Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-05-2011) 25-07-2011, n. 29734

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.H. è stato condannato dal GUP presso il tribunale di Bologna, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di 5 anni e 4 mesi di reclusione in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 600 c.p., per avere esercitato su C.R., di anni compresi tra tredici e quindici, poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà. In particolare, poneva il ragazzo, suo dipendente presso l’esercizio commerciale sito in via (OMISSIS), in uno stato di profonda e continua soggezione, sfruttandone le prestazioni lavorative quotidiane con orari compresi tra le 6.00 e le 21.00 ed anche oltre, picchiandolo usando anche un bastone qualora le prestazioni lavorative non fossero state giudicate soddisfacenti, privandolo addirittura del cibo per il medesimo motivo e non corrispondendogli alcun compenso in denaro. In (OMISSIS) fino ad un periodo compreso tra il (OMISSIS). La Corte di assise di Appello di Bologna ha confermato integralmente la sentenza di primo grado.

Contro la predetta sentenza di appello propone ricorso il S., evidenziando tre diversi motivi.

Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.c., lett. b, c, ed e in relazione all’art. 5 c.p.p., comma 1, lett. b), per avere la Corte d’appello di Bologna ritenuto la competenza funzionale della Corte di assise di Appello della medesima città. Lamenta il ricorrente che la competenza funzionale della Corte di assise per il reato di cui all’art. 600 fu eliminata dalla L. n. 228 del 2003 (art. 6), per cui il procedimento andava incardinato presso la Corte di appello. Con il secondo motivo deduce illogicità e carenza motivazionale, nonchè contraddittorietà della decisione ed erronea applicazione della legge sostanziale; in particolare censura il ragionamento della corte laddove aveva affermato che il passaporto del ragazzo non fosse attendibile in relazione alle date di allontanamento dall’Italia, dal momento che era acclaratamente falso circa le generalità del padre. Inoltre la Corte non avrebbe tenuto conto del fatto che anche l’imputato si era assentato dall’Italia (per la durata da due a 4 settimane una volta l’anno dal 2004 al 2008, con eccezione del 2005); circostanze queste risultanti dal passaporto dell’imputato, di cui non è mai stata affermata la falsità.

Deduce, poi, il ricorrente, illogica e contraddittoria motivazione con riferimento sia all’elemento oggettivo del reato, sia all’elemento soggettivo, quest’ultimo in particolare con riferimento alla tradizione culturale del paese di provenienza dell’imputato e del ragazzo. Quanto al profilo oggettivo, invece, riteneva che dagli elementi istruttori emergesse l’assenza di continuatività della soggezione, lo sfruttamento e l’approfitta mento di una situazione di inferiorità. Infine, si lamentava il ricorrente per la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6.
Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto la competenza è stata correttamente individuata. Lamenta il ricorrente che la competenza funzionale della corte di assise per il reato di cui all’art. 600 fu eliminata dalla L. n. 228 del 2003 (art. 6), per cui il procedimento andava incardinato presso la Corte di appello.

L’assunto è infondato ed ha già trovato risposta adeguata nella stessa sentenza oggetto di impugnazione; anche dopo la modifica operata dalla L. n. 228 del 2003 permaneva la competenza della Corte di assise (ai sensi della lettera a) dell’art. 5 c.p.p.) per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a ventiquattro anni. Nel caso di specie il reato risultava aggravato ai sensi dell’art. 600 sexies, perchè commesso contro soggetto minore e sulla sussistenza di tale aggravante non è stata mossa alcuna censura alla sentenza della Corte di Assise di appello. Il reato per cui l’odierno ricorrente è stato giudicato risultava dunque, per effetto dell’aggravante, punibile nel massimo con pena detentiva superiore a 24 anni e quindi ampiamente nei limiti "minimi" di competenza della Corte di Assise (per un caso analogo si veda Cass. 29.09.2010, sez. 1^, n. 37087).

Con il secondo motivo lo S. ha dedotto la illogicità e carenza motivazionale, nonchè la contraddittorietà della decisione e la erronea applicazione della legge sostanziale; in particolare ha censurato il ragionamento della Corte laddove aveva affermato che il passaporto del ragazzo non fosse attendibile in relazione alle date di allontanamento dall’Italia, dal momento che era acclaratamente falso circa le generalità del padre. Inoltre la Corte non avrebbe tenuto conto del fatto che anche l’imputato si era assentato dall’Italia (per la durata da due a 4 settimane una volta l’anno dal 2004 al 2008, con eccezione del 2005); circostanze queste risultanti dal passaporto dell’imputato, di cui non è mai stata affermata la falsità. Si deve preliminarmente affermare che nel controllo di legittimità la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia logica e compatibile con il senso comune; l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere, inoltre, percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In secondo luogo, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (cfr. Cassazione penale, sez. 2^, 05 maggio 2009, n. 24847). Dunque non è possibile per questa Corte procedere ad una ricostruzione alternativa dei fatti, sovrapponendo a quella compiuta dai giudici di merito una diversa valutazione del materiale istruttorio, se la motivazione che sorregge la sentenza è congrua, specifica e dotata di una sua logicità. Venendo alla sentenza in esame e tenuto conto della premessa, non può che rilevarsi come la sentenza impugnata sia caratterizzata da un’attenta ed approfondita motivazione su tutti gli aspetti salienti della vicenda e su tutti gli elementi costitutivi del reato. Le numerose pagine della sentenza ricostruiscono con esattezza e con i dovuti riferimenti probatori non solo il complesso della vicenda, ma anche gli episodi più rilevanti, procedendo poi ad interpretarli alla luce della norma oggetto di impugnazione e della giurisprudenza di questa Corte. La motivazione è in ogni passaggio logica, notevolmente approfondita, correttamente espressa, coerente con tutte le risultanze istruttorie e dunque, in definitiva, esente da censure valutabili in questa sede di legittimità.

Non è necessario, dunque, che questa Corte ripercorra tutti i passaggi della motivazione attraverso la quale la Corte d’Assise di appello è giunta alla conferma della sentenza di primo grado; ci si limiterà all’esame di quegli aspetti sui quali il ricorso ha rivolto la sua attenzione.

La questione del passaporto: secondo il ricorrente la Corte afferma che il passaporto del ragazzo non era attendibile in relazione alle date di allontanamento dall’Italia, dal momento che era acclaratamente falso circa le generalità del padre. La censura potrebbe in ipotesi essere condivisibile, se la Corte avesse fondato il suo convincimento solo sulla predetta considerazione; invero la Corte approfondisce le sue valutazioni, riscontrando la prova indiziaria con riferimento alle deposizioni dei testi Sa. e Mo., che coabitavano con il minore e lo zio.

Ma in ogni caso la questione resta "assorbita" dalla motivazione alternativa che la Corte fornisce in ordine all’elemento che il ricorrente intendeva provare con il passaporto; si legge infatti a pagina 9 della sentenza che anche se fosse provato che il minore si era allontanato per oltre un anno nel 2005/2006, tale circostanza non varrebbe in alcun modo a ridurre la grave valenza accusatoria delle prove già oggetto di richiamo nella sentenza. Tale affermazione risulta motivata in modo approfondito e logico (cfr. righe da 7 a 15 della pagina 9), per cui, anche se per ipotesi non fosse condivisa da questa Corte, non sarebbe in alcun modo censurabile, risolvendosi in un apprezzamento riservato ai giudici di merito ed insindacabile in cassazione.

Inoltre la Corte non avrebbe tenuto conto del fatto che anche l’imputato si era assentato dall’Italia (per la durata da due a 4 settimane una volta l’anno dal 2004 al 2008, con eccezione del 2005);

circostanze queste risultanti dal passaporto dell’imputato, di cui non è mai stata affermata la falsità. Ma anche su questo punto la Corte di Assise di appello di Bologna ha correttamente motivato, con precisi riferimenti probatori (cfr. teste Ba., pag. 8 della sentenza), evidenziando come anche nei brevi periodi in cui S. tornava in patria, la situazione di vita del minore non cambiava, essendo evidente che il potere intimidatorio dello zio, unitamente alle istruzioni che costui rilasciava agli altri dipendenti del negozio ed allo stesso nipote, poteva esplicare i suoi effetti anche a distanza, essendo più che ovvio che al ritorno dello zio, ogni "inadempienza" del minore sarebbe stata pagata a caro prezzo. Il ricorrente, infine, ha ritenuto illogica e contraddittoria la motivazione con riferimento sia all’elemento oggettivo del reato, sia all’elemento soggettivo, quest’ultimo in particolare con riferimento alla tradizione culturale del paese di provenienza dell’imputato e del ragazzo. Quanto al profilo oggettivo, sia sufficiente richiamare le considerazioni espresse in precedenza in ordine al notevole livello di approfondimento di ogni aspetto fattuale e giuridico della vicenda; da una semplice lettura del provvedimento impugnato si evince chiaramente come non sia affatto riscontrabile alcun vizio di motivazione, apparendo invece la sentenza assolutamente completa e logica nelle sue considerazioni, sempre corredate degli opportuni riferimenti al materiale istruttorio.

Quanto, infine, al profilo soggettivo, è assolutamente privo di pregio il richiamo alle abitudini del (OMISSIS), sia sotto un profilo oggettivo, perchè il S. viene definito un aguzzino anche dai suoi concittadini (e di ciò da atto la stessa sentenza impugnata), sia perchè la considerazione delle abitudini educative di altri paesi non può spingersi fino a legittimare condotte antigiuridiche. Sul punto sia sufficiente richiamare il passo di un precedente di questa sezione, relativo alla certo meno grave ipotesi di accattonaggio, ove si afferma: "…tra le altre cose la difesa ha fatto riferimento alla necessità di non criminalizzare il Mangel, ovvero l’accattonaggio praticato tradizionalmente dalle popolazioni rom residenti in Italia.

Ovviamente è necessario prestare attenzione alle situazioni reali al fine di non criminalizzare condotte che rientrino nella tradizione culturale di un popolo, fermo restando, però, che se determinate pratiche, magari anche consuetudinarie e tradizionali, mettano a rischio diritti fondamentali dell’individuo garantiti dalla nostra Costituzione o confliggano con norme penali che proprio tali diritti cercano di tutelare, la repressione penale è inevitabile. E’ fin troppo evidente, infatti, che consuetudini contrarie all’ordinamento penale non possano essere consentite".

Quanto, infine, alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, trattasi di censura di merito, palesemente inammissibile in questa sede, essendoci in sentenza adeguata motivazione sul punto (cfr. pag. 11, primo capoverso).

Per i motivi esposti, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e rifusione delle spese sostenute dallo Stato per la parte civile, che vengono liquidate in complessivi Euro 2.200,00, oltre accessori come per legge.

Essendo contenuti nella presente sentenza dati sensibili relativi a minori e comunque inerenti a rapporti di tipo familiare, si dispone l’oscuramento dei dati personali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dallo Stato per la parte civile, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, oltre accessori come per legge.

Dispone l’oscuramento dei dati identificativi.

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