Cons. Stato Sez. V, Sent., 04-08-2011, n. 4679 Concessioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Nel territorio del Comune di Gualdo Tadino, al confine con quello del Comune di Nocera Umbra, esiste una sorgente denominata "Sorgente Boschetto". Essa alimenta un corso d’acqua chiamato "Rio Fergia", tributario principale del torrente Caldognola, che a sua volta assicura buona parte della portata al fiume Topino.

Negli ultimi anni la sorgente è stata utilizzata a fini idropotabili da entrambi i Comuni, sulla base di un Protocollo d’Intesa siglato nel 1993, con la partecipazione anche del "Comitato per la difesa del Rio Fergia", costituito tra gli abitanti della zona.

2. Una recente iniziativa di sfruttamento di acque minerali collegate alla sorgente ha determinato un fitto contenzioso.

La controversia, instaurata dal Comune di Nocera Umbra, concerne i provvedimenti con i quali, come appresso verrà più diffusamente esposto, la Regione dell’Umbria ha rilasciato una concessione per lo sfruttamento di dette acque minerali.

3. La R. S.p.a., già titolare della concessione di sfruttamento di acqua minerale omonima ubicata nel Comune di Gualdo Tadino, otteneva in un primo tempo, con determinazione regionale n. 1900 del 2003, ai sensi della L.R. n. 48/1987, un permesso di ricerca per un ambito territoriale che giunge a poco più di un chilometro dalla Sorgente Boschetto.

Il permesso di ricerca poneva a carico della società l’onere di dimostrare, ai sensi del Piano Straordinario per l’emergenza idrica 2002 – Primo Stralcio (approvato, sulla base dell’ordinanza del P.C.M. n. 3230/2002, con ordinanza del P.G.R. n. 126 in data 26 novembre 2002), l’indipendenza della risorsa idrica da altri punti di prelievo di acque destinate al consumo umano, il mantenimento della risorsa non rinnovabile, e la compatibilità dei prelievi complessivi con il bilancio delle risorse idriche interessate.

In relazione a tali presupposti, con la deliberazione della G.R. n. 1279/2004 l’A.R.P.A. Umbria era incaricata di provvedere all’analisi idrogeologica ed ambientale del sistema acquifero dei Monti di Gualdo Tadino. In sintesi, l’A.R.P.A. giungeva alla conclusione che la messa in produzione del Pozzo Corcia non avrebbe determinato conseguenze negative sulle disponibilità idropotabili della Sorgente Boschetto.

4. Sulla scorta delle conclusioni contenute nel Rapporto Preliminare dell’A.R.P.A., la Giunta Regionale, con deliberazione n. 118 del 2005, esprimeva il proprio assenso al rilascio alla società R. di una concessione di sfruttamento di acqua minerale nel nuovo sito, ponendo alcune condizioni.

A seguito di nuova istanza, questa volta da parte della I. S.r.l., la Giunta Regionale, sulla base delle conclusioni contenute nel Rapporto Finale dell’A.R.P.A., e tenuto conto delle "misure di portata" effettuate sul Rio Fergia in attesa della installazione di un sistema di monitoraggio continuo, con deliberazione n. 1654 del 27 settembre 2006 assentiva la concessione per lo sfruttamento di acqua minerale, appunto mediante l’utilizzazione del "Pozzo Corcia" o "Pozzo I." (che era stato scavato da R. in base al suddetto permesso di ricerca).

La concessione avrebbe avuto una estensione di 290 ha, una durata di 30 anni e sarebbe stata riferita al prelievo di una quantità massima di acqua pari a 7 l/s nei mesi di agosto, settembre ed ottobre, e a 12 l/s nei restanti mesi.

Il rilascio della concessione era subordinato all’osservanza di alcune condizioni. Tra l’altro, veniva previsto:

a) che i prelievi complessivi dalla Sorgente Boschetto per uso idropotabile non fossero superiori a 21 l/s, di cui 20 l/s in favore dell’A.T.O. "Umbria 3" (utenze di Nocera Umbra) e 1 l/s in favore dell’A.T.O. "Umbria 1", per l’approvvigionamento della Frazione Boschetto (Gualdo Tadino).

b) che il concessionario realizzasse l’adeguamento e la razionalizzazione della rete acquedottistica dell’A.T.O. "Umbria 1" ricadente nel Comune di Gualdo Tadino, per consentire un diverso approvvigionamento delle utenze fino ad allora servite dalla Sorgente Boschetto.

c) che il concessionario, mediante la sottoscrizione di un "disciplinare d’uso", assumesse, oltre all’obbligo di contenere i prelievi entro i limiti di 12 – 7 l/s, predetti, ridotti alla metà nelle more dell’adeguamento della rete acquedottistica, anche quello di rinunciare ad indennizzi di sorta in caso di eventuali ulteriori restrizioni dovute all’emergenza idrica.

d) che nel Programma Generale dei Lavori fosse prevista la realizzazione a carico del concessionario dello snodo ferroviario di collegamento dello stabilimento R. con la stazione di Gualdo Tadino, nonché il finanziamento di interventi di tutela della qualità delle acque, comprensivi della riqualificazione ambientale del Rio Fergia e della Frazione Boschetto.

5. Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, il Comune di Nocera Umbra impugnava la deliberazione n. 1654/2006, unitamente agli atti presupposti.

A seguito di trasposizione in sede giurisdizionale, il ricorso veniva incardinato dinanzi al T.A.R. per l’Umbria.

Il Comune deduceva le censure appresso sintetizzate.

5.1. Vi è incompetenza assoluta e violazione dei principi generali in materia di distinzione tra l’attività di indirizzo politicoamministrativo e quella di gestione. Infatti la Giunta ha puntualmente individuato tutti i contenuti della concessione, esaurendo così ogni potestà decisionale del dirigente, e facendo sì che nel procedimento diventassero prevalenti interessi (occupazionali, produttivi, all’infrastrutturazione del territorio comunale) estranei a quelli che potevano assumere rilevanza.

5.2. Il provvedimento si basa su elementi di fatto incompleti e fuorvianti e su indagini idrogeologiche e geologiche non sufficientemente approfondite, in violazione anche degli articoli 97 e 144, comma 4, del d.lgs. 152/2006, e del punto 1.2. della direttiva di cui alla deliberazione della G.R. n. 6306 in data 25 novembre 1998, sulla priorità dell’approvvigionamento idropotabile della collettività.

Tale rilievo viene mosso sulla base della "Valutazione degli effetti di ulteriori captazioni sul regime della Sorgente Boschetto" predisposta dai proff. Tulipano e Sappa nel dicembre 2006, già richiamata dal Comune ricorrente a supporto del parere negativo da esso espresso nel procedimento concessorio, che avversa le conclusioni dell’A.R.P.A..

5.3. Vi è contraddittorietà, perplessità e difetto di motivazione.

Infatti, il rilascio della concessione era stato sempre subordinato, dai provvedimenti precedenti, alla dimostrazione dell’indipendenza della risorsa acqua minerale dalle sorgenti destinate al consumo umano (segnatamente, dalla Sorgente Boschetto): indipendenza che le stesse conclusioni dell’A.R.P.A. hanno invece escluso ("Il Pozzo Corcia risulta ubicato nel sottobacino idrogeologico certo del Rio Fergia – Sorgente Boschetto" – si legge al punto 1 della "Sintesi dei risultati e conclusioni", a pag. 5 del "Rapporto Finale").

5.4. Vi è violazione del Piano degli interventi urgenti e necessari ad affrontare la crisi idrica – Primo Stralcio, approvato con ordinanza del P.G.R. n. 126 in data 26 novembre 2002.

Non vengono rispettate le "Linee guida transitorie per la ricerca ed utilizzo di acque sotterranee" contenute nel Piano, almeno sotto due profili: a) quanto alle "condizioni minimali", non è stata accertata l’incidenza del prelievo sulla "Conservazione degli ecosistemi sugli eventuali corsi d’acqua a valle" (pag. 39 del Piano), e non è nemmeno stato individuato il "Deflusso Minimo Vitale"; b) quanto alle "disposizioni tecnicoamministrative", sono state previsti prelievi che disattendono le soglie di portata e di volume giornaliero di prelievo previste nella fase transitoria (par. 2.10.2. riferito al par. 2.8. del Piano).

5.5. Risulta violato anche il Protocollo d’Intesa in data 15 febbraio 1993.

Il prelievo, se nel "periodo di magra" (luglio, agosto, settembre) risulta limitato a 28 l/s, nel "periodo di morbida" raggiunge i 33 l/s, eccedendo il limite di 28 l/s stabilito dal Protocollo d’Intesa (fatto proprio con deliberazione della G.R. n. 852 in data 24 febbraio 1993).

6. Con la determinazione dirigenziale regionale n. 4860 in data 25 maggio 2007, infine, ritenendosi realizzate le condizioni poste dalla deliberazione n. 1654/2006, e nonostante il parere negativo espresso dal Comune di Nocera Umbra, veniva rilasciata ad I. la concessione di acqua minerale con i contenuti suddetti. Contestualmente, era approvato il relativo Programma Generale dei Lavori e delimitate la "Zona di protezione igienicosanitaria", la "Zona di tutela assoluta", la "Zona di rispetto ristretta" e la "Zona di rispetto allargata".

7. Il Comune di Nocera Umbra, con un secondo ricorso dinanzi allo stesso Tribunale, impugnava quindi anche tale determinazione n. 4860, unitamente agli atti presupposti.

Venivano dedotte, oltre all’illegittimità derivata da quella della deliberazione giuntale presupposta, le ulteriori censure appresso sintetizzate.

7.1. E’ mancato, in violazione dell’articolo 8 della L.R. n. 48/1987, il presupposto costituito dall’accertamento dell’esistenza e della coltivabilità del giacimento di acque minerali. Accertamento che, stante il regime di "doppia tutela" vigente nel settore delle acque minerali, concorre con quello, di competenza dell’autorità sanitaria, previsto dall’articolo 4 del d.lgs. 105/1992.

7.2. Venivano poi riproposte le censure di cui al punto 5.2., alla luce della nota di controdeduzioni dell’A.R.P.A. prot. 668934 in data 26 aprile 2007.

La Regione ha disatteso le osservazioni presentate dal Comune con riferimento alla relazione dei proff. Tulipano e Sappa. Ma i predetti esperti hanno svolto "Considerazioni aggiuntive", nell’agosto 2007, che hanno messo in luce come le controdeduzioni regionali non possano superare le perplessità sulla carenza di un quadro conoscitivo completo del sistema idrogeologico, quadro che potrebbe provenire soltanto dal dato sperimentale, mentre non sono attendibili le prove di emungimento fatte con il pozzo esplorativo.

7.3. Vi è anche violazione del Piano regolatore degli acquedotti approvato con deliberazione del C.R. n. 120 in data 13 febbraio 2007, in attuazione della L.R. n. 5/2006.

Detto Piano, infatti, comprende la Sorgente Boschetto – Rio Fergia tra le fonti di approvvigionamento da riservare all’uso idropotabile (articolo 2, comma 2, lettera b), della l.r. 5/2006) e delle quali è disposto il "vincolo totale" (articolo 7).

7.4. Ad avviso del Comune ricorrente, dalla considerazione dei "criteri di valutazione" fissati dalla direttiva di cui alla deliberazione della G.R. n. 6306 in data 25 novembre 1998, ai quali l’Amministrazione deve attenersi ai fini del rilascio della concessione di sfruttamento di acqua minerale, discende che debba essere effettuata una valutazione di compatibilità ambientale della concessione. Detta valutazione, imposta anche dal Piano approvato con O.P.G.R. n. 126/2002 (come già dedotto nel primo ricorso – cfr. supra, punto 5.4.), non è però rinvenibile negli atti del procedimento.

7.5. La deliberazione n. 6306/1998 stabilisce che nel rilascio della concessione si debba tener conto anche dell’ "importanza dell’intervento nell’economia locale e regionale", sulla scorta delle risultanze del programma generale dei lavori richiesto dall’articolo 8, comma 2, della l.r. 48/1987 (che deve descrivere "…gli interventi destinati all’utilizzazione del giacimento, i riflessi occupazionali, la spesa prevista, il relativo piano finanziario, i tempi di attuazione…").

Gli interventi indicati nel programma ammontano nominalmente, nel quinquennio, a 45 milioni di Euro. Tuttavia, occorre considerare che, di questi, 30 milioni di Euro sono destinati alla pubblicità; 2 milioni alla bretella ferroviaria, che interessa esclusivamente allo stabilimento R.I.; 9 milioni alla realizzazione di due nuove linee di imbottigliamento; 2,5 milioni ai lavori minerari (di cui soltanto 450.000 per interventi di tutela della qualità delle acque).

Pertanto, l’impatto positivo per l’economia della regione deve essere assai ridimensionato rispetto alle prospettazioni aziendali, e comunque si presenta inadeguato al valore della risorsa pubblica concessa.

Anche la creazione di 40 posti di lavoro (tra cui 20 indiretti, compresi i trasportatori) comporta livelli occupazionali proporzionalmente assai più bassi di quelli assicurati nella Regione dagli altri operatori del settore, e comunque appare inadeguata rispetto al valore della risorsa pubblica.

7.6. Non è stata valutata l’idoneità tecnicoeconomica del richiedente, in violazione del principio contenuto nell’articolo 15, comma 1, del R.D. 1443/1927 e nell’articolo 10, comma 1, della L.R. n. 47/1987.

L’idoneità è stata infatti affermata, nel provvedimento, alla luce della possibilità che I. si avvalga "dell’esperienza maturata e dei risultati raggiunti dalla R. S.p.a., appartenente allo stesso gruppo imprenditoriale". E’ mancata però, al riguardo, ogni effettiva verifica. Risulta, inoltre, che I. abbia un capitale sociale di poco più di 50.000 Euro, e che R. ed I. siano controllate da una società di diritto spagnolo: ma non consta che i rapporti tra le due società siano disciplinati da alcun regolamento contrattuale idoneo ad assicurare che l’avvalimento dell’una da parte dell’altra sia effettivo e duraturo. Cosicché, il collegamento presupposto dal provvedimento impugnato potrebbe venir meno per decisione esterna senza che l’Amministrazione, o le due società, possano fare nulla per impedirlo.

7.7. Infine, appare illogica ed immotivata la durata di venti anni assegnata alla concessione.

8. Resistevano alle impugnative del Comune di Nocera Umbra la Regione Umbria e la I.; si costituiva altresì il Comune di Gualdo Tadino; intervenivano nel primo grado di giudizio adadiuvandum l’ass. Italia Nostra, il Comitato per la difesa del Rio Fergia ed il sig. G. T.; ad opponendum, l’A.R.P.A..

9. Il Tribunale adìto, con la sentenza n. 189/2008, riuniti i due ricorsi, dopo avere respinte le eccezioni in rito opposte dalle resistenti difese e disattese alcune delle censure di parte ricorrente, reputava in conclusione fondate le seguenti doglianze:

– incompetenza della Giunta e violazione dei principi generali in materia di distinzione tra l’attività di indirizzo politicoamministrativo e quella di gestione, per avere la Giunta regionale, in occasione della propria deliberazione n. 1654/2006, puntualmente individuato tutti i contenuti della futura concessione, esaurendo così ogni potestà decisionale del dirigente;

– omessa effettuazione della valutazione di compatibilità ambientale della concessione;

– inadeguata valutazione dell’importanza dell’intervento nell’economia locale e regionale, anche alla luce del valore della risorsa pubblica concessa;

– carente valutazione dell’idoneità tecnicoeconomica della società richiedente.

Per tali ragioni, il primo Giudice accoglieva parzialmente il primo ricorso comunale ed integralmente il secondo, per l’effetto annullando in parte qua (vale a dire sotto il profilo dell’invasione delle competenze dirigenziali) la deliberazione della G.R. n. 1654/2006, e totalmente la determinazione dirigenziale n. 4860/2007.

10. Avverso la sentenza del Tribunale proponeva il presente appello la I., che sottoponeva a censura i capi della decisione a sé sfavorevoli riproponendo, in sostanza, le proprie deduzioni ed argomentazioni del giudizio di primo grado.

Si costituivano in resistenza all’appello il sig. G. T., con atto di stile, il Comune di Nocera Umbra ed il Comitato per la difesa del Rio Fergia, che con le rispettive memorie controdeducevano alle censure dell’appellante e concludevano per la reiezione della sua impugnativa.

Alla pubblica udienza del 7 giugno 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

La sentenza in epigrafe forma oggetto di appello da parte dell’IDREA, dunque, per la parte in cui dal T.A.R. per l’Umbria sono stati annullati i provvedimenti con i quali la stessa Regione le aveva rilasciato la concessione per lo sfruttamento di acque minerali della quale si è detto.

I rimanenti capi della stessa sentenza, reiettivi di altre doglianze proposte dal medesimo Comune appellante, in difetto di impugnativa sono già diventati definitivi.

L’appello di I. è infondato.

11. Il primo motivo della presente impugnativa è inteso a contestare l’accoglimento da parte del T.A.R. della censura comunale di incompetenza della Giunta regionale, e di violazione dei principi generali in materia di distinzione tra l’attività di indirizzo politicoamministrativo e quella di gestione, per avere la Giunta, in occasione della deliberazione n. 1654/2006, puntualmente individuato tutti i contenuti della futura concessione, esaurendo così ogni potestà decisionale del dirigente.

Per una più agevole disamina del mezzo conviene riportare subito i passaggi argomentativi che la sentenza oggetto di scrutinio ha dedicato alla questione.

" La deliberazione della G.R. n. 1654/2006 ha travalicato l’ambito dell’indirizzo politicoamministrativo demandato all’organo rappresentativo, poiché è giunta a definire i contenuti specifici del provvedimento da rilasciare.

La questione da decidere non è se la Giunta avesse o meno il potere di deliberare indirizzi in materia di concessioni di acque minerali, come già aveva fatto in via generale emanando le direttive di cui alla deliberazione n. 6306/1998.

Certamente aveva tale potere, salva la verifica della legittimità delle modalità e dei contenuti della modifica o integrazione delle direttive generali, disposta in via particolare.

In concreto, la circostanza che, tra i contenuti della decisione da assumere, vi fosse anche la modifica delle modalità di rifornimento di acqua ad uso idropotabile definite nel 1993 da un Protocollo d’Intesa sottoscritto da due Comuni, rendeva (se non necessario, quanto meno) fisiologico, sotto il profilo politicoamministrativo, che se ne occupasse l’organo politicoamministrativo regionale.

Ma detto rilievo concerne soltanto una parte dei contenuti del provvedimento. Per il resto (vale a dire, per tutto quanto riguarda gli aspetti tecnico attuativi della concessione, una volta risolta la compatibilità rispetto al Protocollo attraverso l’individuazione di modalità alternative per l’approvvigionamento delle utenze di Gualdo Tadino) vi è un’invasione dell’ambito gestionale riservato al dirigente competente.

Si tratta, va precisato, non di incompetenza c.d. assoluta, bensì di incompetenza c.d. relativa, spettando la competenza provvedimentale ad un organo del medesimo plesso amministrativo (cfr. Cons. Stato, IV, 28 febbraio 2005, n. 739; TAR Campania, 12 aprile 2005, n. 3780).

L’illegittimità parziale della deliberazione giuntale sotto tale profilo, non inficia però la determinazione dirigenziale n. 4860/2007.

Il provvedimento giuntale avrebbe potuto inficiare il provvedimento dirigenziale qualora (fosse in qualche modo desumibile dagli atti del procedimento che) l’organo tecnico si sia sentito vincolato dai contenuti (impropriamente) predefiniti dall’organo politico in sede di indirizzo, pur avendo intenzione di assumere determinazioni differenti.

Tuttavia, nel caso in esame, il dirigente ha fatto propri, senza esprimere riserve o perplessità, anche i contenuti derivanti dall’istruttoria espletata nella fase precedente.

La determinazione n. 4860/2007 costituisce autonomamente tutti gli effetti lesivi della situazione giuridica del Comune ricorrente (che, peraltro, riconosce l’assenza, tra i due atti, "di un vincolo procedimentale positivamente posto") ed è interamente imputabile al dirigente, il quale ne assume ogni conseguente responsabilità.

D’altra parte, un costante collegamento e confronto, con la possibilità di influenzare le scelte altrui (in qualche misura, reciproca), tra organi di indirizzo ed organi di gestione corrisponde al modello introdotto nell’ordinamento a partire dal d.lgs. 29/1993, che non è improntato ad una netta separazione, bensì alla distinzione (articolo 3 del d.lgs. 80/1998) dei poteri; e comunque rientra nella prassi diffusa dell’azione amministrativa.

Se dovesse ritenersi che abbiano trovato spazio nella valutazione interessi diversi da quelli considerati dalla normativa, ciò dipenderebbe dal cattivo esercizio della discrezionalità da parte del dirigente, non dall’adozione della deliberazione presupposta (ed infatti, tali aspetti sono stati puntualmente censurati dal Comune ricorrente nei confronti della determinazione n. 4860/2007).

In sostanza, l’adozione dell’atto giuntale, per quanto detto parzialmente illegittimo, non cambia la sostanza della determinazione dirigenziale, cui è riconducibile per intero l’efficacia giuridica della decisione qui contestata."

Contro questo capo della sentenza di primo grado la società appellante svolge, in primo luogo, due considerazioni critiche che non hanno ragione d’essere, in quanto scaturiscono da un fraintendimento dei contenuti della decisione.

L’appellante si adopera per contestare l’esistenza di un nesso di presupposizione tra la deliberazione di Giunta n. 1654/2006 e la successiva determinazione regionale n. 4860/2007, come pure per criticare l’idea che la stessa Giunta avesse esaurito il proprio potere di indirizzo in materia già con la sua direttiva generale n. 6306/1998.

Il fatto è, però, che la sentenza in epigrafe non afferma punto l’esistenza di un nesso di presupposizione tra i due provvedimenti, bensì la esclude, tant’é che per il vizio in discussione annulla esclusivamente la deliberazione di Giunta, e per converso caduca la determinazione dirigenziale solo per ragioni di merito (cfr. anche la pag. 41).

Analogamente, la sentenza non esprime l’idea che con la direttiva n. 6306/1998 la Giunta avesse esaurito il proprio potere di indirizzo in materia. Ben al contrario, vi si osserva che "la circostanza che, tra i contenuti della decisione da assumere, vi fosse anche la modifica delle modalità di rifornimento di acqua ad uso idropotabile definite nel 1993 da un Protocollo d’Intesa sottoscritto da due Comuni, rendeva (se non necessario, quanto meno) fisiologico, sotto il profilo politicoamministrativo, che se ne occupasse l’organo politicoamministrativo regionale. "

I profili del primo mezzo d’appello appena indicati non sono quindi sorretti da alcun intesse.

Per quanto residua, la conclusione del primo Giudice che la Giunta regionale abbia straripato dalla sua funzione di indirizzo, invadendo per gli aspetti tecnicoattuativi della concessione l’ambito gestionale riservato al dirigente competente, viene avversata dall’appellante (al di là di affermazioni astratte e puramente apodittiche) essenzialmente con l’argomento che quanto della delibera n. 1654 eccede l’ambito della stretta funzione di indirizzo non rappresenta altro "se non le risultanze tecniche fornite dall’ARPA Umbria al fine di garantire la compatibilità della eventuale concessione acquifera con la tutela ambientale".

Come si ricorda anche nell’atto di appello, tuttavia, l’art. 3 del d.lgs. n. 80 del 1998 fa rientrare nella funzione di indirizzo politicoamministrativo, per quanto qui interessa, solo la "definizione di obiettivi, priorità, programmi e direttive generali", mentre conferisce ai dirigenti l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, con il completo corredo dei conferenti poteri di gestione (ed una responsabilità esclusiva per i relativi risultati).

Ora, come ha impeccabilmente rilevato il T.A.R., con la deliberazione in scrutinio la Giunta, ben lungi dal limitarsi alla definizione di "obiettivi, priorità, programmi e direttive generali" tesi ad indirizzare la dirigenza nell’esercizio della potestà concessoria, non solo si è occupata ex professo di una singola fattispecie, ma lo ha fatto entrando nei minuti dettagli finanche tecnici della relativa materia, dettando in proposito condizioni, limiti e prescrizioni assai puntuali, con il risultato pratico di invadere l’ambito gestionale riservato al dirigente competente, e, in ultima analisi, di esautorarlo.

E’ infatti appena il caso di osservare che la potestà di rilascio delle concessioni di sfruttamento delle acque minerali non si inquadra, e tantomeno può essere risolta, nella funzione di indirizzo dell’organo politico, ma appartiene anch’essa alle competenze della dirigenza. Ed è al competente dirigente che spetta, nell’esercitarla, attenersi alle previsioni della L.R. n. 48/1987 e ai criteri di valutazione di cui alla delibera di G.R. n. 6306/1998, e, in particolare, confrontarsi con gli aspetti tecnici esposti da organismi come l’A.R.P.A., tutto questo nel rispetto, sì, degli atti di indirizzo formulati dagli organi di governo, ma senza poter subire alcuna forma di ingerenza eccedente i confini logicogiuridici propri della medesima funzione di indirizzo.

L’atto assunto dalla Giunta, di contro, a partire dal livello di dettaglio delle sue indicazioni tecniche, e fino alla formulazione del suo dispositivo, che vede la Giunta esprimere -non già un indirizzo, ma- un "assenso al rilascio" di una concessione dai tratti già delineati, si manifesta estraneo al modello di riparto tra funzioni di indirizzo e di gestione operato dalla normativa che precede, e richiama semmai uno schema logico ben diverso, ed appunto contra legem, ispirato all’idea di una sorta di contitolarità della funzione di gestione.

Il motivo va pertanto disatteso.

12. Infondato è anche il secondo mezzo, che è focalizzato sulla omessa considerazione dell’incidenza del prelievo idrico assentito sulle componenti ambientali.

Secondo il Comune ricorrente in prime cure, i "criteri di valutazione" fissati dalla direttiva di cui alla deliberazione della G.R. n. 6306/1998, ai quali l’Amministrazione deve attenersi ai fini del rilascio della concessione di sfruttamento di acqua minerale, comportano che debba essere effettuata, in pratica, una valutazione preventiva di compatibilità ambientale della concessione. Una simile valutazione è imposta anche dal Piano degli interventi urgenti e necessari ad affrontare la crisi idrica – Primo Stralcio, approvato con ordinanza del P.G.R. n. 126 in data 26 novembre 2002, le cui "Linee guida transitorie per la ricerca ed utilizzo di acque sotterranee" richiedono, tra le "condizioni minimali", quella che sia accertata l’incidenza del prelievo sulla "Conservazione degli ecosistemi sugli eventuali corsi d’acqua a valle" (pagg. 3839 del Piano), oltre a chiedere di individuare, e poi garantire, il c.d. "Deflusso Minimo Vitale". Tali valutazioni e accertamenti non sono però rinvenibili negli atti del procedimento.

Il Tribunale ha recepito questa impostazione, con una motivazione che per semplicità di esposizione conviene qui senz’altro riportare.

"Le parti resistenti sostengono la non applicabilità dei parametri a tal fine invocati dal Comune ricorrente: "Linee Guida transitorie" del Piano degli interventi urgenti e necessari ad affrontare la crisi idrica – Primo Stralcio" approvato -sulla base dell’O.P.C.M. n. 3230/2002- con O.P.G.R. n. 126 in data 26 novembre 2002; "criteri di valutazione" fissati dalla direttiva di cui alla deliberazione della G.R. n. 6306 in data 25 novembre 1998.

La tesi presuppone che la disciplina delle acque minerali rimanga estranea a quella delle (altre) acque pubbliche per rientrare in quella delle miniere.

Tale settorialità e specificità, già sancita dall’articolo 1, comma 4, della legge 36/1994, sarebbe stata confermata dal d.lgs. 152/2006, l’articolo 144, comma 5, del quale stabilisce che le acque minerali e termali e per uso geotermico sono disciplinate da norme specifiche, nel rispetto del riparto di competenze costituzionalmente determinato.

Il Collegio non condivide questa impostazione.

Infatti, la normativa concernente lo sfruttamento delle acque minerali ( R.D. 1443/1927, l.r. 48/1987) non preclude l’applicazione della normativa in materia di tutela e gestione delle risorse idriche, oggi dettata dal d.lgs. 152/2006.

Il raccordo tra le normative si ritrova all’articolo 97 del predetto d.lgs. 152/2006, secondo cui le concessioni di utilizzazione delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente sono rilasciate tenuto conto delle esigenze di approvvigionamento e distribuzione delle acque potabili e delle previsioni del Piano di tutela di cui all’articolo 121. Vale a dire, del Piano di tutela delle acque, che deve individuare, soprattutto, gli obbiettivi di qualità ambientale per ogni corpo idrico, sia superficiale che sotterraneo, e le conseguenti misure di tutela qualitative e quantitative, tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico.

Può affermarsi dunque, in via di principio, che anche le concessioni di sfruttamento di acque minerali devono essere subordinate al Piano di Tutela.

Vero è che nella Regione dell’Umbria il predetto Piano, nonostante l’Intesa istituzionale in tema di Tutela delle acque e gestione integrata delle risorse idriche sottoscritta con il Governo in data 1 marzo 2004, non è stato ancora definito.

Peraltro, non ne deriva l’impossibilità attuale di valutare la sostenibilità ambientale della concessione di acque minerali in esame, al fine di conseguire gli obiettivi che l’articolo 121 direttamente assegna al Piano, vale a dire: garanzia del minimo deflusso vitale del corpo idrico interessato dal prelievo (nel caso in esame, il Rio Fergia), della capacità di ravvenamento della falda, dell’equilibrio del bilancio idrico del bacino o sottobacino (il n. 4, del TopinoMaroggia) di riferimento.

Infatti, a colmare la lacuna derivante dalla mancata definizione del Piano di Tutela intervengono i criteri di valutazione dettati dalle direttive di cui alla deliberazione della G.R. n. 6036/1998, applicative della l.r. 47/1987.

Tra questi – oltre alla valutazione delle "condizioni geologiche ed idrogeologiche degli acquiferi" (1.1.) e degli "interessi preminenti in ordine alle esigenze di caratere pubblico, in particolare con riferimento alle esigenze di approvvigionamento idropotabile" (1.2.), cui si riferivano le censure sopra esaminate – anche quella della "compatibilità degli interventi proposti rispetto ai siti interessati" (1.5.).

Ora, tale compatibilità non può che essere una compatibilità di carattere ambientale.

Non si vuole certo qui sostenere la necessità che venga svolta una vera e propria valutazione di impatto ambientale (che la legge, riguardo alle opere comportanti attingimenti di acqua, richiede, peraltro nell’allegato B, soltanto per gli acquedotti di lunghezza eccedente i 20 chilometri).

Ma soltanto che, ai fini della concessione di sfruttamento, occorre considerare anche l’incidenza del prelievo idrico sulle componenti ambientali.

Può aggiungersi che le stesse Linee Guida transitorie per la ricerca ed utilizzo di acque sotterranee, contenute nel Piano approvato con O.P.G.R. n. 126/2002, prevedono che l’utilizzatore della risorsa idrica accerti l’incidenza del prelievo sulla "conservazione degli ecosistemi sugli eventuali corsi d’acqua a valle" (pag. 39), mediante la "verifica dell’impatto della captazione prevista sull’ecosistema fluviotorrentizio" (verifica, questa, da condursi nell’ambito del c.d. "studio idrogeologico preliminare" di cui al punto 2.8.) e l’individuazione del deflusso minimo vitale; vale a dire, della portata minima del corso d’acqua necessaria "per garantire la salvaguardia delle caratteristiche del corpo idrico e delle acque nonché per mantenere le biocenosi tipiche delle condizioni naturali locali".

Del resto, in sede di rilascio alla società R. del permesso di ricerca, vennero impartite prescrizioni che facevano riferimento proprio al Piano straordinario predetto (cfr. punto 4, lettera a), del deliberato della determinazione n. 1900/2003).

Dagli atti acquisiti al giudizio non risulta che siano stati effettuati tali accertamenti e verifiche.

La rilevanza sostanziale di quella che deve ritenersi una vistosa omissione appare evidente se si considera che i corsi d’acqua di rilevanza locale, per espressa previsione del P.T.C.P., vengono tutelati anche in quanto svolgono l’essenziale funzione di "corridoio ecologico".

L’omissione inficia la concessione impugnata. "

La società appellante assume che il ragionamento del primo Giudice sarebbe inficiato dall’erroneo presupposto della ritenuta soggezione delle acque minerali alla disciplina dettata per le acque pubbliche, ed in particolare alle previsioni delle "Linee guida transitorie per la ricerca ed utilizzo di acque sotterranee" di cui al già menzionato Piano degli interventi urgenti e necessari ad affrontare la crisi idrica – Primo Stralcio, approvato con ordinanza n. 126/2002. La settorialità e specificità della normativa sulle acque minerali troverebbe conferma nell’art. 144, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006, secondo il quale "Le acque minerali, termali e per uso geotermico sono disciplinate da norme specifiche, nel rispetto del riparto delle competenze costituzionalmente determinato".

Le predette "Linee guida" non riguarderebbero, quindi, la captazione delle acque minerali, ma solo l’utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idropotabile: e comunque le previsioni delle prime potrebbero al più avere incidenza sull’esercizio della concessione, ma in nessun caso potrebbero influire sul suo contenuto e la sua validità.

Infine, viene ricordato che al momento del rilascio della concessione impugnata il Piano di tutela delle Acque (previsto dall’art. 97 del d.lgs. n. 152/2006) non era stato ancora definito.

Osserva il Collegio che questi rilievi hanno il fondamentale difetto di riproporre tesi già svolte in primo grado senza che ci si faccia carico di controdedurre criticamente alle argomentazioni, oltre tutto ampie e profonde, con cui il Tribunale le ha confutate.

Tanto premesso, va subito constatato che è già la delibera di G.R. n. 6306 del 1998 ("Direttiva transitoria per il rilascio di permessi di ricerca e di concessioni per acque minerali e termali") ad includere, tra i criteri da essa prefissati con valenza generale per il rilascio dei titoli concessori proprio nel settore delle acque minerali, come ha posto in rilievo il T.A.R., oltre alla valutazione delle "condizionigeologiche ed idrogeologiche degli acquiferi" (1.1.) e degli "interessi preminentiin ordine alle esigenze di caratere pubblico, in particolare con riferimento alle esigenze di approvvigionamento idropotabile" (1.2.), anche quella della "compatibilità degli interventi proposti rispetto ai siti interessati" (1.5.).

Non solo: ma la valutazione del Tribunale per cui la "compatibilità" testé menzionata non avrebbe potuto essere se non una compatibilità di carattere ambientale, non ha formato oggetto di alcuna specifica contestazione. Ed analoga carenza di argomentazione critica si riscontra rispetto al passaggio decisionale secondo il quale i criteri di valutazione dettati dalla delibera n. 6036/1998 sarebbero valsi a colmare la lacuna derivante dalla mancata definizione del Piano di Tutela previsto dall’art. 121 del predetto d.lgs. 152/2006.

Tutto ciò posto, le previsioni recate dalle "Linee guida transitorie per la ricerca ed utilizzo di acque sotterranee" in coerenza con la delibera n. 6306/1998 non fanno altro che confermare l’impostazione appena richiamata: e questo in linea con l’asse portante che connota le medesime "Linee Guida", che si incentra sulla limitatezza della "risorsa acqua", nonché sulla necessità di recuperare al riguardo un approccio sistematico, complessivo ed organico, all’insegna della difesa della consistenza della risorsa e della sua corretta gestione, e nella salvaguardia degli ecosistemi dei corsi a valle.

A livello della normazione primaria, infine, l’appellante torna in questa sede ad invocare il disposto dell’art. 144, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006, senza però muovere specifiche obiezioni alla centrale argomentazione giudiziale secondo la quale "Il raccordo tra le normative si ritrova all’articolo 97 del predetto d.lgs. 152/2006, secondo cui le concessioni di utilizzazione delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente sono rilasciate tenuto conto delle esigenze di approvvigionamento e distribuzione delle acque potabili e delle previsioni del Piano di tutela di cui all’articolo 121. Vale a dire, del Piano di tutela delle acque, che deve individuare, soprattutto, gli obbiettivi di qualità ambientale per ogni corpo idrico, sia superficiale che sotterraneo, e le conseguenti misure di tutela qualitative e quantitative, tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico."

Senza dire che la norma sulla quale l’IDREA insiste non sarebbe già di per se stessa decisiva, in quanto l’esistenza di norme speciali dedicate ex professo alle acque minerali non toglie che queste ultime potrebbero comunque soggiacere, per taluni aspetti, a dettami di ordine generale in tema di acque.

Per le ragioni esposte il motivo non può dunque essere accolto.

13. Il terzo motivo d’appello verte sul requisito di capacità tecnicoeconomica richiesto al concessionario.

L’art. 10 della L.R. n. 48/1987 stabilisce che la concessione è rilasciata "previo accertamento che il richiedente abbia la capacità tecnicoeconomica in relazione al programma dei lavori e al loro prevedibile sviluppo". Secondo la direttiva espressa con la delibera di G.R. n. 6306/1998, analogamente, ai fini del rilascio del titolo occorre tener conto "degli impegni assunti dal richiedente nonché delle capacità tecnico economiche dello stesso".

A questo riguardo, il lineare ragionamento del T.A.R. è stato il seguente.

Poiché I. era stata appena costituita, proprio per la gestione dello sfruttamento della concessione di cui si tratta e con un modesto capitale sociale, essa era, in se stessa, sostanzialmente carente di un’adeguata capacità tecnica ed economica. Tale requisito aveva potuto essere riscontrato, dall’Amministrazione, solo in capo alla diversa società R. s.p.a., e sulla supposizione che la prima si sarebbe potuta avvalere "dell’esperienza maturata e dei risultati raggiunti da R. S.p.a. appartenente allo stesso gruppo imprenditoriale…".

Questo assunto, è stato però osservato, non risulta assistito da adeguato fondamento giuridico.

Rileva infatti in merito il Tribunale quanto appresso.

"Può darsi che l’appartenenza al medesimo gruppo economico di due società che operano nello stesso settore consenta di fare affidamento sulle chance imprenditoriali dell’una, per trarne rassicurazione sulle prospettive dell’altra. Ma ciò presuppone che il collegamento tra i due distinti soggetti venga valutato in concreto, sulla base di un piano industriale che evidenzi gli impegni aziendali, così da rendere probabile che verranno mantenuti nel tempo comportamenti sinergici, e non concorrenziali (non va dimenticato che R. ed I. risultano titolari di due marchi di acque minerali che si rivolgono al medesimo mercato, pur nelle prevedibili differenziazioni della campagna pubblicitaria).

Nulla di tutto ciò è rinvenibile nell’istruttoria sottesa i provvedimenti impugnati.

La verità è che l’idoneità soggettiva di I. è stata apprezzata mediante un riferimento diretto a R., senza ulteriori distinzioni o approfondimenti.

Ma tale approssimazione, ad avviso del Collegio, inficia la concessione impugnata."

La lacuna rinvenuta dal TAR riguarda dunque essenzialmente la mancanza di un puntuale ed incondizionato impegno obbligatorio della soc. R. a fornire tutto quanto occorrente ad I. per far fronte al "programma dei lavori e al loro prevedibile sviluppo", onde assicurare che il relativo avvalimento sia effettivo e duraturo: aspetto, questo, di particolare rilievo a margine di una concessione avente durata ventennale, in relazione alla eventualità che i destini delle due società abbiano nel futuro a separarsi.

Questa lineare ricostruzione non incontra, nelle deduzioni dell’appellante, delle critiche meritevoli di favorevole considerazione.

L’I. si richiama in questa sede alle risultanze istruttorie, che però non risultano essere andate oltre il punto della ricognizione dell’essere le due società collegate tra loro, e dell’attuale appartenenza di entrambe al medesimo Gruppo.

Si soggiunge ad opera dell’appellante che tanto comporterebbe "ogni derivata conseguenza in ordine alla imputabilità al gruppo dei rapporti in essere in confronto dei terzi".

Nulla viene però dedotto che possa riscattare l’atto dal riscontrato vizio di difetto di istruttoria poc’anzi indicato, e che ne esce anzi appieno confermato, non essendo stata accertata dall’Amministrazione l’esistenza di garanzie atte ad assicurare la disponibilità a favore di I. delle altrui risorse tecniche ed economiche per la durata della concessione.

Sicché anche questo motivo deve essere rigettato.

14 Non meno infondato è il mezzo che residua.

Esso investe il capo della sentenza che ha ritenuto viziato (anche) l’accertamento della rilevanza degli investimenti e dell’intervento sull’economia locale e regionale (la delibera n. 6306/1998 stabilisce, infatti, che nel rilascio della concessione si debba tener conto anche dell’ "importanza dell’intervento nell’economia locale e regionale", sulla scorta delle risultanze del programma generale dei lavori richiesto dall’articolo 8 della L.R. n. 48/1987).

Sull’argomento il TAR ha svolto le seguenti, condivisibili considerazioni introduttive:

"l’accertamento in questione viene richiesto dalla legge per "compensare" la sottrazione della risorsa idrica a quella che sarebbe la sua destinazione naturale, vale a dire all’alimentazione del reticolo idrografico della zona con le diverse utilizzazioni consentite.

Non può negarsi che, di regola, prelevare un acqua minerale impoverisce l’ambiente della zona interessata.

Si tratta quindi di stabilire, da un lato, se detta sottrazione sia compatibile con le esigenze di tutela ambientale e con il mantenimento degli usi della risorsa idrica che rivestono carattere prioritario rispetto allo sfruttamento commerciale (a cominciare da quello idropotabile diretto). Dall’altro se, accertata detta compatibilità (che equivale alla possibilità di estrazione dell’acqua minerale), vi sia anche un’adeguata convenienza, per la collettività locale e per quella regionale, a consentire quella che, comunque (anche se compatibile) rimane una sottrazione di risorse."

Poste tali premesse, il primo Giudice ha notato come le censure sollevate dal Comune di Nocera Umbra evidenziassero che la gran parte degli investimenti proposti non aveva una ricaduta diretta ed apprezzabile sull’economia locale.

Dalla ricorrente in prime cure era stato infatti sostanzialmente osservato quanto segue.

Gli interventi indicati nel programma ammontano nominalmente, nel quinquennio, a 45 milioni di Euro. Tuttavia, occorre considerare che, di questi, 30 milioni di Euro sono destinati alla pubblicità; 2 milioni alla bretella ferroviaria, che interessa esclusivamente lo stabilimento R.I.; 9 milioni alla realizzazione di due nuove linee di imbottigliamento; 2,5 milioni ai lavori minerari (di cui soltanto 450.000 per interventi di tutela della qualità delle acque).

Pertanto, l’impatto positivo per l’economia della Regione deve essere assai ridimensionato, e comunque è sperequato al valore della risorsa pubblica concessa. Anche la creazione di 40 posti di lavoro (tra cui 20 indiretti, compresi i trasportatori) comporta livelli occupazionali proporzionalmente assai più bassi di quelli assicurati nella Regione dagli altri operatori del settore, e comunque appare inadeguata rispetto al valore della risorsa pubblica.

Orbene, tali censure, che hanno ridimensionato drasticamente la valenza degli investimenti proposti, non hanno trovato confutazione, a giudizio del Tribunale, nel processo di primo grado.

Sicché il TAR ha svolto al riguardo le seguenti osservazioni conclusive.

"Pertanto, gli interventi apprezzabili si riducono di molto, rimanendo sostanzialmente limitati alla realizzazione delle opere, che costituisce una percentuale limitata del valore del programma di investimenti considerato nel provvedimento (ed alla quale, peraltro, nulla assicura che partecipino imprese e manodopera locale).

Ora, può darsi che l’indotto generato dalla realizzazione delle opere e la creazione dei posti di lavoro (è questa, in definitiva, come riconosce la stessa difesa della Regione – cfr. pag. 30 della memoria in data 23 ottobre 2007, la vera ricaduta economica per la collettività dell’iniziativa imprenditoriale legata alla concessione) giustifichino la sottrazione di una portata idrica altrimenti destinata ad alimentare il corso del fiume Topino (sullo stato del quale è stata depositata eloquente documentazione fotografica) e derivatamente il Tevere.

Ma ogni valutazione al riguardo avrebbe dovuto discendere da una ponderazione degli interessi contrapposti che prendesse in considerazione la loro reale consistenza.

Ciò che, per quanto esposto, non sembra essere avvenuto."

Avverso queste valutazioni, sorrette, come si vede, da una solida quanto lineare motivazione, l’appellante oppone che l’indagine svolta dal dirigente del Servizio sarebbe stata invece completa ed immune da carenze istruttorie, ed afferma che in ogni caso le conclusioni da questo attinte non sarebbero state sindacabili in sede giurisdizionale, venendo in rilievo valutazioni rimesse alla discrezionalità tecnica della P.A..

In contrario è però agevole osservare che quella che viene qui in esame è discrezionalità amministrativa, e non tecnica, poiché si tratta non tanto di applicare regole o nozioni tecniche specifiche, quanto di ponderare comparativamente tra loro diversi interessi pubblici; e va soprattutto ribadito che nell’atto dirigenziale impugnato (come pure nel suo procedimento) è mancata, appunto, l’occorrente valutazione comparativa degli interessi medesimi, i quali avrebbero dovuto formare oggetto di apprezzamento, naturalmente, nella loro reale consistenza, giusta le obiezioni comunali esposte poco sopra.

Infine, il profilo di censura di cui si è appena ribadita la fondatezza attiene ad una carenza di istruttoria ed un difetto di motivazione, aspetti in relazione ai quali l’esercizio della discrezionalità amministrativa è ritenuto da sempre sindacabile.

15 In conclusione, l’appello deve essere integralmente respinto, siccome infondato.

Le spese processuali sono liquidate, secondo soccombenza, dal seguente dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Condanna l’appellante al rimborso agli appellati costituiti delle spese processuali, che si liquidano nella misura complessiva di seimila euro, da ripartire tra loro in quote uguali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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