Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-05-2011) 25-07-2011, n. 29732 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

M.G. e T.G., nonchè la Manifatture del Nord s.r.l. quale responsabile civile, ricorrono, a mezzo dell’Avv. PICCA Francesco, avverso la sentenza 27.9.10 della Corte di appello di Napoli che ha confermato quella, in data 8.5.08, del Tribunale di Torre Annunziata con la quale M. e T. sono stati condannati ciascuno – in concorso di attenuanti generiche equivalenti e con la concessione dei doppi benefici di legge – alla pena di mesi quattro di reclusione nonchè, in solido con il responsabile civile, al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, con assegnazione alla stessa di una provvisionale di Euro 20.000,00, per il reato di cui all’art. 595 c.p., commi 1 e 3 perchè, in concorso tra loro, quali responsabili del settore commerciale della Manifatture Nord s.r.l., organizzatori di un meeting per responsabili di vendita di detta società in Sorrento, proiettando la fotografia di C.E., già responsabile di vendita, con la didascalia:

"Saresti potuto diventare così" all’esito di risposte erronee ai quiz posti ai partecipanti, ne offendevano l’onore e la reputazione.

Deducono i ricorrenti, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, con il primo motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per avere la Corte di merito asserito nella premessa motivazionale, operando un travisamento di fatto ed un errore logico, che nella specie vi era stata la proiezione dell’immagine di una persona associata ad una scritta volta ad indicarla come perdente o fallito, mentre in realtà era stata proiettata una fotografia della persona offesa associata ad una scritta che recitava: "ti sei salvato appena in tempo, saresti potuto essere conciato così….", il tutto nell’ambito di un gioco a quiz in cui si intendeva equiparare la persona non ad un giudizio di disvalore sulla stessa, ma ad una valutazione sulla espressione – visibilmente corrucciata – che la medesima p.o. mostrava nella foto ritratta.

Tale erronea impostazione – secondo i ricorrenti – aveva finito con il condizionare in termini irrimediabili l’intero sviluppo argomentativo della sentenza, sia in ordine alla ricostruzione storica del fatto sia in ordine alla sua rilevanza penale, anche in considerazione del contesto aziendale nel quale la vicenda era maturata, erroneamente ritenuto dai giudici concernente l’interruzione del rapporto lavorativo della p.o. con la società, circostanza invero ignota nel contesto aziendale, non conoscendosi le ragioni che avevano portato alle dimissioni del C., il quale peraltro aveva riferito di non sentirsi adatto alle strategie commerciali adottate dall’azienda.

Con il secondo motivo si deduce ancora violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per avere i giudici trascurato che il teste V., allorchè aveva riferito alla p.o. informazioni più dettagliate sulla vicenda, era già stato licenziato dalla società, per cui era evidente che nutrisse motivi di risentimento nei confronti dell’azienda e pur tuttavia era stato ritenuto attendibile dai giudici di merito.

Con il terzo motivo si lamenta come l’errata premessa ricostruttiva operata dai giudici avesse condotto ad un travisamento del fatto, avendo i testi esaminati riferito che l’accadimento si era verificato nell’ambito di un gioco, non inserito nel programma, a cui avevano partecipato liberamente e senza obbligo contrattuale tutti i partecipanti al meeting, sicchè era assente ogni finalità diffamatoria, non essendo la vicenda finalizzata a verificare il livello di preparazione e la competenza degli agenti, ma presentandosi come manifestazione di attività ricreativa, profilo di contesto non adeguatamente valutato dai giudici.

Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), essendosi nella sentenza impugnata affermato che il M. non aveva preso parte alla materialità del fatto, avendo limitato la sua partecipazione ad un ruolo passivo senza concorrere alla proiezione delle immagini, ponendo in essere così condotte neutre (organizzazione del meeting, proposta ai presenti di partecipare al gioco, presenza durante lo svolgimento del medesimo) rispetto al momento consumativo del reato contestato, che non poteva quindi essergli addebitato a titolo di concorso.

Con il quinto ed ultimo motivo si deduce ancora violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) con riferimento alla sussistenza della responsabilità civile della Manifatture Nord s.r.l., per avere la Corte di appello, pur riconoscendo non essere stata raggiunta la prova di un danno di tipo economico subito dalla p.o., contraddittoriamente concluso per la conferma delle statuizioni civili, in assenza di prova circa il ritenuto danno morale.

Con memoria in data 14.4.11 la difesa di parte civile, nel chiedere il rigetto del ricorso, ha sostenuto come fosse rimasto acclarato in sede dibattimentale che la fotografia del C. veniva proiettata quando era stata data una risposta sbagliata ed una squadra veniva esclusa dal quiz; che il test non costituiva un gioco con finalità esclusivamente ludiche, bensì era stato attentamente preparato dalla direzione commerciale della società con le immagini e la diapositiva del C. come didascalia; che scopo del test era eleggere il rappresentante ideale della Manifatture Nord e l’abbinamento del C. con un agente perdente, per cui vi era stata una doppia contemporanea e contestuale diffamazione: l’abbinamento dell’immagine del C., con un volto stanco e corrucciato, e la didascalia;

l’abbinamento tra la fotografia del C. e la squadra perdente.

Inoltre – sottolinea la difesa di parte civile – il C. aveva intrapreso iniziative giudiziarie dopo aver ottenuto importanti chiarimenti dagli agenti Ca. e Cu., a prescindere e prima del colloquio avuto con il V., la cui attendibilità peraltro derivava anche dall’aver ricostruito la vicenda senza contraddizioni, in maniera esaustiva e con dichiarazioni in gran parte riscontrate aliunde, mentre all’organizzazione del meeting aveva partecipato anche il M., quale membro della direzione commerciale, così come affermato dal V. e dagli altri testimoni esaminati.

Infine, con riferimento all’ultimo motivo dei ricorrenti, si evidenziava che la sentenza impugnata aveva riconosciuto il danno non patrimoniale che ben poteva essere ritenuto in re ipsa e comunque presunto.

Osserva la Corte che il ricorso è infondato.

Con motivazione congrua, esaustiva ed immune da vizi logico-giuridici i giudici territoriali hanno anzitutto evidenziato come sia rimasto accertato in fatto – per non essere stato neanche contestato in sede di appello dalla difesa degli imputati – che nel corso del gioco a quiz organizzato dalla Manifatture del Nord s.r.l. in occasione del meeting di Sorrento per l’aggiornamento professionale dei dipendenti, vi era stata la proiezione dell’immagine di C.E., già responsabile vendita della predetta società, associata alla didascalia "saresti potuto diventare così" che compariva all’esito di risposte erronee ai quiz posti ai partecipanti.

Ciò aveva suscitato l’ilarità dei presenti e in tal modo – hanno correttamente ritenuto i giudici di secondo grado – , con l’equazione cioè C. = perdente, si era determinata, in sua assenza, la lesione della reputazione professionale del C., avvenuta in un contesto aziendale in cui era noto che il medesimo aveva interrotto il rapporto lavorativo con la Manifatture del Nord s.r.l. e senza che al riguardo possano avere rilievo le motivazioni afferenti a detta interruzione, considerato che comunque l’immagine del C. era stata fatta oggetto di scherno e offerta ai partecipanti al quiz al solo scopo di essere dileggiata.

L’elemento psicologico del delitto di diffamazione consiste infatti nella consapevolezza di offendere l’onore o la reputazione di altro soggetto, senza che sia necessario l’animus diffamandi, non postulando la norma alcuna ipotesi di dolo specifico, essendo sufficiente al fine della sussistenza del reato di cui all’art. 595 c.p. il dolo generico, il quale non è escluso dalla finalità ludica o scherzosa della condotta posta in essere.

Quanto poi alla partecipazione attiva alla commissione del reato da parte degli odierni ricorrenti, la Corte partenopea ha evidenziato come non solo dalle dichiarazioni della parte lesa, teste de relato, ma soprattutto da quelle del teste V. – il quale aveva partecipato al meeting di (OMISSIS) ed era all’epoca un dipendente della Manifatture del Nord s.r.l., sì da risultare attendibile, anche per aver reso dichiarazioni non in contrasto con quelle del C. e per aver a questi sin dall’inizio riferito quanto in quell’occasione accaduto, sia pure in termini generici e salva successiva puntualizzazione avvenuta nel 2004, quando cioè si era ormai licenziato – , fosse chiaramente risultato che alla proiezione dell’immagine del C. e alla conduzione del gioco avessero preso parte il M., quale direttore commerciale della Manifatture del Nord s.r.l., e il T. come responsabile dell’area manager ed uno degli organizzatori del meeting. Addirittura era stato il M. a proporre ai presenti di partecipare al gioco, del quale – ha rimarcato la Corte di merito – egli conosceva tutti gli aspetti per averlo supervisionato in precedenza, mentre il T. proiettava le immagini nella incontestata consapevolezza del loro contenuto e senza che fosse peraltro neanche risultato – hanno ancora puntualizzato i giudici territoriali – una loro dissociazione dalla diffamatoria proiezione al momento della stessa.

Del tutto legittimamente, infine – e con precipuo riferimento alla doglianza avanzata dal responsabile civile Manifatture del Nord s.r.l. – è stata pronunciata condanna al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, atteso che, pur in assenza di dimostrazione di un pregiudizio di carattere patrimoniale, il C. ha subito un danno di natura morale, suscettibile come tale di una valutazione di tipo equitativo che correttamente è stata quantificata in ragione delle circostanze di fatto in cui è maturata la lesione alla sua immagine e al grave danno arrecato al predetto anche in considerazione delle numerose persone partecipanti al meeting, senza che peraltro la pronuncia circa l’assegnazione di una provvisionale in sede penale possa essere impugnabile per cassazione, atteso che essa ha carattere meramente delibativo e non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione dell’ammontare della stessa è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto, trattandosi di provvedimento destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (cfr. Cass., sez. 5^, 18 marzo 2004, n. 40410; Sez. 5^, 17 gennaio 2007, n. 5001).

Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in solido, di quelle sostenute dalla parte civile che si reputa di dover liquidare in complessivi Euro 2.000,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali; condanna altresì i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.000,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *