T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, Sent., 04-08-2011, n. 4210 Reati edilizi Sospensione dei lavori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Le parti ricorrenti, tutte proprietarie di appezzamenti di terreno siti in Chiaiano di Napoli impugnavano la disposizione dirigenziale della Direzione Centrale VI, Riqualificazione Urbana – Edilizi Periferie – Servizio Antiabusivismo Edilizio del Comune di Napoli, n. 259 del 29/07/2010, di sospensione delle opere in relazione ad una fattispecie di lottizzazione abusiva.

In particolare, il Comune di Napoli aveva nell’indicato nell’atto impugnato che, in seguito a specifici accertamenti, era emerso il compimento di molteplici atti di frazionamento, intervenuti in relazione ad un’area urbanisticamente destinata ad uso agricolo e paesaggisticamente vincolata, ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004, con il D.M. del 21.1.1997 (originariamente appartenuta a M.A.M.R.), e la lottizzazione delle suddette aree con la realizzazione di opere di urbanizzazione, quali una strada di m.100 x 3,50 di collegamento ai vari lotti di terreno e la costruzione di unità immobiliari abusive unifamiliari e multifamiliari con ingressi autonomi, recinzioni, muri e cancellate.

Le aree oggetto del provvedimento gravato venivano catastalmente identificati al N.C.T., Foglio 30, Sezione CHA, particelle n. 1420, 1421, 1422, 1423, 1424, 1425, 1426, 1432, 1433, 1434 e 1359 e la loro attuale conformazione in lotti di dimensione ridotta era derivata dal frazionamento, tramite successivi atti, dell’originaria particella 506.

In relazione a quanto suindicato ed in considerazione delle dimensioni dell’area abusivamente utilizzata (mq. 14.186), dell’intervenuta divisione in singoli lotti, dell’intensa edificazione riscontrata e della destinazione urbanistica della zona, il provvedimento impugnato aveva ritenuto risultassero integrati gli estremi della fattispecie della lottizzazione abusiva di cui all’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001.

Aveva quindi ordinato l’immediata sospensione delle opere abusive in corso e vietato ai proprietari di disporre dei suoli delle opere stesse con atti tra vivi, disponendo la trascrizione dello steso provvedimento nei pubblici registri, ai sensi dei comma 7 ed 8 del citato art.30.

Gli attuali ricorrenti, proprietari di alcuni lotti di terreno interessati dal provvedimento ed, in particolare, di quelli insistenti sulle particelle n. 1420, 1421, 1424, 1426, 1432, 1433, chiedevano quindi l’annullamento dell’atto gravato, previa adozione di misura cautelare, formulando due motivi di ricorso.

Si costituiva in giudizio il Comune di Napoli, a mezzo dell’Avvocatura Comunale, spiegando argomentazioni difensive.

L’adito T.A.R., con ordinanza cautelare n. 183/2011, "Atteso che il ricorso in questione necessita approfondimenti incompatibili con la fase cautelare, né il medesimo ricorso si presenta, ad un primo sommario esame, manifestamente privo di fumus boni iuris; Ritenuto quindi necessario sospendere in parte qua gli effetti del provvedimento impugnato al fine della conservazione della res integra sino alla definizione del giudizio nel merito e, nello specifico, sospendere il solo effetto acquisitivo al patrimonio del Comune previsto dall’art. 30, comma 8, del D.P.R. 6.6.2001, n. 380, salva restando l’efficacia del provvedimento impugnato per tutto il resto", accoglieva "la domanda cautelare, nei limiti e termini di cui in parte motiva, sospendendo il solo effetto acquisitivo al patrimonio del Comune, previsto dall’art. 30, comma 8, del D.P.R. 6.6.2001, n. 380, salva restando l’efficacia del provvedimento impugnato per il resto".

La causa veniva chiamata all’udienza pubblica del 21.6.2011 e trattenuta in decisione

Motivi della decisione

1) Il ricorso si rivela infondato.

Con il primo motivo di ricorso le parti ricorrenti contestano la sussistenza dei presupposti della fattispecie della lottizzazione abusiva, ex art. 30 del D.P.R. n. 380/2001, che al contrario sarebbero stati ritenuti presenti dal Comune solo a seguito di una valutazione erronea e fuorviante delle circostanza di fatto effettivamente esistenti ed una conseguente errata valutazione dei presupposti di diritto.

In particolare, la ricostruzione effettuata dal Comune di Napoli dei frazionamenti intervenuti sul terreno originario sino all’attuale conformazione coprirebbe uno spazio di tempo troppo risalente, a partire dall’anno 2001.

Evidenziano ancora i ricorrenti che i frazionamenti dell’originario terreno consumati in un arco temporale che va dal 2001 al 2005, di cui effettuano una analitica ricostruzione, risultavano essere tutti regolari e legittimi ed erano stati posti in essere senza alcun intento edificatorio.

Solo in relazione agli atti di frazionamento successivi al 2005, ed alla limitata attività edilizia posta in essere successivamente a tale anno, si sarebbe dovuto indagare per verificare l’eventuale sussistenza degli elementi tipici della fattispecie della lottizzazione abusiva, che invece osservata in un ambito temporale troppo risalente aveva fatto apparire come preordinati alla lottizzazione delle aree anche dei frazionamenti del tutto leciti e scevri da tali intenti.

Nel primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano, altresì, la genericità e collettività del provvedimento gravato che, senza differenziare le varie posizioni dei proprietari delle aree, avrebbe accomunato situazioni diverse, nell’ottica di forzatamente ravvisare un’ipotesi di lottizzazione abusiva in realtà insussistente.

Al contrario, sostengono i ricorrenti, le posizioni dei proprietari delle aree andavano opportunamente differenziate a seconda delle specifiche circostanze e da una interpretazione corretta dei fatti sarebbe emersa, tutt’al più, la realizzazione di singole opere abusive e non una ipotesi di lottizzazione abusiva, considerando altresì che non tutti i terreni interessati dal provvedimento erano stati oggetto di attività edificatoria.

Anche dal punto di vista dell’attività di frazionamento e vendita dei terreni in questione i ricorrenti evidenziano come dalle concrete circostanze in cui tale attività negoziale era stata svolta non si evincerebbe l’inequivoca destinazione a scopo edificatorio degli atti posti in essere, sottolineando che tale inequivoca destinazione risulta essere un presupposto necessario ai fini della configurabilità della lottizzazione abusiva ex art. 30 D.P.R. n. 380/2001.

Sempre nel primo motivo di ricorso, le parti ricorrenti deducono l’erronea riconducibilità ad opera di urbanizzazione della strada presente sul terreno, in quanto si tratterebbe di una preesistente stradina interpoderale che peraltro non raggiungerebbe tutti i terreni interessati.

Inoltre, le opere edilizie realizzate (costruzioni "abusive unifamiliari e multifamiliari con ingressi autonomi, recinzioni, muri e cancellate") non assumerebbero la consistenza e rilevanza indicata nel provvedimento gravato, avendo comunque dimensioni limitate e risultando essere presenti solo in alcuni dei lotti interessati.

Allo stesso modo l’edificazione delle aree non risulterebbe assumere il carattere dell’intensità, come invece indicato nel provvedimento gravato, in quanto l’attività edificatoria si sarebbe mantenuta in termini quantitativi di entità piuttosto limitata (in tutto 400500 metri quadrati).

Evidenziano, infine, la già dedotta mancata differenziazione delle posizioni dei proprietari ed il conseguente pregiudizio anche dei soggetti che avevano ricevuto i singoli lotti per donazione e degli acquirenti in buona fede, nonché il difetto di istruttoria.

1.1) Osserva al riguardo il Collegio come ricorrano nella fattispecie in questione i presupposti per la configurazione di una fattispecie di lottizzazione abusiva, così come prevista nel primo comma dell’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001.

Ai sensi di quest’ultimo "si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio".

La lottizzazione abusiva si presenta, quindi, sotto due differenti tipologie.

Si ha lottizzazione abusiva cosiddetta "materiale" qualora la trasformazione urbanistica od edilizia sia stata operata mediante la realizzazione di opere poste in essere in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione.

Si ha lottizzazione abusiva cosiddetta "giuridica o cartolare" qualora la trasformazione venga realizzata non attraverso un’attività materiale, bensì mediante attività giuridica ovverosia con atti di frazionamento e vendita o atti equivalenti che denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio dei terreni (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 5 aprile 2011, n. 2993; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 18 aprile 2011, n. 3370; Consiglio Stato, Sez. IV, 3 agosto 2010, n. 5170; Consiglio Stato, sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6060).

La lottizzazione abusiva, inoltre, può presentare anche carattere "misto" qualora la finalità della trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni non autorizzata o violativa di norme di legge o strumenti urbanistici venga sia perseguita mediante un intreccio di attività materiale e giuridica.

Le norme sulla lottizzazione abusiva mirano a prevenire e reprimere le condotte materiali e giuridiche intese ad incrementare l’edificazione sul territorio, senza che sussista una previa pianificazione capace di tenere conto delle conseguenze dell’edificazione in termini di esigenze di nuovi servizi ed opere di urbanizzazione (T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 24 marzo 2011, n. 446).

Di conseguenza, la lottizzazione abusiva può essere realizzata da qualsiasi tipo di opere in grado di stravolgere l’assetto territoriale preesistente ed idonee a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, quindi, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un carico urbanistico che necessita di adeguamento degli standards (T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 7 febbraio 2011, n. 243).

Tale conseguenza deve peraltro essere valutata tenendo conto delle opere complessivamente considerate e non del singolo e specifico intervento edilizio (T.A.R. Lombardia – Milano, sez. II, 27 aprile 2011, n.1066).

Il bene giuridico protetto dalla predetta norma, quindi, non è solo quello dell’ordinata pianificazione urbanistica e del corretto uso del territorio, ma anche (e soprattutto) quello relativo all’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della relativa funzione cui spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio, non previamente assentito (Consiglio Stato, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 5 aprile 2011, n. 2993; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 1 marzo 2011, n. 1259; Consiglio Stato, Sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6060).

E’ stato, al riguardo, rilevato che per aversi lottizzazione abusiva è sufficiente il solo fatto che le opere o il frazionamento fondiario siano stati realizzati in assenza di uno strumento urbanistico attuativo o di un piano di lottizzazione convenzionato (T.A.R. Emilia Romagna – Bologna, Sez. II, 16 maggio 2008, n. 1945; Consiglio Stato, Sez. V, 26 marzo 1996, n. 301).

Un processo idoneo a realizzare una fattispecie di lottizzazione abusiva materiale è, quindi, configurabile in base al compimento di qualsiasi attività ed ogni qual volta, in qualunque modo, si destini un suolo agricolo o di altra natura ad insediamento residenziale mediante la sua divisione in tante parti su cui poter realizzare, contemporaneamente od in tempi diversi, manufatti destinati ad un uso non compatibile con la specifica destinazione di zona (Consiglio Stato, sez. IV, 1 giugno 2010, n. 3475; Consiglio Stato, sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6560).

Va osservato, inoltre, che ai fini della configurazione di una lottizzazione cd. negoziale non è sufficiente che il terreno sia frazionato e venduto o, comunque, attribuito ad una pluralità di soggetti, in quanto la norma richiede un terzo requisito ossia la non equivocità della destinazione a scopo edificatorio abusivo sia del frazionamento che della vendita (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 15 marzo 2010, n. 1452; Consiglio Stato, Sez. V, 20 ottobre 2004, n. 6810; T.A.R. Campania, Sez. VI, 20 gennaio 2005, n. 261) e, più in generale, degli atti giuridici posti in essere (T.A.R. Emilia Romagna – Bologna, Sez. II, 30 dicembre 2008 n. 4748).

In particolare, la sussistenza della fattispecie della lottizzazione abusiva per mezzo di frazionamento e vendita di terreno implica la ricostruzione di un quadro indiziario sulla scorta degli elementi indicati nella norma, dalla quale sia possibile desumere in maniera non equivoca "la destinazione a scopo edificatorio" degli atti compiuti dalle parti (T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, 16 aprile 2010, n. 3932; Consiglio Stato, Sez. IV, 11 ottobre 2006 n. 6060; T.A.R. Emilia Romagna – Bologna, Sez. II, 16 maggio 2008 n. 1945; Consiglio Stato, Sez. V, 20 ottobre 2004, n. 6810).

È stato al riguardo, infine, precisato in giurisprudenza che non è però necessario che sia dimostrata l’esistenza di tutti gli indici rilevatori indicati nella citata norma, ma è sufficiente che lo scopo edificatorio emerga anche da un solo indizio (T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, 15 marzo 2010, n. 1452; Consiglio di Stato, Sez. V, 14 maggio 2004, n. 3136; Consiglio di Stato, Sez. V, 2 dicembre 2008, n. 5930; T.A.R. Lazio Roma, Sez. II ter, 15 giugno 2007, n. 5506).

1.2) Il Collegio rileva come nel caso di specie si palesa la realizzazione di una fattispecie di lottizzazione abusiva, integrata, da un lato, sotto un profilo "negoziale", mediante atti di frazionamento e cessione di terreni che, considerata la destinazione agricola delle aree, interessate anche da vincolo paesaggistico, per la loro ridotta dimensione, derivante dallo "spezzettamento" di un’area molto più vasta, si evidenziano come inadeguati allo scopo agricolo a cui sono destinati dagli strumenti urbanistici vigenti e finalizzati a scopo edificatorio, considerata altresì la natura soggettiva degli attuali proprietari ricorrenti, nessuno dei quali ha indicato l’attuale possesso della qualifica di imprenditore agricolo o coltivatore diretto o, comunque, dimostrato la sua dedizione all’attività agricola.

Allo stesso tempo la lottizzazione abusiva appare pienamente integrata anche nella sua componente materiale, in seguito alla effettiva realizzazione di attività edificatoria sui lotti frazionati, che da un lato ha avuto l’effetto di trasformare l’assetto urbanistico del territorio e, dall’altro, ha confermato l’intento edificatorio sottotante agli atti di frazionamento.

Il carattere lottizzatorio appare, difatti, reso tanto più esplicito dall’aspetto "materiale" della concreta fattispecie, in quanto sui terreni in esame è stata posta in essere un’attività materiale edificatoria che ha comportato la trasformazione dell’area, caratterizzata dalla presenza di piccoli lotti di terreno, fisicamente separati tra loro, sul quale insistono diversi manufatti abusivi, anche a destinazione abitativa, ed una strada di collegamento.

1.3) Entrando nello specifico sull’aspetto negoziale, l’attuale conformazione proprietaria parcellizzata dei terreni interessati dal provvedimento gravato deriva dal frazionamento dell’originaria particella 506 di mq. 14.186, frazionato inizialmente nel 2001 nei lotti 1358 e 1359 e poi, con ulteriori frazionamenti, in un numero rilevante di piccoli lotti per un totale complessivo di undici appezzamenti sull’intera area.

Per quanto riguarda la specifica situazione delle aree di proprietà delle parti ricorrenti (che come indicato in parte motiva non sono tutti i soggetti destinatari del provvedimento comunale gravato), il loro assetto attuale deriva per tutti dal frazionamento della particella 1358 di mq. 11.308.

In particolare, per quest’ultima particella, l’iniziale lotto di mq. 11.308 è stato trasformato, con successivi atti del frazionamento, dal 2002 al 2005, in ben 10 lotti di ampiezza variabile dal più piccolo di mq.134 (part. 134) al più grande di mq. 1.926 (part. 1425).

Tale "spezzettamento" dei terreni si pone come inconciliabile con la destinazione agricola impressa alla zona ed evidenzia, anche alla luce dell’effettiva attività edificatoria poi concretamente posta in essere, un evidente intento edificatorio.

1.4) Non ha pregio, in proposito, la già descritta censura dei ricorrenti volta lamentare che la ricostruzione effettuata dal Comune di Napoli in ordine ai frazionamenti del terreno iniziale coprirebbe uno spazio di tempo troppo risalente, partendo dal 2001, accomunando in un unico disegno edificatorio una serie di atti eterogenei del tutto privi di tale intento.

Evidente risulta come sulla suindicata porzione di territorio interessata siano stati compiuti, nel corso degli anni, non solo il frazionamento di un più ampio fondo in più lotti di dimensione minima e la cessione di questi ultimi, ma anche realizzate attività materiali indubbiamente idonee ad attuare una trasformazione urbanistica ed edilizia in violazione delle prescrizioni del P.R.G. dirette a salvaguardare la destinazione agricola dell’area, e che la combinazione di tali circostanze evidenzino un intento edificatorio che ha accompagnato i diversi atti di frazionamento e cessione.

Peraltro tale valutazione non cambia, anzi ne esce rafforzata, qualora si guardi alla sola situazione dei terreni delle parti ricorrenti, in quanto gli atti di frazionamento che hanno di fatto spezzettato le aree sino ad evidenziarne la finalità edificatoria sono stati posti in essere dal 2002 al 2005 (partire dal frazionamento della particella 1358) ed, in particolare, in quest’ultimo anno hanno avuto luogo i frazionamenti delle particelle 1373 di mq. 9.204 e 1374 di mq. 2.104 nelle attuali dieci particelle di proprietà dei ricorrenti.

Gli atti di frazionamento non sono quindi stati posti in essere in un arco di tempo così diluito da stemperare o interrompere l’intento edificatorio e non consentire agli acquirenti (sia a titolo gratuito che a titolo oneroso) di percepire l’effetto di trasformazione del territorio che tali atti comportavano.

1.5) Inoltre, l’attività materiale edificatoria posta in essere sui terreni a cominciare dalla strada di collegamento, oltre a confermare come indicato l’intento edificatorio, ha assunto una valenza di trasformazione urbanistica ed edilizia tale da integrare il fenomeno lottizzatorio.

Per quanto più specificamente concerne l’aspetto materiale, il terreno di cui all’originaria particella 506, è stato interessato da un’operazione fisica di divisione in singoli lotti e dalla realizzazione di manufatti anche abitativi o da lavori di sterro a presumibile carattere preparatorio all’edificazione come ben evidenziato dalla relazione tecnica di sopralluogo del 24.11.2006, sottoscritta dal tecnico del S.A.E. Geom. Calcaterra, e dal verbale di sequestro del 25.11.2006.

Nello specifico, questi ultimi atti, descrittivi della situazione in fatto dello stato dei luoghi, rivelano come pressoché tutti i terreni dei ricorrenti sono stati interessati da attività edificatoria con la realizzazione di manufatti, anche a presumibile carattere abitativo, o da lavori di sterro per la realizzazione di una strada di collegamento.

In particolare, sempre per limitarsi ai terreni di proprietà dei ricorrenti, sulla particella 1420 (di P.E.) è stato realizzato un manufatto di mq. 50 x m. 3,50 di altezza, un manufatto di mq. 25 x m. 3,00 di altezza, nonchè altri due manufatti minori; sulla particella 1421 (di P.G.) è stato realizzato un manufatto di mq. 80 x m. 3,50 di altezza; sulla particella 1424 (di S.V.) è realizzato stato un manufatto di mq. 10 x m. 2,20 di altezza ed una zattera di calcestruzzo di mq. 4; sulla particella 1426 (di P.M. in comproprietà con alti) era in corso di realizzazione una strada collocata in posizione centrale tra gli altri lotti di circa m.100 x m. 3,50; sulla particella 1432 (di M.C. e T.G. in comunione) è stato realizzato un manufatto di mq. 120 x m. 4,00 di altezza; sulla particella 1433 (di S.M.) è stato realizzato un manufatto di mq. 150 x m. 4,00 di altezza ed un altro piccolo manufatto di mq. 5 x 2,70 di altezza.

Quanto all’elemento dell’esistenza della strada di collegamento tra i lotti, in corso di realizzazione sulla particella 1426, i ricorrenti hanno tentato di sminuirne la rilevanza affermando che si tratti di una preesistente stradina interpoderale.

Al contrario, ritiene il Collegio che si tratti di un elemento di indubbia rilevanza quale indice rilevatore del processo di trasformazione urbanistica ed edilizia del terreno, come indicato con estremo rigore dalla prevalente giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 15 febbraio 2010, n. 913, secondo cui anche la sola realizzazione di una strada, comportando un mutamento del precedente assetto del territorio, costituisce opera di trasformazione urbanistica soggetta ad autorizzazione comunale, tanto più qualora essa mal si concili con la destinazione dei terreni e sia finalizzata a fornire un accesso a singoli lotti costituenti lottizzazione abusiva, cfr. anche T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 10 novembre 2006, n. 9458; T.A.R. Lazio Latina, 6.2.2002, n. 68; Consiglio Stato, sez. IV, 8 maggio 2003, n. 2445)

1.6) Non é inoltre possibile dare dirimente rilevanza alle osservazioni dei ricorrenti volte ad evidenziare che le opere realizzate sui terreni ed evidenziate nel provvedimento gravato (costruzioni "abusive unifamiliari e multifamiliari con ingressi autonomi, recinzioni, muri e cancellate") presenterebbero dimensioni limitate e sarebbero presenti solo in alcuni dei lotti interessati, evidenziando che l’attività edificatoria effettivamente posta in essere avrebbe avuto un ambito quantitativo piuttosto limitato.

Da un lato, difatti, gli intervenuti atti di frazionamento e cessione dei terreni, analiticamente riportati dagli stessi ricorrenti, già evidenziano l’esistenza di una fattispecie di lottizzazione abusiva di carattere negoziale rispetto alla quale l’attività di concreta edificazione si pone come, comunque, conferma dell’originario intento edificatorio.

Inoltre, la descritta entità degli interventi edificatori evidenziano un fenomeno di lottizzazione c.d. materiale mediante la realizzazione di opere che hanno conferito alla zona un’articolazione apprezzabile in termini di trasformazione edilizia, dotando i terreni dell’attitudine ad accogliere insediamenti non consentiti o non programmati.

Al riguardo, difatti, qualunque intervento o costruzione, ivi comprese le recinzioni o i picchettamenti, possono presentare siffatta idoneità a stravolgere l’assetto del territorio rendendone impraticabile la programmazione, anche quando non siano stati completati o si trovino in una fase iniziale (T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, 15 febbraio 2010, n. 913; T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 10 novembre 2006, n. 9458), non avendo eccesiva rilevanza l’aspetto quantitativo dell’attività edilizia concretamente posta in essere, salvo che per la loro minima rilevanza e natura escludano l’attitudine trasformatoria dell’assetto del territorio che la norma sulla lottizzazione abusiva tende a preservare.

Nel caso di specie gli interventi realizzati non appaiono affatto privi di rilevanza in termini di trasformazione urbanistica, sia dal punto di vista quantitativo (avendo interessato l’attività edificatoria pressoché tutti i terreni dei ricorrenti), che qualitativo (consistendo sia in attività di delimitazione fisica dei singoli lotti tramite recinzioni, muri e cancellate, sia in attività di realizzazione di manufatti anche con attitudine ad uso abitativo) ed avendo ricompreso persino la realizzazione di una strada di collegamento.

Tali interventi ben hanno superato la soglia minima necessaria per configurare una fattispecie di lottizzazione abusiva, avendo avuto l’effetto di conferire alla zona de qua, sia pure a livello embrionale, un proprio assetto urbanistico differente da quello previsto negli strumenti urbanistici.

Ad avviso del Collegio, quindi, tutte le suesposte circostanze complessivamente intese, sono tali, contrariamente all’assunto formulato dai ricorrenti, da evidenziare congruamente l’esistenza della contestata lottizzazione abusiva non solo nella sua forma negoziale ma anche materiale..

1.7) Né al riguardo può rilevare la circostanza, evidenziata dai ricorrenti, che alcuni dei frazionamenti siano intervenuti nell’ambito di trasferimenti effettuati a titolo gratuito mediante donazioni a parenti in linea retta (figli).

Al riguardo, difatti, non può operare nel senso di escludere la presenza di una fattispecie di lottizzazione abusiva il disposto del comma 10, dell’art. 30, del D.P.R. n. 380/2001, in base al quale le disposizioni previste nel medesimo articolo non si applicano tra l’altro "alle divisioni ereditarie, alle donazioni fra coniugi e fra parenti in linea retta ed ai testamenti", in considerazione della circostanza che in tali ipotesi il frazionamento dei suoli appare finalizzato a realizzare una suddivisione all’interno dello stesso nucleo familiare.

Osserva innanzitutto il Collegio che solo alcune delle cessioni sono avvenute per donazione a parenti in linea retta mentre l’operazione di lottizzazione abusiva ha riguardato un più vasto ambito, tale da non limitare l’effetto delle operazioni di suddivisione all’interno di un unico ambito familiare.

In secondo luogo anche le donazioni a parenti di primo grado possono essere finalizzate a realizzare ipotesi di lottizzazione abusiva ed, in tali casi, stante la verifica dell’applicabilità delle "sanzioni" civilistiche dettate dall’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001 (che prevede due ipotesi di nullità degli atti di trasferimento qualora intervenuti senza il certificato di destinazione urbanistica o dopo l’emissione dell’ordinanza di sospensione), risultano applicabili le sanzioni amministrative e penali previste dal medesimo articolo 10.

Infine, seppure non si voglia ritenere che la disposizione di cui al comma 10, del suddetto art. 30, sia riferita alle sole sanzioni civilistiche di nullità previste nel medesimo articolo, tale disposizione deve ritenersi applicabile alle sole ipotesi di lottizzazione negoziale.

Il suddetto comma 10, difatti, fa riferimento unicamente al compimento di atti negoziali e, nello specifico, "divisioni ereditarie", "donazioni" e "testamenti" e non alle ipotesi di lottizzazione materiale, integrata mediante attività edificatoria, che nel caso di specie, per quanto indicato appare sussistere.

1.8) Risulta, altresì, priva di pregio la censura inerente alla genericità e collettività del provvedimento gravato che non differenzia le varie posizioni dei proprietari delle aree.

In linea generale, difatti, il riscontro di una fattispecie di lottizzazione abusiva impone una lettura d’insieme delle trasformazioni urbanistiche ed edilizie del territorio che consente di superare la dimensione prettamente edilizia dei singoli illeciti consumati dai vari proprietari per approdare ad un più vasto ed incisivo fenomeno di sostanziale stravolgimento del territorio, effettuato a danno dell’ordinaria programmazione urbanistica riservata al Comune.

Inoltre, da quanto indicato, risulta che, per quanto riguarda i terreni dei ricorrenti, sussistessero tutti gli estremi della lottizzazione abusiva e la circostanza che le posizioni dei singoli siano state accomunate nell’ambito di un unico provvedimento deriva non da una difettosa istruttoria, irriguardosa delle singole posizioni dei singoli, ma dalla natura unitaria della fattispecie della lottizzazione abusiva.

Le attività giuridiche e materiali comportanti la trasformazione edilizia ed urbanistica caratterizzante l’ipotesi di lottizzazione abusiva nel caso di specie sono state realizzate mediante lo "spezzettamento" di un’area più vasta a fini di lottizzazione ed edificazione ed, in tale ambito, le posizioni dei singoli proprietari presentano rapporti di connessione che ne comportano la considerazione unitaria ai fini dell’adozione del provvedimento amministrativo che si risolve in un atto cumulativo.

La circostanza che il provvedimento si rivolga in modo generale a tutti i proprietari delle aree derivanti dalla frazione di un originario più vasto appezzamento non deriva, quindi, dalla mancata considerazione delle posizioni dei singoli proprietari ma dalla loro assimilabilità nell’ambito di un fenomeno lottizzatorio unitario, comportando la comune sussistenza per tutti i ricorrenti degli estremi della fattispecie della lottizzazione abusiva.

1.9) Quanto al profilo della buona fede dei proprietari, il Collegio rimanda l’esame di quest’ultimo profilo soggettivo, connesso con quello dell’assenza di colpa, allo scrutinio del secondo motivo di ricorso, non senza evidenziare però che le parti ricorrenti, singolarmente considerate, non hanno fornito sufficienti elementi di prova per dimostrare l’assenza di consapevolezza sulla vicenda lottizzatoria o evidenziare l’esistenza di una situazione di fatto tale da escludere la rilevabilità, secondo comune diligenza, di una operazione di lottizzazione finalizzata all’edificazione.

2) Con il secondo motivo di ricorso le parti ricorrenti deducevano la contrarietà dell’art.30 del D.P.R. n. 380/2001 al dettato Costituzionale, nella parte in cui dispone l’acquisizione delle aree da parte dell’Ente Locale.

In tal senso invocavano la contrarietà agli artt. 3, 25, comma 2, 27, comma 1, Cost., nonché agli artt. 117 Cost. e 7 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito anche "CEDU"), per l’assimilabilità dell’acquisizione dell’area ai sensi dei comma 7 ed 8 del D.P.R. n. 380/2011 ad una sanzione penale, data l’identità dei suoi effetti a quelli della confisca penale prevista dall’art. 44 dello stesso D.P.R. n. 380/2001.

Lamentavano, inoltre, la contrarierà del suddetto art.30 D.P.R. n. 380/2001 al combinato disposto dell’art. 117 Cost., dell’art.1 della CEDU e dell’art.1 del Protocollo aggiuntivo n. 1 della CEDU, nonché al combinato disposto degli artt. 42 e 117 Cost., dell’art. 1 della CEDU, dell’art.1 del Protocollo aggiuntivo n. 1 della CEDU, in quanto senza adeguate garanzie consente la perdita di proprietà di un bene, in assenza di una condotta che risponda ai requisiti soggettivi di coscienza e volontà dell’agente e che sia caratterizzata quantomeno dall’elemento soggettivo della colpa (per la particolare ipotesi dell’acquirente in buona fede); nonché in quanto la misura dell’acquisizione risulterebbe assolutamente sproporzionata, comportando un’espropriazione di fatto, senza peraltro prevedere un ristoro indennitario ed una tutela del terzo acquirente in buona fede.

I ricorrenti richiamavano, quanto all’eccezione di incostituzionalità, quell’indirizzo della giurisprudenza costituzionale che ha ritiene che le norme CEDU possano essere considerate norme interposte ai fini del giudizio di costituzionalità ex art. 117, comma 1, Cost., posto che quest’ultimo prevede come limite al legislatore "i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali".

Quanto al preteso contrasto dell’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001 con la Costituzione e con le norme CEDU, i ricorrenti richiamavano il contenuto della decisione della Seconda Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo del 30/08/2007 (Numero del Ricorso: 75909/01), caso SUD FONDI, e della Sentenza della Corte di Cassazione Pen., Sez. III, 17.11.2008, n. 42471.

In particolare, la decisione della Corte di Strasburgo ha rilevato la contrarietà alla CEDU dell’istituto, ritenuto analogo dai ricorrenti, della cosiddetta confisca urbanistica prevista nell’art. 44, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, disposta dal giudice penale per il reato di lottizzazione abusiva di cui all’art. 30, comma 1, dello stesso D.P.R. n. 380/2001.

La sentenza della Corte di Cassazione veniva, invece, richiamata per la sua qualificazione della suddetta confisca urbanistica come sanzione amministrativa e per l’affermazione che da tale natura discenderebbe la necessità, i fini della sua applicazione, di una condotta posta in essere con coscienza e volontà e dall’elemento soggettivo quantomeno della colpa.

Da ciò si evincerebbe, sempre secondo i ricorrenti, l’impossibilità di porre in essere la confisca edilizia nei confronti di soggetti estranei alla commissione del reato di lottizzazione abusiva per i quali sia stata accertata la buona fede.

Ciò posto le parti ricorrenti sostenevano l’esistenza di una indubbia affinità tra la confisca urbanistica di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 e l’acquisizione delle aree prevista nell’art. 30, comma 7 ed 8, del D.P.R. n. 380/2001, in quanto entrambi comportanti l’acquisizione dell’area al patrimonio della pubblica amministrazione in seguito ad una fattispecie di lottizzazione abusiva, con conseguente estensibilità a quest’ultima delle conclusioni raggiunte per il primo istituto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e nazionale.

2.1) Il Collegio osserva innanzitutto come le censure sollevate nel secondo motivo di ricorso riguardino principalmente l’aspetto relativo all’acquisizione delle aree da parte del Comune.

Occorre, pertanto, in via prioritaria verificare l’effetto acquisitivo del provvedimento gravato (ordinanza di sospensione) al fine di valutare la sua lesività dal punto di vista della sua capacità di operare il trasferimento del diritto di proprietà in capo all’ente pubblico.

A tal proposito si rileva come l’atto impugnato è idoneo, senza che ricorra la necessità di alcun altro provvedimento, a determinare il passaggio della proprietà delle aree in titolarità del patrimonio comunale, in quanto l’ordinanza di sospensione dei lavori ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. n. 380/01, costituisce provvedimento non solo di natura cautelare, ma anche il presupposto formale e sostanziale dell’acquisizione delle aree al patrimonio comunale (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 2 marzo 2010, n. 264; T.A.R. Bari, sez. III, 8 giugno 2007, n. 1536).

La giurisprudenza amministrativa ha condivisibilmente osservato che il decorso di novanta giorni dall’adozione dell’ordinanza di sospensione dell’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio in assenza della prescritta autorizzazione, senza che il provvedimento sia revocato, comporta l’acquisizione di diritto al patrimonio disponibile del comune delle aree lottizzate; con ogni conseguenza di legge, tanto sul piano della doverosità delle successive ordinanze di demolizione, quanto del venir meno della legittimazione e dell’interesse all’impugnazione in capo ai ricorrenti, soggetti ormai privi di qualunque titolo sugli immobili (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 9 dicembre 2005, n. 5828).

Eventuali successivi atti, attestanti l’effetto acquisitivo, avranno, pertanto, mero valore ricognitivo di un effetto acquisitivo già intervenuto con il decorso di novanta giorni e, per tale ragione, l’atto gravato si rivela immediatamente lesivo dell’interesse dei ricorrenti alla conservazione della proprietà dei terreni.

2.2) Il Collegio osserva che i profili invocati nel secondo motivo di ricorso hanno riguardo alle garanzie inerenti alla titolarità del diritto di proprietà ed, in particolare, all’aspetto dell’acquisizione della titolarità delle aree dei privati in capo all’Amministrazione quale conseguenza delle misure sanzionatorie previste dall’art. 30, comma 7 ed 8, del D.P.R. n. 380/2001, con un effetto sostanzialmente espropriativo per il proprietario inciso.

In particolare, hanno ad oggetto la compatibilità di tale normativa con i principi della CEDU, così come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo ed, in senso costituzionalmente orientato, dalle pronunce della Corte di Cassazione Penale.

Le pronunce richiamate dai ricorrenti hanno avuto ad oggetto la differente fattispecie normativa della confisca urbanistica di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001.

Quest’ultimo articolo prevede, al comma 2, che "La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione. La sentenza definitiva è titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari".

Il reato di lottizzazione abusiva è definito nel comma 1, dell’art. 30, del D.P.R. n. 380/2001, che delinea anche i presupposti per l’applicazione della sanzione amministrativa di cui ai comma 7 ed 8 dello stesso art. 30, oggetto del provvedimento gravato.

Questi ultimi, in particolare, prevedono: "Nel caso in cui il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione, con ordinanza da notificare ai proprietari delle aree ed agli altri soggetti indicati nel comma 1 dell’articolo 29, ne dispone la sospensione. Il provvedimento comporta l’immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse con atti tra vivi, e deve essere trascritto a tal fine nei registri immobiliari" (comma 7).

Trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento di cui al comma 7, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere…" (comma 8).

Osserva il Collegio come le due fattispecie della confisca urbanistica di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 e dell’acquisizione delle aree prevista nell’art. 30, comma 7 ed 8, del D.P.R. n. 380/2001, presentino un indubbio carattere di affinità e comunanza di elementi, stante l’identità dei presupposti (realizzazione di una fattispecie di lottizzazione abusiva descritta nella medesima norma) e degli effetti (dell’acquisizione dell’area al patrimonio della pubblica amministrazione), idonea a giustificare in linea teorica l’estensibilità a quest’ultima delle conclusioni raggiunte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per l’istituto della confisca urbanistica, per quanto riguarda il profilo del trasferimento del diritto di proprietà dal privato all’Amministrazione senza corresponsione di indennizzo.

Le due fattispecie presentano, difatti, identica natura di sanzioni amministrative, riscontrandosi in tal senso l’orientamento unanime della giurisprudenza penale che definisce sanzione amministrativa la confisca urbanistica di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 (Cassazione penale, sez. III, 9 luglio 2009, n. 36844; Cass. Pen., Sez. III, 11.4.2007, n. 35219; Cassazione penale, sez. III, 4.10.2004, n. 38728, Cassazione penale, sez. III,, 22.9.2004 n. 37086; Cassazione penale, sez. III, 16.5.1999 n. 777).

In particolare quest’ultima viene disposta dal giudice penale con un provvedimento giurisdizionale mentre l’altra viene comminata dall’Amministrazione con un provvedimento amministrativo.

Tale differenza, relativa all’autorità che la dispone (giudiziaria l’una ed amministrativa l’altra) e del procedimento di adozione (all’esito di un processo l’una e di un procedimento amministrativo l’altra), non comporta, però, una differenza nella loro natura di sanzioni amministrative, né una differenza nella loro funzione e nel loro effetto di trasferire la proprietà dell’area in capo all’Amministrazione, al fine del ripristino degli assetti urbanistici violati.

Le due misure, anzi, sono inquadrabili nell’ambito di una visione unitaria e complementare della sanzionabilità del medesimo evento di lottizzazione abusiva, tant’è che la Corte di Cassazione Penale ha riconosciuto che l’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 configuri una sanzione amministrativa speciale che il giudice penale deve irrogare in funzione di supplenza della pubblica amministrazione (Cass. Pen., Sez. III, 11.4.2007, n. 35219; Cass. Pen., Sez. III, 16.11.1995, n. 12471) e che la confisca edilizia di cui all’art. 44 e la misura acquisitiva di cui art. 30, comma 7 ed 8, del D.P.R. n. 380 del 2001, costituiscono due provvedimenti che – benchè provenienti da organi diversi – hanno lo stesso effetto ablatorio in danno dei proprietari privati ed a favore del patrimonio comunale (Cass. Pen., Sez. III, 11.4.2007, n. 35219) e presentano la stessa natura (Cass. Pen., sez. III, 9 luglio 2009, n. 36844).

I due istituti sono pertanto sotto certi aspetti assimilabili per quanto riguarda i profili attinenti alla loro compatibilità con i principi CEDU per ciò che concerne l’acquisizione della proprietà in capo all’Amministrazione delle aree dei privati a seguito di ipotesi di lottizzazione edilizia.

2.3) Rileva il Collegio che su tale questione, oltre ai precedenti citati dai ricorrenti, sono intervenuti diversi ulteriori arresti giurisprudenziali da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, della Corte Costituzionale e della giurisprudenza italiana che hanno arricchito i termini della problematica.

E’ intervenuta, in particolare, la sentenza della Seconda Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo del 20/01/2009, che ha definito il ricorso SUD FONDI (n. 75909/01) (di cui la pronuncia del 30/08/2007, richiamata dai ricorrenti aveva dichiarato la ricevibilità), precisando i termini di non conformità alla CEDU dell’istituto della confisca edilizia di cui 44 del D.P.R. n. 380/2001; la sentenza di Corte Costituzionale, 24 luglio 2009, n. 23, che ha dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale e diverse sentenze della Corte di Cassazione Penale che hanno meglio definito l’elemento soggettivo necessario per l’operatività della suddetta sanzione.

2.4) Nello specifico, per quanto riguarda le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, con il ricorso n. 75909/01, le società proprietarie di un complesso edilizio sito sulla costa pugliese di Punta Perotti, lamentavano l’intervenuta confisca e la successiva demolizione dei suddetti beni immobiliari in quanto oggetto di lottizzazione abusiva, mentre erano stati assolti gli autori del reato per mancanza di dolo.

Deducevano, davanti alla Corte europea, la violazione dell’art. 7 (Nulla poena sine lege) e dell’art. 1 del Protocollo n. 1 (Protezione della proprietà) della CEDU, in quanto il provvedimento di confisca sarebbe stata disposto in un caso non previsto dalla legge e doveva comunque considerarsi sproporzionato.

La Seconda Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo, con la pronuncia del 30/08/2007, ha ritenuto ricevibile il ricorso, poiché la confisca in esame, al di là delle qualificazioni date dal diritto nazionale così come interpretato dalla giurisprudenza interna dello Stato, doveva essere considerata come una " pena " ai sensi dell’art. 7 della CEDU, in quanto è collegata ad una " infraction pénale ", e mira ad evitare la reiterazione delle condotte illegali (come dimostrerebbe la circostanza che nell’85% delle confische disposte essa ha ad oggetto terreni non ancora costruiti).

Essa, sempre secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, costituisce una misura al contempo repressiva e preventiva, come tipico delle sanzioni penali.

Con la successiva sentenza del 20/01/2009, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha definito il ricorso in questione, affrontando entrambe le questioni relative al principio nulla poena sine lege di cui all’art. 7 ed alla tutela della proprietà di cui all’art. 1 del Protocollo n. 1.

In particolare la Corte europea dei diritti dell’uomo, sulla prima questione, dopo aver chiarito la portata ed i principi sanciti dall’articolo 7, ha verificato se, nel momento in cui è stato commesso l’atto che ha dato luogo al procedimento penale ed alla condanna, esistesse una disposizione legale che rendeva l’atto punibile, e che la pena imposta non abbia ecceduto i limiti fissati da tale disposizione.

La Corte europea dei diritti dell’uomo, nel far proprie le conclusioni della Corte di cassazione in merito all’errore inevitabile e scusabile commesso dagli imputati circa la legalità della lottizzazione, ha quindi affermato che le condizioni di conoscibilità, prevedibilità e chiarezza della legge non erano state soddisfatte, stante l’asserita oscurità della legge regionale e le conseguenti difficoltà di coordinamento con quella nazionale, nonché la giurisprudenza contrastante in materia.

Pertanto, i giudici europei, ritenendo che la confisca ai danni dei ricorrenti fosse qualificabile alla stregua di una sanzione arbitraria, priva di base legale, hanno dichiarato la violazione dell’articolo 7 della Convenzione.

In tale ambito la Corte europea dei diritti dell’uomo ha, altresì, precisato la necessarietà dell’elemento soggettivo della colpevolezza indicando, al par. 116, che "per quanto riguarda la Convenzione, l’articolo 7 non menziona espressamente il legame morale esistente tra l’elemento materiale del reato e la persona che ne viene considerata l’autore. Tuttavia, la logica della pena e della punizione, così come la nozione di "guilty" (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di "persona colpevole" (nella versione francese) vanno nel senso di una interpretazione dell’articolo 7 che esige, per punire, un legame di natura intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare un elemento di responsabilità nella condotta dell’autore materiale del reato. In caso contrario, la pena non sarebbe giustificata. Sarebbe del resto incoerente, da una parte, esigere una base legale accessibile e prevedibile e, dall’altra, permettere che si consideri una persona come "colpevole" e "punirla" quando essa non era in grado di conoscere la legge penale, a causa di un errore insormontabile che non può assolutamente essere imputato a colui o colei che né è vittima".

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha, altresì, constatato anche la violazione dell’art. 1, Protocollo n. 1 della CEDU, relativo alla protezione della proprietà, sotto i profili della illegalità e della mancata proporzionalità della misura di confisca adottata.

Secondo l’indicata norma "Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale…"

Al riguardo la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato innanzitutto l’illegalità della sanzione inflitta, per l’assenza di base legale già affermata nell’ambito della valutazione della violazione dell’art. 7, con conseguente arbitrarietà dell’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni delle ricorrenti e violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

Quanto al profilo della proporzionalità, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa sull’equilibrio che deve regnare tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, tenendo presente che ci deve essere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, affermando esservi stata la rottura del giusto equilibrio e conseguente violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, in quanto:

– la buona fede e l’assenza di responsabilità delle ricorrenti non hanno potuto svolgere alcun ruolo e le procedure applicabili nella fattispecie non permettevano in alcun modo di tenere conto del grado di colpa o di imprudenza né, a dir poco, del rapporto tra la condotta delle ricorrenti e il reato controverso (par.139);

– la portata della confisca (85% di terreni non edificati), in assenza di un qualsiasi indennizzo, non si giustifica rispetto allo scopo annunciato, ossia mettere i lotti interessati in una situazione di conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche mentre sarebbe stato ampiamente sufficiente prevedere la demolizione delle opere incompatibili con le disposizioni pertinenti e dichiarare inefficace il progetto di lottizzazione (par. 140);

– la paradossalità della circostanza che il Comune, responsabile di avere accordato dei permessi di costruire illegali, sia divenuto proprietario dei beni confiscati (par. 140) (senza corresponsione di alcun indennizzo).

2.5) Il Collegio rileva, quindi, come dalla pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo emerga, indipendentemente dalla qualificazione di sanzione penale o amministrativa data dal diritto interno alla misura acquisitiva dell’area, la necessità della percepibilità e conoscibilità della fattispecie di illecito, della colpevolezza intesa quantomeno come consapevolezza della realizzazione della lottizzazione abusiva e della proporzionalità della misura assunta.

2.6) Sulla questione della costituzionalità dell’art. 44, comma 2, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, si è pronunciata la Corte Costituzionale, con sentenza 24 luglio 2009, n. 239.

Quest’ultima era stata investita della questione, sollevata, in riferimento agli art. 3, 25, comma 2, e 27, comma 1 cost., nonchè ai principi dettati dalla CEDU, e riguardava il suddetto art, 44, comma 2, nella parte in cui impone al giudice penale, in presenza di accertata lottizzazione abusiva, di disporre la confisca dei terreni e delle opere abusivamente costruite anche a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti.

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale anche sotto il profilo dell’omissione da parte del giudice a quo della sperimentazione della possibilità di un’interpretazione conforme alla disposizione internazionale, quale interpretata dalla predetta Corte europea dei diritti dell’uomo, indicando come spetti "agli organi giurisdizionali comuni l’eventuale opera interpretativa dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 che sia resa effettivamente necessaria dalle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo; a tale compito, infatti, già ha atteso la giurisprudenza di legittimità, con esiti la cui valutazione non è ora rimessa a questa Corte. Solo ove l’adeguamento interpretativo, che appaia necessitato, risulti impossibile o l’eventuale diritto vivente che si formi in materia faccia sorgere dubbi sulla sua legittimità costituzionale, questa Corte potrà essere chiamata ad affrontare il problema della asserita incostituzionalità della disposizione di legge".

2.7) In conformità alla indicate decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo si è riscontrata, quindi, una interpretazione costituzionalmente orientata della Corte di Cassazione Penale della sanzione di cui al più volte citato art. 44, che impone la presenza quanto meno di profili di colpa (anche sotto gli aspetti dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere e collega a tale presupposto l’applicazione della confisca per nelle ipotesi di lottizzazione abusiva (Cassazione penale, sez. III, 21 ottobre 2009, n. 48924; Cassazione penale, sez. III, 29 settembre 2009, n. 42178; Cassazione penale, sez. III, 20.5.2009, n. 211887; Cassazione penale, sez. III, 29.4.2009, n. 17865, Cassazione penale, sez. III, 2.10.2008, n. 37472).

La Suprema Corte si è discostata dal precedente indirizzo interpretativo, secondo il quale la confisca obbligatoria ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, poteva essere eseguita anche nei confronti di soggetti estranei alla commissione del reato e venuti in possesso in buona fede dell’immobile (Cassazione penale, sez. III, 4.10.2004, n. 38728; Cassazione penale, sez. III, 21.3.2005, n. 10916) i quali potevano far eventualmente valere i propri diritti in sede civile.

Ha, quindi, assunto una posizione secondo cui "in tema di reati edilizi ed urbanistici, la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite non deve essere disposta nei confronti dei soggetti estranei alla commissione del reato e venuti in buona fede in possesso del terreno o dell’opera edilizia oggetto di abusiva lottizzazione" (Cassazione penale, sez. III, 24.10.2008 n. 42741; Cassazione penale, sez. III, 9 luglio 2009, n. 36844).

Ha preso atto che l’ambito di applicazione dell’art. 7 della CEDU non coincide necessariamente, secondo l’interpretazione della Corte europea, con gli illeciti e le sanzioni qualificati come penali in base al diritto interno dei singoli Stati, poichè finisce col ricomprendere tutte le norme e le misure considerate "intrinsecamente penali", ribadendo però che dal punto di vista del diritto nazionale la confisca prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, costituisce una sanzione amministrativa e non una misura di sicurezza penale di natura patrimoniale (Cassazione penale, sez. III, 9 luglio 2009, n. 36844; Cassazione penale, sez. III, 4.10.2004 n. 38728; Cassazione penale, sez. III,, 22.9.2004 n. 37086; Cassazione penale, sez. III, 16.5.1999 n. 777).

Si tratta, infatti, di una sanzione che viene emessa dal giudice penale in via di supplenza, sia pur autonomamente, rispetto all’analoga misura emessa dall’autorità amministrativa e ne condivide la natura (Cassazione penale, sez. III, 9 luglio 2009, n. 36844).

La natura amministrativa di detta confisca non ne esclude, però, il suo carattere sanzionatorio con la conseguente necessità di tener conto dei principi generali che regolano l’applicazione anche delle sanzioni amministrative.

Tali principi vengono rinvenuti nella legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) e, peraltro, corrispondono ad esigenze di uguaglianza e razionalità normativa ai sensi dell’art. 3 della Costituzione.

Orbene, è indubbio che anche con riferimento alle sanzioni amministrative esulano dalla materia criteri di responsabilità oggettiva, essendo richiesta, quale requisito essenziale di legalità per la loro applicazione, l’esistenza di una condotta che risponda ai necessari requisiti soggettivi della coscienza e volontà dell’agente e sia caratterizzata quanto meno dall’elemento psicologico della colpa (art. 2 e 3 della legge citata).

Anche la sanzione amministrativa, pertanto, non può essere applicata nei confronti di soggetti in buona fede, che non abbiano commesso alcuna violazione.

Non vale inoltre a giustificare la confisca ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, nei confronti di soggetti incolpevoli l’affermazione dell’esistenza di un interesse collettivo alla tutela ed alla salvaguardia del territorio, che giustifica la compressione del diritto del privato di natura reale, in considerazione della funzione sociale riconosciuta alla proprietà privata dall’art. 42 Cost., comma 2, (Cassazione penale, sez. III, 9 luglio 2009, n. 36844).

Ritiene ancora la Suprema Corte come sia indubbia l’esistenza di un interesse pubblico che giustifica l’acquisizione da parte dell’ente locale, ai sensi del cit. D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, dei suoli oggetto di lottizzazione abusiva, quale misura per consentire alla pubblica amministrazione di intervenire per il riassetto dell’area.

Appare egualmente indubbio, però, che, al di fuori dell’applicazione di misure sanzionatorie, la compressione del diritto di proprietà per ragioni di interesse generale è necessariamente connessa alla corresponsione di misure indennitarie in favore di chi subisce detta compressione ai sensi dell’art. 42 Cost., comma 3.

Peraltro, anche ai sensi dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU la compressione del diritto di proprietà deve essere caratterizzata, secondo l’interpretazione data alla norma dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, dal rispetto del principio di proporzionalità; principio da ritenersi violato, nell’ipotesi di misure ablatorie della proprietà per ragioni di pubblico interesse cui non corrisponda alcuna forma di indennizzo.

Conclude, pertanto, la Suprema Corte che l’interpretazione costituzionalmente compatibile dell’ art. 44, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, induce necessariamente ad escludere dall’ambito di operatività della norma la possibilità di confiscare beni appartenenti a soggetti estranei alla commissione del fatto illecito e dei quali sia stata accertata la buona fede (Cassazione penale, sez. III, 9 luglio 2009, n. 36844).

2.8) Dopo l’excursus relativo alle pronunce relative alla fattispecie di cui all’art. 44, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, occorre verificare, alla luce di quanto detto, la compatibilità con i principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, dell’affine fattispecie sanzionatoria di acquisizione dei terreni previsti dai comma 7 ed 8 del D.P.R. n. 380 del 2001, oggetto del presente giudizio.

In particolare, possono rilevare, a parere del Collegio, i profili, suindicati, di assenza di colpa e buona fede del soggetto che si vede privato del diritto di proprietà e della proporzionalità della sanzione acquisitiva.

Sotto il primo profilo si rileva come non osta al disposto della norma in questione un’interpretazione che tenga conto, in linea con i principi enunciato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, dei profili soggettivi di assenza di colpa e buona fede che, anzi, si impone alla luce della natura di sanzione amministrativa della misura acquisitiva prevista dai suddetti comma.

Si richiamano al riguardo sul punto gli approdi giurisprudenziali della Corte di Cassazione Penale su indicati che, dalla natura di sanzione amministrativa della confisca edilizia, fanno derivare l’impossibilità di applicare la misura sanzionatoria a soggetti estranei alla commissione del fatto illecito e dei quali sia stata accertata la buona fede.

Tali conclusioni sono applicabili anche alla misura acquisitiva disposta dall’Amministrazione che, come indicato, partecipa della stessa natura di quella comminata dal giudice penale, in piena conformità peraltro, dal punto di vista dell’ordinamento interno con le norme poste dalla legge n. 689 del 1981 in materia di sanzioni amministrative che, all’art.3, richiedono il requisito soggettivo minimo della colpa.

Tale disposizione secondi cui "nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione o omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa" – va interpretata non già nel senso dell’indifferenza in ordine alla sussistenza o meno di un comportamento – quanto meno – colposo, bensì nel senso di porre una presunzione iuris tantum, di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che l’abbia commesso, riservando poi a quest’ultimo l’onere di dimostrare di aver agito senza colpa (Consiglio Stato, sez. VI, 29 marzo 2011, n. 1897; Consiglio Stato, sez. VI, 24 marzo 2011, n. 1809; Consiglio Stato, sez. VI, 24 marzo 2011, n. 1810; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 24 giugno 2009, n. 6126).

2.9) Entrando più nello specifico, il Collegio, sul tema dell’applicabilità delle misure sanzionatorie in materia edilizia e della buona fede del terzo acquirente o, più in generale, del proprietario non responsabile dell’attività illecita, richiama l’orientamento giurisprudenziale, che trae spunto dalla sentenza di Corte Costituzionale n. 345 del 15 luglio 1991, sviluppatosi in materia di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area sulla quale insiste l’opera abusiva nel caso di inottemperanza dell’ordine di demolizione, di cui all’art.31 del D.P.R. n.380/2001.

A tal proposito la giurisprudenza distingue l’ordine di demolizione dall’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area sulla quale insiste l’opera abusiva.

L’ordine di demolizione può legittimamente essere adottato nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell’abuso, perché l’abuso edilizio costituisce illecito permanente e l’ordine di demolizione ha carattere ripristinatorio e non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la realizzazione dell’abuso (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 16 maggio 2008, n. 4715; T.A.R. Umbria Perugia, 1 giugno 2007, n. 477; T.A.R. Piemonte Torino, Sez. I, 25 ottobre 2006, n. 3836; TAR Campania, Salerno, II, 15 febbraio 2006, n. 96).

L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area sulla quale insiste l’opera abusiva può essere senz’altro disposta nei confronti del responsabile dell’abuso, ma non può operare nei confronti del proprietario dell’area laddove questi dimostri, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera abusiva o che egli, essendone venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedirlo, con gli strumenti offerti dall’ordinamento (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 29 luglio 2010, n. 17176; T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 26 maggio 2010, n. 1352; T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 7 aprile 2009, n. 3222; T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, 5 luglio 2006, n. 7301; T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, 5 gennaio 2006, n. 117).

In tal senso, peraltro, proprietario deve dare dimostrazione di essere restato del tutto estraneo all’abuso sulla cosa, perché detenuta da altri, e di non aver partecipato o anche solo dato il consenso alla realizzazione dell’abuso (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 26 maggio 2010, n. 1352).

Secondo l’indicato filone giurisprudenziale quindi la sanzione acquisitiva al patrimonio dell’ente, a differenza di quella demolitoria volta al ripristino dello stato dei luoghi, non può essere comminata nei confronti del proprietario del fondo incolpevole, perché rimasto del tutto estraneo, dell’abuso edilizio.

Da quanto indicato si evince, pertanto, un principio della necessità per l’applicazione delle sanzioni amministrative privative della proprietà del bene, che non si palesino meramente ripristinatorie rispetto all’abuso perpetrato, di un elemento soggettivo di carattere colposo da parte del soggetto proprietario che subisce la sanzione.

L’aspetto relativo alla necessarietà della sussistenza di un elemento soggettivo, quale indice di rimproverabilità, può recedere difatti solamente dinanzi ad una funzione concretamente ripristinatoria della sanzione che, in quest’ultimo caso ha l’attitudine di imporsi, per il suo carattere reale, anche nei confronti di soggetti in stato di incolpevole buona fede, in quanto misura necessaria al ripristini del bene o valore sovraindividuale violato.

In base a tale interpretazione, che tiene conto del profilo soggettivo di responsabilità nella condotta, la sanzione acquisitiva di cui all’art. 30, comma 7 ed 8, si palesa in linea con i principi espressi dalla Corte di Strasburgo ed, a quest’ultimo riguardo, il dovere di dare all’ordinamento interno una interpretazione conforme alla CEDU, come esplicitata dalla Corte di Strasburgo, deriva dall’art. 117 Cost., comma 1, ed è stato affermato in modo generale dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 348 e 349 del 2007 e, con riferimento specifico al citato art. 44, comma 2, con la sentenza 24 luglio 2009 n. 239.

2.10) Riguardo alla precisazione di tale elemento soggettivo appare illuminante la giurisprudenza penale che ha evidenziato come"l’acquirente non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, terzo estraneo al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benchè compartecipe al medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto cioè – pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell’adempimento degli anzidetti doveri di informazione e conoscenza – di partecipare ad un’operazione di illecita lottizzazione. Quando, invece, l’acquirente sia consapevole dell’abusività dell’intervento – o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza – la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio" (Cassazione penale, sez. III, 16 marzo 2010, n. 18537, Cassazione penale, sez. III, 14 luglio 2009, n. 39078; Cassazione penale, sez. III, 9 luglio 2009, n. 36844; Cassazione penale, sez. III, 21 ottobre 2009, n. 48924).

Inoltre "il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell’acquisto si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che fornisce, comunque, un determinante contributo causale all’attività illecita del venditore" (Cassazione penale, sez. III, 14 luglio 2009, n. 39078; Cassazione penale, sez. III, 26.6.2008, Belloi ed altri).

Allo stesso modo ha escluso che basti ad escludere l’elemento soggettivo la circostanza che il soggetto sia un sub acquirente, in quanto l’utilizzazione delle modalità dell’acquisto successivo ben potrebbe costituire un sistema elusivo, surrettiziamente finalizzato a vanificare le disposizioni legislative in materia di lottizzazione negoziale" (Cassazione penale, sez. III, 16 marzo 2010, n. 18537; Cassazione penale, sez. III, 14 luglio 2009, n. 39078; Cassazione penale, sez. III, 9 luglio 2009, n. 36844).

Infine, non può determinare una situazione di immediata evidenza di buona fede il solo fatto che il notaio abbia garantito la commerciabilità del bene o che l’istituto bancario del ricorrente abbia fatto eseguire una perizia per la concessione del mutuo, trattandosi di accertamenti aventi diverse finalità (Cassazione penale, sez. III, 16 marzo 2010, n. 18537).

2.11) Osserva il Collegio come nel caso di specie non risulta che i soggetti destinatari del provvedimento di sospensione gravato possano essere ritenuti soggetti incolpevoli o alla stregua di meri terzi in buona fede.

Gli stessi sono stati parte degli atti di trasferimento che hanno comportato la lottizzazione abusiva ed hanno realizzato opere edilizie sui terreni.

Inoltre, erano ben in grado di percepire l’illiceità della situazione non essendo stato rilasciato alcun titolo per procedere alla trasformazione urbanistica ed edilizia dell’area.

Né in tal senso, i ricorrenti, sia nell’insieme che singolarmente considerati, hanno comprovato l’insussistenza di un profilo soggettivo di responsabilità, né la loro incolpevole buona fede, apportando specifici elementi probatori tali da dimostrare l’assenza dell’elemento psicologico, inteso quale consapevolezza della condotta lottizzatoria, oppure hanno evidenziato la sussistenza di una situazione in fatto tale da escludere la rilevabilità, tramite l’uso della comune diligenza, di una ipotesi di lottizzazione a fini edificatori.

In senso contrario depongono, anzi, l’evidenza della finalità lottizzatoria di edificazione dei frazionamenti operati sull’area agricola e la concreta edificazione delle aree ed, in ultima analisi, la conformazione oggettiva assunta dalla zona incompatibile con la destinazione agricola in zona vincolata.

Inoltre, per quanto di seguito verrà indicato, non è da escludere che l’acquisizione dell’area abbia, in alcune ipotesi, valenza ripristinatoria e si caratterizzi come una misura di carattere reale volta non tanto e non solo a fini sanzionatori, bensì necessaria al ripristino dell’assetto urbanistico ed edilizio violato dalla fattispecie di lottizzazione abusiva, con l’effetto di dequotare la necessità dell’elemento soggettivo.

2.12) Per quanto riguarda il profilo della proporzionalità della sanzione acquisitiva, la Corte di Strasburgo ha indicato la necessità che venga mantenuto il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, nell’otica di un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito.

Tale equilibrio sarebbe stato violato, sempre secondo la decisione relativa alla vicenda di Punta Perotti, (i) sotto il profilo della buona fede e l’assenza di responsabilità delle ricorrenti per la mancata considerazione dell’assenza di colpa o di imprudenza da parte del soggetto inciso; (ii) sotto il profilo della mancanza di giustificazione della condotta rispetto allo scopo della misura acquisitiva adottata, in quanto per realizzare il fine pubblicistico di ripristino dell’equilibrio violato sarebbe stata sufficiente l’adozione di una misura meno incisiva, che non comportasse la perdita della proprietà (demolizione); (iii) sotto il profilo della paradossalità delle conseguenze in quanto lo stesso soggetto che aveva ingenerato la situazione di illegalità (il Comune con il rilascio dei permessi di costruire illegali) si sarebbe avvantaggiato dell’illecito divenendo proprietario dei beni confiscati (senza neanche l’obbligo di indennizzo).

Sotto il primo aspetto, che riconduce il profilo della proporzionalità al giusto rapporto tra la sanzione rispetto alla gravità del fatto alla luce dell’elemento della colpevolezza, si rileva come la norma in questione non escluda la considerazione dell’elemento soggettivo della colpevolezza ed, anzi, la necessità di verificare l’aspetto soggettivo di responsabilità, deriva dai principi inerenti alle sanzioni amministrative così come interpretati dalla giurisprudenza già ampiamente richiamata.

Nel caso di specie, poi, non risulta esservi stata alcuna violazione di tale giusto rapporto in quanto la misura sanzionatoria è stata comminata nell’ambito di una fattispecie dove non era riscontrabile (a differenza che nella vicenda di Punta Perotti) alcuna difficoltà di percezione della valenza del comando sanzionatorio (perché l’attività lottizzatoria e edificatoria è stata eseguita su zona agricola in assenza di qualsiasi permesso).

Non risulta poi essere stata dimostrata (sempre a differenza dalla vicenda che ha dato origine alla decisione Corte europea dei diritti dell’uomo dove vi era stata una assoluzione in sede penale per l’assenza dell’elemento della colpevolezza) una posizione di incolpevole buona fede in capo ai ricorrenti.

Il secondo profilo appare legato alla proporzione tra il mezzo usato (trasferimento della proprietà dal privato alla p.a.) con il fine pubblicistico perseguito (ordinato assetto del territorio).

Il principio di proporzionalità, nella sua configurazione più convenzionale, viene difatti tradizionalmente inteso come impedimento dell’Amministrazione di comprimere la sfera giuridica dei destinatari della sua azione in misura maggiore rispetto a quanto difatti necessario al raggiungimento dello scopo cui l’azione è preordinata, con i corollari della necessaria idoneità, necessità e proporzionalità dell’azione rispetto al fine.

Anche sotto questo punto di vista, a parere del Collegio, la fattispecie in esame non esula dai limiti di proporzionalità.

La lottizzazione abusiva che ha dato origine alle pronunce Corte europea dei diritti dell’uomo appariva incentrata sull’aspetto materiale dell’intervenuta realizzazione di opere di trasformazione dell’aspetto del territorio ed, a tale proposito, la Corte sovranazionale ha ritenuto che per ripristinare l’ordine urbanistico violato fosse sufficiente la demolizione di quanto realizzato e non occorresse la misura dell’acquisizione dell’area, ritenuta quindi sproporzionata.

La fattispecie di lottizzazione abusiva può, però, assumere, come indicato, anche carattere negoziale mediante il frazionamento di un’area e la cessione dei singoli lotti senza che sia necessaria, affinchè la figura venga in esistenza, la concreta realizzazione di interventi edilizi.

Questi ultimi, qualora vengano poste in essere, da un lato fungono da elemento indiziario confermativo dell’intento edificatorio del frazionamento e, dall’altro, possono giungere ad integrare gli elementi di una lottizzazione abusiva di carattere materiale o misto.

La lottizzazione abusiva in esame presenta il richiamato aspetto del frazionamento della proprietà di una vasta area, con la sua cessione, in piccoli lotti, ad una pluralità di proprietari, accompagnato da una suddivisione fisica dei singoli lotti.

Tale frazionamento dell’area comporta che la stessa non risulti più idonea a svolgere la funzione attribuitale dagli strumenti urbanistici,

Ora nella lottizzazione abusiva di carattere negoziale o mista, quindi, a fronte della polverizzazione della proprietà dei lotti, il ripristino della situazione urbanistica quo ante non pare realizzabile se non ripristinando l’unitarietà della situazione proprietaria, onde evitare che la parcellizzazione di una vasta area di terreno in singoli lotti di estensione limitata e divisi tra diversi proprietari, da una parte renda i terreni stessi inutilizzabili agli scopi a cui gli strumenti urbanistici li hanno destinati (finalità agricole) e, dall’altro, mantenendo tale situazione suddivisione, incrementi il rischio di un uso edificatorio da parte di soggetti che a tal fine hanno acquistato il terreno e, comunque, sia di ostacolo ad una corretta pianificazione territoriale.

In tali casi, difatti, al fine del ripristino dell’ordine urbanistico violato, non appare consona la sola misura demolitoria che non elimina la conseguenza della parcellizzazione della proprietà delle aree in singoli lotti inidonei all’uso a cui gli strumenti urbanistici li hanno destinati.

La scelta quindi di trasferire l’area in capo all’Amministrazione, onde ricomporne l’unità giuridica e funzionale, risponde pertanto ad una precisa ragione ripristinatoria dei valori violati a seguito dell’illecito perpetrato.

Allo stesso modo, la sanzione comminata non appare sproporzionata in base allo stato dei terreni acquisiti, considerato che rispetto a tutti i terreni era riscontrabile l’intervenuto spezzettamento in piccoli lotti inidonei all’uso agricolo ed erano stati realizzati interventi di edificazione (mentre nel caso preso in esame dalla Corte europea dei diritti dell’uomo vi era stata l’acquisizione dell85% di terreni non edificati).

Neanche sotto tale profilo, quindi, la misura dell’acquisizione si presenta, nel caso di specie, come sproporzionata.

Né, infine, può dirsi che nel caso in esame dall’adozione della misura acquisitiva possa derivare la paradossale situazione dell’intervenuto passaggio dell’area in capo al un soggetto pubblico che ha dato origine o, comunque, ha colpevolmente contribuito alla situazione di illecito, in quanto il Comune è restato del tutto estraneo alla commissione della condotta lottizzatoria, intervenendo unicamente in fase repressiva.

2.13) A questo punto il Collegio deve trarre le conseguenze dalla ritenuta conformità della norma in questione, in considerazione della interpretazione fornitane, alle norme CEDU.

I ricorrenti hanno in sede di ricorso dedotto l’incostituzionalità dell’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001 a fronte dei principi dettati dall’art. 7 ed art.1 del Protocollo prot. n. 1, della CEDU.

Ciò sulla scorta dell’orientamento indicato dalla Corte Costituzionale, con le sentenze del 22.10.2007, n. 347 e 348, secondo cui, in applicazione dell’art. 117 Cost., comma 1, come sostituito dalla Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 3, le norme CEDU, nell’interpretazione ad esse data dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, devono ritenersi sopraordinate alle leggi ordinarie, quali norme di rango intermedio rispetto a quelle costituzionali, in quanto afferenti alla sfera degli obblighi internazionali di natura pattizia in grado di condizionare la potestà legislativa statale e regionale.

Secondo tale lettura, quindi, le norme CEDU costituirebbero anch’esse parametri di riferimento per valutare la legittimità delle leggi ordinarie e la possibilità, in caso di contrasto, di sollevare questione di costituzionalità dinanzi alla Corte Costituzionale.

Com’è noto, però, con l’entrata in vigore l’1.12.2009, del Trattato di Lisbona del 13.12.2007, un orientamento, che ha trovato anche approdi giurisprudenziali dianzi al plesso giurisprudenziale amministrativo (T.A.R. Lazio Roma, 18 maggio 2010, n. 11984), sostiene che con la modifica dell’art. 6 del Trattato vi sarebbe stata una "comunitarizzazione" delle norme CEDU.

In particolare, la nuova formulazione dell’art. 6 del Trattato prevede che "l’Unione aderisce alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali" (comma 2) e che "i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali" (comma 3).

Secondo il suddetto orientamento il nuovo dettato normativo del Trattato renderebbe immediatamente operanti nell’ambito degli stati membri le norme dettate dalla CEDU, con la conseguenza che l’eventuale contrasto delle stesse con la normativa legislativa nazionale andrebbe risolto in termini di disapplicazione, al pari di quanto accade per le altre fonti normative di origine comunitaria e non mediante rimessione alla Corte Costituzionale.

In tal senso il presente Collegio, pur propendendo per quest’ultima interpretazione, prende atto dei possibili dubbi interpretativi sulla modifiche normative intervenute e dell’esistenza di opinioni contrastanti, limitandosi di conseguenza a rilevare come alla luce dell’interpretazione effettuata nel caso de quo, la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle parti ricorrenti risulterebbe comunque manifestamente infondata mentre, nel caso si accedesse alla tesi della "comunitarizzazione" delle norme CEDU, non vi sarebbe spazio per la disapplicazione del diritto interno non essendosi riscontrata alcuna violazione del dettato dalla predetta Convenzione Europea.

3) Il ricorso deve quindi essere rigettato per i motivi suindicati.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo in favore del resistente Comune di Napoli.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna le parti ricorrenti al pagamento, in favore del resistente Comune di Napoli, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 2.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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