto, bensì diretto: e questo anche in ragione del fatto che, si deduce, l’Unione si sarebbe sciolta ancor prima della notifica del ricorso di prime cure.

A tanto è però agevole opporre che l’Unione costituiva un ente locale a sé stante (cfr. l’art. 32, comma 1°, d.lgs. n. 267 del 2000), con propri organi, bilancio e autonomia finanziaria (cfr. l’art. 33 comma 1° dello Statuto), il quale rivestiva in via esclusiva la posizione di committente nel contratto di appalto di cui si tratta. Ne discende che fino alla estinzione di tale soggetto, in data 11 gennaio 2010, vale a dire circa due mesi dopo la proposizione del ricorso al T.A.R. della J. s.r.l., i maggiori ipotetici crediti riconoscibili all’appaltatrice sarebbero potuti impattare solo in via riflessa sulla sfera giuridica individuale dei Comuni che all’Unione avevano dato vita.

Donde l’inconfigurabilità in capo agli stessi Comuni, all’epoca, di una posizione di controinteresse in senso proprio, e perciò la conferma dell’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità riproposta in questa sede.

3 In conclusione, tanto l’appello principale quanto quello incidentale devono essere respinti, siccome infondati.

Le spese sono liquidate, secondo soccombenza, dal seguente dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, respinge sia l’appello principale che quello incidentale.

Condanna le appellanti, in parti uguali, al rimborso all’originaria ricorrente delle spese processuali, che si liquidano nella misura complessiva di euro duemila.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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