Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-03-2011) 25-07-2011, n. 29704

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – N.A. è stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 9 giugno 2010 dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria, siccome gravemente indiziato del delitto di tentata estorsione in danno di G.G. e B.V., aggravata D.L. 13 maggio 1991, n. 152, ex art. 7. Secondo le prospettazione accusatone l’indagato – agendo in concorso, tra gli altri, con V.V., R.D. e M.R. – avrebbe posto in essere una condotta diretta a costringere – sia con le minacce (talora esplicite, tal altra implicitamente scaturenti dalla caratura criminale del soggetto agente) sia attraverso gravi azioni di danneggiamento – le persone offese G.G. e B.V. a cedere al V.V. un terreno di proprietà del B..

2. – Il provvedimento restrittivo è stato confermato dal Tribunale di Reggio Calabria investito dell’istanza di riesame, che ha ritenuto sussistessero gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, con riferimento all’imputazione mossagli, evidenziando al riguardo, anche attraverso la integrale trascrizione di ampi brani dell’ordinanza cautelare:

– che la condotta criminosa poteva ritenersi aggravata dalla L. n. 152 del 1991, art. 7 perchè posta in essere con modalità intimidatorie tipiche dell’attività delle organizzazioni di stampo mafioso, nonchè per agevolare l’attività della cosca di appartenenza;

– che il tenore della conversazione ambientale avuta il 12 novembre 2006 da G.A. e G.G. con A. C., personaggio apicale dell’omonima cosca di Sinopoli, richiamata nell’ordinanza (all. 281), dimostrava inequivocabilmente che tale V.V. ("CECE"), soggetto imparentato con I M. di (OMISSIS), era l’ispiratore della condotta estorsiva attraverso la quale voleva entrare nella disponibilità di un terreno appartenente al B.V., suocero di G. G.;

– che a tal fine il V., dopo avere inutilmente fatto pressioni nei confronti di T.P. e della figlia B.C., rispettivamente, cognata e nipote di B.V., era passato "alla via estorsiva" facendo intervenire nell’ordine: R. D., capo dell’omonima cosca di Castellane; I.G. A. ed il figlio G., appartenenti alla criminalità organizzata egemone nel territorio di (OMISSIS); e da ultimo A.N. ed il genero M.R., appartenenti alla criminalità organizzata di Sinopoli;

– che l’ultimo intervento avvenuto nel novembre 2006 era stato peraltro preceduto, nella data del 30 ottobre, da un grave attentato ai danni di G.G., al quale era stato Incendiato un frantoio oleario, e seguito in data (OMISSIS) (e quindi dopo poche ore dall’ultima pressione estorsiva del M.) da altro grave danneggiamento nei confronti di B.V. (incendio di reti per la raccolta delle olive).

2.2 – In particolare, I giudici del riesame, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità, hanno disatteso, sulla scorta del complessivo materiale indiziario, le argomentazioni difensive secondo cui, collocandosi gli episodi minatori nel passato, gli stessi non erano riferibili attivamente ad A.N. detenuto sino al 23 agosto 2006 in esecuzione di una condanna ad anni nove di reclusione per partecipazione ad associazione per delinquere di tipo mafioso, precisando, al riguardo, che dalla conversazione captata emergeva chiaramente che seppure l’attività di costrizione dei G. era risalente nel tempo essendo essa iniziata nel 2005, "le cose non erano finite là", "coincidendo" il passaggio "dalle intenzione ai fatti" con l’interessamento alla vicenda di M. R., genero dell’indagato e con l’intervento dei G. presso A.N..

3. – Avverso tale pronuncia del tribunale ha proposto ricorso per cassazione A.N., per il tramite del suoi difensori, avvocati Maurizio Licastro ed Umberto Abate, prospettando due motivi d’impugnazione a sostegno della richiesta di annullamento dell’ordinanza impugnata.

3.1. – Con il primo motivo, da parte dei difensori dell’indagato si deduce l’illegittimità dell’ordinanza impugnata, per violazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2 con riferimento al reato contestato (capo S della rubrica provvisoria).

Più specificamente nel ricorso, dopo un’articolata premessa volta a sostenere, anche attraverso plurimi riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte, che i giudici del riesame, invece di evidenziare nell’ordinanza impugnata, come richiesto dalla norma processuale invocata, gli "elementi di fatto da cui sono desunti" gli indizi a carico dell’indagato, nonchè i "motivi per i quali essi assumono rilevanza", si sarebbero limitati a recepire acriticamente il contenuto dell’ordinanza cautelare, senza spiegare adeguatamente le ragioni per cui la conversazione del 12 novembre 2006 tra le asserite persone offese della tentata estorsione ed un terzo, costituisca un elemento indiziante a carico del ricorrente, che pure non aveva partecipato direttamente alla stessa, di tale entità, da giustificare l’emissione di una misura cautelare nei suoi confronti.

3.2. – Con il secondo motivo, da parte dei difensori dell’indagato si deduce l’illegittimità dell’ordinanza impugnata, per violazione di legge ( art. 192 c.p.p., comma 3 e art. 273 c.p.p., comma 1) evidenziando, per un verso, che la captazione ambientale posta a fondamento dell’ordinanza cautelare deve considerarsi una fonte "etero accusatoria", sotto altro profilo, che il contenuto di intercettazioni può si costituire, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte, fonte di prova della colpevolezza dell’imputato senza necessità di altri riscontri esterni, ma solo allorquando gli indizi emergenti dalla conversazione risultino gravi, precisi e concordanti, e come "importanti studi di natura sociologica e psicologica" hanno dimostrato che non sempre gli interlocutori impegnati in una conversazione telefonica o ambientale hanno come unico scopo di affermare la verità in ordine ai fatti su cui le conversazioni vertono, sicchè deve ritenersi auspicabile una ricerca di ulteriori elementi di prova ex art. 192 c.p.p., comma 3, precisandosi in ricorso che "gli ulteriori elementi esterni" possono fondatamente individuarsi: a) nell’intellegibilità della conversazione, intesa come chiara decifrabilità del suo contenuto, che non risulti caratterizzato da troppi omissis e fonemi incomprensibili; b) nel valore semi-probante del contenuto captato, nel senso che le conversazioni richiedono pur sempre l’acquisizione di un riscontro esterno; c) nella plausibilità delle affermazioni captate, così da distinguere le affermazioni oggettivamente inverosimili, frutto di mera millanteria o tracotanza.

Più specificamente, avuto riguardo alle considerazioni sin qui Illustrate di ordine metodologico, nel ricorso si denunzia che i giudici dei riesame non hanno fornito adeguata e logica risposta alle argomentazioni prospettate dalla difesa dell’Indagato, che avevano riguardato: per un verso, la collocazione nel tempo della condotta asseritamene intimidatoria posta in essere nei confronti dei fratelli G., asseritamene iniziatasi sin dal lontano 2002 e reiterata anche nel 2005, dato questo diretto a segnalare come l’ A.N., anche a ragione del suo status detentivo, andava evidentemente escluso dal novero delle persone che avevano manifestato interesse all’acquisto del terreno di cui trattasi, incorrendo anzi i giudici dei riesame in un palese errore di valutazione sul punto, allorchè hanno sostenuto che l’incontro dei G. con il genero dell’indagato avrebbe preceduto l’ultimo atto di danneggiamento (risalente al 9 novembre 2006), essendo esso invece successivo a tale data (10 novembre 2006); l’emersione nella conversazione captata delle ragioni per cui i G. erano raggiunto da così insistenti richieste di acquisto di circa duemila metri quadri di terra, e cioè nell’avere il richiedente V. subito il sequestro della propria casa, circostanza questa che, ove adeguatamente valutata, avrebbe dovuto far comprendere il ruolo di semplice nuncius dell’offerta di acquisto del terreno, svolto dall’indagato e dal suo genero; quest’ultimo coinvolto nella vicenda, in definitiva, solo per i rapporti di antica e giovanile amicizia intrattenuti con I G.; l’estrinsecazione da parte dei G. nella conversazione captata di un mero sospetto circa il coinvolgimento di A.N. e del genero M.R., nei recenti episodi di danneggiamento, tanto più che sempre nella richiamata conversazione viene delineato il ruolo effettivo di garante svolto dall’ A., nell’ambito di una bonaria composizione della questione, soddisfacente per entrambe le parti coinvolte nella stessa.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di A.N. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata.

1.1 – Il Tribunale ha dato conto, con motivazione esauriente ed immune da vizi logici – solo sommariamente illustrata nel paragrafo 1.1 della esposizione in fatto – del grave compendio indiziario da cui si evinceva che i fratelli G. erano parti offese di un’azione estorsiva che mirava ad indurli a vendere una vasta porzione di terreno al (OMISSIS), alias V.V., di Oppido Mamertina; che detta azione risultava essersi realizzata nel tempo, attraverso plurime iniziative, dapprima consistite in pressioni realizzate anche con l’interevento di R.D., poi con vere e proprie aggressioni a mezzo degli atti incendiari di cui si è riferito in precedenza.

In particolare la conversazione ambientale captata il 12 novembre 2006 veniva ritenuta oltremodo significativa, avendo escluso il Tribunale, con vantazione ineccepibile sotto il profilo logico, che i colloquianti G.A. e G.G., fossero animati da millanteria, attesa la storicità degli atti incendiari che si susseguirono e che colpirono beni riconducibili direttamente o indirettamente alla famiglia Guadagnino. Pertanto la indicazione dei G. quanto all’intervento esercitato dall’indagato A. N., anche per il tramite del genero M.R., per indurli alla vendita del terreno, è un dato rappresentativo fornito in un contesto non giudiziario, dalla fonte diretta e sul quale l’interlocutore A.C. nulla ebbe ad eccepire. A ricollegare l’indagato all’episodio estorsivo concorre quindi un dato rappresentativo fornito dalla fonte diretta G., fonte non millantatrice, perchè a sua volta narrante fatti che si sono effettivamente verificati: nessuna incongruenza è quindi dato cogliere nel tessuto motivazionale della ordinanza impugnata, che risulta rispettosa dei principi di cui all’art. 192 cod. proc. pen., avendo dato conto i giudici della cautela della fonte di prova rappresentativa acquisita e dei criteri adottati per vagliarne l’affidabilità. L’argomento speso dalla difesa che fa leva sul carattere risalente nel tempo delle pressioni esercitate sui G. e sull’impossibilità di attribuire le stesse all’indagato, all’epoca detenuto, è stato disatteso dal Tribunale con argomentazioni plausibili, che hanno valorizzato il dato che l’intervento nella vicenda dell’indagato, era stato solo l’ultimo – ed il più determinato – di un’attività intimidatrice protrattasi del tempo e riferibile a più persone, tutte con trascorsi criminali;

poichè l’iniziativa nasceva in un contesto di natura mafiosa, i metodi non potevano che essere quelli mafiosi, che videro come "apripista" il R., compaesano del V., e si estrinsecarono, de ultimo, con l’intervento, solo apparentemente "da pacieri", svolto dal M. e dal suocero.

Nessun profilo di illegittimità è quindi ravvisabile nell’ordinanza impugnata se solo si considera che come è stato insegnato, l’azione estorsiva può essere connotata anche dall’assenza di minacce dirette, laddove l’idoneità della condotta, rispetto all’ingiusto risultato, sia apprezzata in riferimento alle modalità con cui fu posta in essere, avendo riguardo alla personalità sopraffattrice del soggetto agente, alle circostanze ambientali, alle condizioni soggettive delle vittime (in termini Cass., Sez. 2, Sentenza n. 26819 del 10/04/2008, dep. il 3/07/2008, Rv. 240950, imp. Dell’Utri).

Orbene in presenza di un articolato e logico percorso argomentativo, che ha tenuto conto del contenuto delle conversazioni intercettate, dell’attendibilità dei conversanti e della valenza accusatoria delle dichiarazioni dei G., è agevole rilevare che le deduzioni della difesa del ricorrente, riguardanti la valutazione di attendibilità e coerenza dei dati valorizzati dai giudici di merito, lungi dal dimostrare un effettivo, inconfutabile e significativo travisamento delle emergenze processuali, si risolvono nella prospettazione di una "lettura alternativa" delle stesse, non ammessa in sede di legittimità. 2. – Al rigetto del ricorso consegue la condanna per legge del ricorrente, al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *