Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-05-2011) 25-07-2011, n. 29680

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Campobasso, con sentenza in data 6 ottobre 2006, dichiarava M.G. e Ma.Ma.El. colpevoli del delitto di ricettazione di autovettura, D.R.D. e L.M., colpevoli del delitto di riciclaggio della medesima autovettura: secondo le imputazioni, i primi due, in concorso tra loro, avevano ricevuto un’ autovettura BMW provento di truffa ai danni di C.D. e S.A., e avevano provveduto a venderla a D.R.D.; gli altri due, in concorso tra loro, il L. quale autore materiale della condotta e D.R.D. quale istigatore e avvantaggiato dal delitto, chiedevano ed ottenevano dalla Motorizzazione di (OMISSIS) nuove targhe, per la suddetta autovettura, così compiendo in relazione ad essa operazioni tali da ostacolare l’identificazione.

La Corte di Appello di Campobasso, con sentenza in data 15 luglio 2010, in esito a gravame degli imputati, riduceva la pena inflitta a M. e dichiarava D.R.D. e L.M. responsabili del delitto di ricettazione così qualificata l’originaria imputazione, osservando che la annotazione della precedente targatura sui documenti ricevuti a seguito di denuncia di smarrimento, rende non configurabile l’ascritto delitto di riciclaggio.

Propongono ricorso per cassazione M. e Ma. personalmente, L. e D.R. tramite il loro difensore.

M. e Ma. deducono i seguenti motivi:

1) manifesta illogicità e contraddittorieta della motivazione con particolare riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione.

I ricorrenti rilevano che essi non solo avevano indicato le modalità attraverso le quali avevano acquistato l’autovettura di cui al capo di imputazione, fornendo l’identità del venditore, ma avevano formalizzato la successiva vendita a D.R., come risulta dalla scrittura privata, nella quale è fissato un prezzo di acquisto superiore a quello di mercato. Dagli elementi processuali equivoci e contraddittori potrebbe al più rilevarsi il dubbio sulla provenienza lecita dell’autovettura e dunque la sussistenza della contravvenzione di cui all’art. 712 c.p..

2) erronea applicazione della legge penale, in quanto dovrebbe ritenersi, in via subordinata, sussistente la fattispecie di cui all’art. 712 c.p.. Il difensore di L. deduce i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 648 c.p., in quanto non sussisterebbe il reato presupposto, poichè la truffa subita dalle parti offese sarebbe una semplice affermazione contenuta nella parte motivazionale senza alcuna prova a supporto.

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 521 c.p.p., in quanto l’oggetto della originaria contestazione riguardava la richiesta delle targhe presso gli uffici della Motorizzazione, mentre la sentenza impugnata avrebbe mutato il fatto in quello di ricevimento e possesso dell’autovettura oggetto della presunta truffa.

Il difensore di D.R. deduce i seguenti motivi:

1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in quanto la condotta criminosa contestata consisteva nell’avere richiesto agli uffici della Motorizzazione nuove targhe per l’autovettura e la sentenza impugnata, nel modificare l’originaria imputazione, avrebbe preso in esame fatti e circostanze ritenuti elementi di prova non contestati in origine, in particolare la circostanza che la documentazione esibita dai coniugi M. – Ma. non fosse idonea all’acquisto in buona fede.

2) mancanza, manifesta illogicità e contraddittorieta della motivazione, in quanto la sentenza impugnata, mutando l’imputazione, avrebbe omesso di considerare che vi è in atti il documento dal quale risulta la dichiarazione di cessione e accettazione di riscatto sottoscritta dal C. in favore del Ce. che escludeva la non liceità dell’operazione intervenuta tra i due.

Motivi della decisione

Il ricorso presentato dagli imputati M. e Ma. è intempestivo e deve essere dichiarato inammissibile. Infatti, è attestato in atti che la sentenza impugnata era stata depositata il 12 agosto 2010, cioè nel rispetto di trenta giorni stabilito nel dispositivo della sentenza stessa, e che l’estratto contumaciale era stato notificato ai suddetti imputati il 16 settembre 2010, mentre il ricorso è stato depositato il 12 novembre 2010 e, quindi, oltre i quarantacinque giorni previsti dall’art. 485 c.p.p., comma 1, lett. c). I ricorsi di L. e D.R., invece, sono fondati nei limiti di seguito indicati. Secondo la tradizionale giurisprudenza di questa Suprema Corte, "con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione" (per tutte:

Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619). Sulla base di tale principio è stato affermato il seguente: "Non si verifica violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza nella ipotesi in cui il reato in relazione al quale è stata emessa condanna sia in rapporto di genere a specie con quello di cui al capo d’imputazione, atteso che l’imputato ha avuto possibilità di svolgere adeguata difesa anche in relazione al fatto diversamente qualificato. (Fattispecie in cui la sentenza di secondo grado ha accolto l’appello del Pubblico ministero il quale, a fronte di assoluzione per il reato di riciclaggio, aveva lamentato la mancata qualificazione del fatto come ricettazione)" (Sez. 5, n. 17048 del 21/02/2001 Gabrielli, Rv. 219667). Tali principi devono ora essere integrati con quelli espressi dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tenendo presente che, nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della Convenzione europea, il giudice nazionale comune deve procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale, fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica.

Solo quando ritiene che non sia possibile comporre il contrasto in via interpretativa, il giudice comune, il quale non può procedere all’applicazione della norma della CEDU (allo stato, a differenza di quella comunitaria provvista di effetto diretto) in luogo di quella interna contrastante, tanto meno fare applicazione di una norma interna che egli stesso abbia ritenuto in contrasto con la CEDU, e pertanto con la Costituzione, deve sollevare la questione di costituzionalità, con riferimento al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1, ovvero anche dell’art. 10 Cost., comma 1, ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta (Corte costituzionale, sent. n. 348 e 349 del 2007 e n. 311 del 2009).

Ebbene, la Corte EDU ha affermato che anche la conoscenza della qualificazione giuridica che viene data al fatto è una condizione fondamentale dell’equità del processo, poichè assicura che gli imputati abbiano avuto l’opportunità di esercitare i loro diritti di difesa su questo punto in maniera concreta ed effettiva: "ciò implica che essi vengano informati in tempo utile non solo del motivo dell’accusa, cioè dei fatti materiali che vengono loro attribuiti e sui quali si fonda l’accusa, ma anche, e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti" (Drassich c. Italia, 11 dicembre 2007, n. 25575/04). Nel caso di specie è plausibile sostenere che i mezzi di difesa sarebbero stati diversi da quelli scelti per contestare l’imputazione, come originariamente formulata, se gli imputati avessero avuto la possibilità di discutere della diversa qualificazione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio. Pertanto, al fine di instaurare un regolare contraddittorio sulla diversa qualificazione giuridica del fatto, che ripristini le condizioni fondamentali dell’equità del processo, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, ex art. 623 c.p.p., comma 1, lett. c), ultima parte, alla Corte di Appello di Salerno per nuovo giudizio. Gli altri motivi di ricorso devono ritenersi assorbiti in quello accolto. Alla inammissibilità del ricorsi di M. e Ma. consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso, ciascuno al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di M.G. e M. M.E. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla cassa delle ammende.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.R.D. e L.M. con rinvio alla Corte di Appello di Salerno per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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