Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-05-2011) 25-07-2011, n. 29708

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 1 febbraio 2010, il Tribunale di Firenze ha rigettato l’istanza di riesame, proposta da C.G. avverso il provvedimento della Corte d’assise di Pisa in data 7 luglio 2010, con il quale, all’esito del giudizio svoltosi nei suoi confronti, conclusosi con sentenza del 12 aprile 2010, di sua condanna alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per la durata di mesi sei, siccome ritenuto responsabile di tre omicidi volontari, era stata applicata nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere.

2. Ha ritenuto il Tribunale del riesame di Firenze che la sopravvenienza di una sentenza di condanna a carico dell’imputato costituiva una preclusione processuale circa la valutazione della gravità degli indizi in sede di appello incidentale de li berta te;

quanto poi alle esigenze cautelari, i tre reati di omicidio volontario, per i quali era intervenuta la condanna del C., erano richiamati dall’art. 275 c.p.p., comma 3, sicchè, con riferimento ad essi, sussisteva una presunzione relativa, circa l’esistenza di esigenze cautelari, non essendo stati acquisiti elementi da cui risultasse che tali esigenze non sussistessero;

sussisteva inoltre una presunzione assoluta di adeguatezza della misura cautelare inframuraria a lui applicata.

D’altra parte la Corte d’assise di Pisa, nel ricostruire la personalità dell’imputato, aveva dato atto che a suo carico risultavano altre condanne per gravi delitti, in particolare per omicidi commessi nel 1978 e nel 2006; e tali elementi ne provavano l’estrema sua pericolosità.

La presunzione di cui sopra, secondo il Tribunale, non poteva essere vinta dall’attuale stato detentivo dell’imputato, che stava scontando una pena di anni 30 di reclusione, trattandosi di circostanza inidonea a far ritenere venute meno alla radice le esigenze cautelari di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, costituendo la sua attuale custodia in carcere una situazione oggettiva estranea alla sua condotta, atteso che l’osservanza delle regole interne al carcere costituiva un comportamento dovuto e privo di significato sotto il profilo preso in esame dalla norma anzidetta.

Non poteva infine ritenersi venuta meno la presunzione di pericolosità dell’imputato per la collaborazione dal medesimo prestata agli organi di giustizia, in quanto i suoi gravi trascorsi penali erano significativi di una personalità proclive al ricorso alla violenza sulle persone.

4. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Firenze propone personalmente ricorso per cassazione C.G., che ha dedotto violazione di legge e motivazione carente ed illogica.

Ha rilevato che, mentre era in corso nei suoi confronti il processo innanzi alla Corte d’assise di Pisa, era divenuta definitiva un’altra sentenza, con la quale egli era stato condannato alla pena di anni 30 di reclusione, sicchè il suo status era quello di detenuto definitivo per altra causa.

Non poteva pertanto ritenersi sussistere il pericolo di reiterazione da parte sua degli stessi reati, ai sensi dell’art. 274 c.p.p., lett. c), stante la sua situazione di detenzione con fine pena di oltre anni 30; pertanto ritenere sussistenti le richiamate esigenze cautelari costituiva un’erronea applicazione della legge penale, in quanto la normativa era stata dettata per un imputato libero ovvero in procinto di essere liberato, allo scopo di proteggere la società civile da chi potrebbe macchiarsi di fatti gravissimi; quindi il richiamo operato dal Tribunale all’art. 275 c.p.p., comma 3 era da ritenere improprio ed inidoneo a sostenere la misura cautelare emessa nei suoi confronti, atteso che il provvedimento impugnato era stato basato solo sull’esigenza di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c);

tuttavia nel provvedimento impugnato mancava qualsiasi riferimento alla concretezza del pericolo di reiterazione del medesimo reato, essendo tale pericolo palesemente scongiurato dal suo attuale stato detentivo, insuscettibile di subire modifiche in termini di permessi, sconti o liberazioni.

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da C.G. è inammissibile siccome manifestamente infondato.

2.Con esso il ricorrente censura l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame di Firenze ha respinto l’impugnazione da lui proposta avverso il provvedimento del 7 luglio 2010, con il quale la Corte d’assise di Pisa aveva disposto la sua custodia cautelare in carcere, circa tre mesi dopo averlo condannato alla pena dell’ergastolo, con isolamento diurno per la durata di mesi sei, per concorso in triplice omicidio volontario, applicando la norma di cui all’art. 275 c.p.p., comma 1 bis, alla stregua della quale, contestualmente ad una sentenza di condanna, il giudice può applicare una misura cautelare, desumendo la sussistenza di esigenze cautelari da quanto emerso nel procedimento conclusosi, al fine di ritenere la sussistenza in concreto del pericolo di fuga e del pericolo di reiterazione della condotta criminosa, di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b) e c).

3.Il ricorrente, senza contestare la sussistenza di validi indizi di colpevolezza a suo carico, ammettendo quindi che essi erano desumibili dalla sentenza di condanna di primo grado emessa nei suoi confronti, sostiene che non erano ravvisabili nella specie valide esigenze cautelari, tali da giustificare l’ordinanza custodiale emessa nei suoi confronti, atteso che, al momento in cui la medesima era stato emessa, egli si trovava già ristretto in carcere, in espiazione di una precedente condanna definitiva ad anni 30 di reclusione per delitti commessi in precedenza, si che non sussisteva in concreto nei suoi confronti alcun pericolo di fuga o di reiterazione della condotta criminosa.

4. Il Tribunale del riesame di Firenze ha ritenuto che l’attuale stato detentivo del ricorrente, in espiazione di una pena di anni 30 di reclusione, non costituisse elemento idoneo a far ritenere venute meno alla radice le esigenze cautelari, così come presunte dall’art. 275 c.p.p., comma 3, trattandosi di una situazione oggettiva estranea alla condotta del ricorrente, in quanto l’osservanza delle regole interne al carcere costituiva un comportamento doveroso e, come tale, ininfluente sotto il profilo in esame.

5.La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, ai fini dell’emissione, determinata da sopravvenuta condanna, di una misura custodiale inframuraria, è irrilevante che il condannato già si trovi ristretto in carcere per altro differente titolo, ben potendo coesistere distinti titoli detentivi a carico di un medesimo soggetto, adottati in diversi contesti processuali, tenuto conto dell’autonomia propria di ciascun procedimento penale.

Ha altresì rilevato come la detenzione, alla quale il soggetto si trovi in quel momento sottoposto, ben può venire a cessare, senza che le altre autorità interessate possano in qualche modo influirvi, per la concessione di qualche beneficio penitenziario, quale la semilibertà ovvero un permesso premio, si che il soggetto ben potrebbe riacquistare la libertà anche solo temporanemente, in modo da poter riallacciare i contatti con il mondo deliquenziale, nel quale egli era stabilmente inserito, con conseguente possibilità di reiterare le condotte criminose in precedenza ascrittegli (Cfr. Cass. 5 n. 4975 del 10/11/1997 dep. 28/01/1998 imp. Piscioneri ed altri, Rv. 209560).

Appare pertanto conforme a logica l’essere stata emessa nei confronti dell’odierno ricorrente misura custodiale in carcere, nonostante la sussistenza a carico del medesimo di altro autonomo e precedente titolo custodiate inframurario.

6. Il ricorrente ha sostenuto che la severa condanna, per la quale egli si trovava già ristretto in carcere, non avrebbe consentito l’applicazione nei suoi confronti di alcun beneficio penitenziario;

ma trattasi di affermazione generica e meramente assertiva, non conforme al principio dell’autosufficienza, che deve informare di sè il ricorso proposto nella presente sede di legittimità. 7.Da quanto sopra consegue la declaratoria d’inammissibilità del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

8.Dovrà provvedersi all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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