Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-03-2011) 25-07-2011, n. 29705

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – C.S. è stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 16 luglio 2010 dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria, siccome gravemente indiziato del delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso. Secondo le prospettazione accusatorie l’indagato si sarebbe associato a numerosi altri indagati, divenendo partecipe attivo dell’associazione per delinquere di stampo mafioso denominata ‘ndrangheta, e segnatamente del locale di (OMISSIS), con il compito "di assicurare le comunicazioni tra gli associati, partecipare alle riunioni ed eseguire le direttive dei vertici della società e dell’associazione, riconoscendo e rispettando le gerarchie e le regole interne al sodalizio". 2. – Il provvedimento restrittivo è stato confermato dal Tribunale di Reggio Calabria investito dell’istanza di riesame, il quale, dopo una ampia premessa a carattere generale, relativa, alla ricostruzione storico-giudiziaria della associazione criminale denominata ‘ndrangheta, ed un espresso rinvio, quanto alla specifica imputazione contestata, alle motivazioni dell’ordinanza cautelare e del decreto di fermo, ha ritenuto, per quanto ancora specificamente interessa nel presente giudizio di legittimità, che a carico del C. sussistessero gravi indizi di colpevolezza con riferimento all’imputazione mossagli, valorizzando al riguardo una serie di conversazioni registrate in modalità ambientale a bordo dell’autovettura di G.N., esponente di rango elevato, se non apicale, della locale di (OMISSIS).

2.1. – In particolare, i giudici del riesame, hanno disatteso, sulla scorta del complessivo materiale indiziario, le argomentazioni difensive, ritenute invero generiche ed eccessivamente semplificatorie, secondo cui le conversazioni captate, non potevano assumere decisiva rilevanza indiziaria in quanto avulse dalla contestazione specifica di reati-fine, evidenziando, al contrario, che le stesse, di cui nell’ordinanza risultano riprodotti ampi stralci, pur riguardando, in effetti, le vicende interne al sodalizio, l’organigramma dello stesso, i precisi rituali di affiliazione e la condotta, non sempre Ineccepibile, dell’indagato, assumevano una "foltissima valenza Indiziaria", non solo per la importanza e la vera e propria "fascinazione" che tali tematiche, specie quelle relative ai rituali ed alle tradizioni, esercitano su quanti ambiscono ad entrare nelle file del sodalizio criminale, ma anche a ragione del rilievo che la libera interlocuzione su tali tematiche è sintomatica di una sicura intraneità al sodalizio dei colloquianti.

3. – Avverso tale pronuncia del tribunale ha proposto ricorso per cassazione C.S., per il tramite del suo difensore, avvocato Emanuele Genovese, prospettando un unico ed articolato motivo d’impugnazione a sostegno della richiesta di annullamento dell’ordinanza impugnata.

3.1 – Nel ricorso, da parte del difensore dell’indagato si deduce l’illegittimità dell’ordinanza impugnata, per violazione di legge ( artt. 273, 272, 275 e 292 cod. proc. pen. e dell’art. 416 bis cod. pen.) e per vizio di motivazione. Più specificamente nel ricorso, dopo aver evidenziato che le prime trentuno pagine dell’ordinanza impugnata avevano trattato una tematica non pertinente alla specifica posizione dell’indagato, quale "la sussistenza di una sovrastruttura gerarchica che farebbe da ombrello alle singole cosche" e dopo un’articolata illustrazione caratterizzata da plurimi riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte, relativamente agli elementi costitutivi del reato contestato (affectio societatis e pactum sceleris), si sostiene che i giudici del riesame, invece di evidenziare nell’ordinanza impugnata, come richiesto dall’art. 273 cod. proc. pen., gli "elementi di fatto da cui sono desunti" gli indizi a carico dell’indagato, nonchè i "motivi per i quali essi assumono rilevanza", si sarebbero limitati a recepire acriticamente il contenuto dell’ordinanza cautelare, senza spiegare adeguatamente "gli elementi di idoneità della condotta del singolo (il C.), per ritenerlo partecipe della fattispecie associativa di stampo mafioso", nulla emergendo dagli atti, in particolare, circa la così detta "proiezione esterna" che una qualsiasi condotta dell’indagato abbia avuto sul territorio di riferimento.

3.1.1. – Da parte del difensore dell’indagato si deduce in particolare l’insufficienza delle Intercettazioni ambientali a dimostrare l’esistenza dell’accordo criminoso, rendendo le stesse plausibile, stante il difetto di adeguati riscontri sul loro effettivo contenuto, a tutto concedere, l’ipotesi di rapporti di natura illegale, evidenziando al riguardo che il contenuto di intercettazioni può sì costituire, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte, fonte di prova della colpevolezza dell’Imputato senza necessità di altri riscontri esterni, ma solo allorquando gli indizi emergenti dalla conversazione risultino gravi, precisi e concordanti, precisando al riguardo, altresì, che "importanti studi di natura sociologica e psicologica" hanno dimostrato come non sempre gli interlocutori Impegnati In una conversazione telefonica o ambientale hanno come unico scopo di affermare la verità In ordine ai fatti su cui le conversazioni vertono, sicchè deve ritenersi auspicabile una ricerca di ulteriori elementi di prova ex art. 192 c.p.p., comma 3, precisandosi in ricorso che "gli ulteriori elementi esterni" possono fondatamente individuarsi: a) nell’intellegibilità della conversazione, intesa come chiara decifrabilità del suo contenuto, che non risulti caratterizzato da troppi omissis e fonemi incomprensibili; b) nel valore semi-probante del contenuto captato, nel senso che le conversazioni richiedono pur sempre l’acquisizione di un riscontro esterno; c) nella plausibilità delle affermazioni captate, così da distinguere le affermazioni oggettivamente inverosimili, frutto di mera millanteria o tracotanza.

3.1.2 – Avuto riguardo a tali considerazioni di ordine metodologico, nel ricorso si denunzia, infine, che del tutto illogicamente I giudici del riesame avevano desunto l’esistenza di gravi indizi a carico dell’indagato, dalla frequentazione da parte dello stesso, del coindagato G.N., operando un non consentito "trasferimento" del quadro indiziario esistente a carico del predetto sulla persona del C., attraverso una serie di valutazioni apodittiche e congetturali (ripetizione da parte del G. di formule di affiliazione, niente affatto segrete; il riferimento all’episodio del trasferimento in altro Comune dell’autolavaggio gestito dall’imputato).

Motivi della decisione

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di C.S. deve essere dichiarata inammissibile.

Invero in questa fase del procedimento, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, non è richiesto il requisito della precisione e della concordanza, ma solo quello della gravita degli indizi nel senso che questi devono essere tali da lasciar desumere con elevato grado di probabilità l’attribuzione del reato all’indagato. Inoltre, al fine della adozione di una misura cautelare personale, è necessario che gli elementi indiziari, sulla base dei quali viene richiesta l’applicazione della misura, siano ancorati a fatti certi, la cui valutazione, se sorretta da adeguata motivazione, non può essere censurata in sede di legittimità, trattandosi di giudizio riguardante la rilevanza e la congruità degli elementi indiziari, che rientra nella sfera esclusiva del giudice di merito. Nel caso in esame il Tribunale si è adeguato al suddetto principio, ancorando il proprio giudizio ad elementi specifici risultanti dagli atti – e solo sommariamente illustrati nel paragrafo 1.1 dell’esposizione in fatto – tanto da trarre dalla loro valutazione globale un giudizio in termini di qualificata probabilità circa l’attribuzione dei reati contestati all’indagato. Orbene – a fronte del giudizio espresso dal Tribunale fondato su elementi specifici risultanti dagli atti (intercettazioni ambientali) – il ricorrente ha proposto una lettura diversa e "riduttiva" del contenuto di tali intercettazioni, basata su di una rivalutazione di circostanze di fatto (conoscenze di rituali di affiliazione) ed una asserita scarsa attendibilità del coindagato G.N., non proponibile in questa sede. Pertanto l’ordinanza impugnata non merita alcuna censura, tanto più che l’adeguatezza della misura è stata correttamente motivata sulla base di elementi specifici, la cui valutazione si sottrae con tutta evidenza al sindacato di legittimità.

Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, non risultando assenza di colpa del ricorrente nella proposizione del ricorso (vedi sent. Corte Cost. 186/2000).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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