Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-03-2011) 25-07-2011, n. 29703

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – A.M. è stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 25 maggio 2010 dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria, siccome gravemente indiziato del delitto di partecipazione ad associazione per delinquere di tipo mafioso, pluriaggravata (capo TT della rubrica provvisoria), contestatogli per avere l’indagato fornito "un costante contributo per la vita dell’associazione, accompagnando G.T. a (OMISSIS), in tal modo permettendo alla stessa di partecipare ai colloqui con il fratello G.D. cl. (OMISSIS), colloqui che rivestivano fondamentale importante per l’attività dell’associazione"; in particolare, per essere "personaggio di assoluta fiducia di G.T., alle cui disposizioni si conformava; più in generale mettendosi a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo". 2. – II provvedimento restrittivo è stato confermato dal Tribunale di Reggio Calabria investito dell’Istanza di riesame, che ha ritenuto sussistessero gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, con riferimento all’imputazione mossagli.

2.1. – Più specificamente i giudici del riesame – dopo un preliminare rinvio, alle motivazioni dell’ordinanza cautelare ed alla richiesta del PM, valutate come complete ed esaurenti, quanto alla ricostruzione in punto di fatto del compendio indiziario – e dopo aver premesso che il presente procedimento costituiva una "sostanziale prosecuzione" dell’attività investigativa (la cosiddetta operazione Arca) che aveva consentito di disvelare, nel luglio 2007, anche in base alle rilevazioni di D.D.A., intraneo alla cosca Cirillo ed alle intercettazioni di alcune conversazioni telefoniche dell’ingegner D.G. capo Area della impresa esecutrice dei lavori di rifacimento dell’autostrada (OMISSIS), il coinvolgimento delle più importanti ‘ndrine di Rosarno nell’"affare autostrada", aveva pure consentito, nei suoi successivi sviluppi, di "ricostruire importanti capitoli della storia criminale delle cosche calabresi" hanno valorizzato, ai fini della gravità indiziaria: (a) le intercettazioni ambientali operate all’interno delle sale colloqui di alcune strutture penitenziarie ( (OMISSIS)) ove erano stati ristretti G.G., G.D., O.F., S.S.R., G.R. e B.G.; (b) le intercettazioni ambientali captate su di un’autovettura in uso a C.P., persona ritenuta intranea, anche per vincoli parentali, al clan Gallico e uomo di fiducia di G.T..

2.2. – In particolare, per quanto ancora specificamente rileva nel presente giudizio di legittimità, i giudici del riesame, dopo aver rimarcato che il linguaggio utilizzato nei colloqui oggetto di captazione, risultava del tutto chiaro ed esplicito, in quanto le persone intercettate, eccezion fatta per il solo G.D., sempre cauto e sospettoso, avevano maturato "la ragionevole convinzione di non essere sostanzialmente obiettivi di interesse investigativo" e che l’operazione d’Interpretazione delle conversazioni doveva avvenire "alla luce degli standard indiziari enucleati nell’art. 273 cod. proc. pen." e non già applicando quelli probatori di cui all’art. 192 cod. proc. pen., non potendo "equipararsi le dichiarazioni eventualmente accusatorle di terze persone ad una chiamata in correità", hanno ritenuto certa la partecipazione dell’ A. all’associazione valorizzando le seguenti circostanze emerse dal materiale indiziario raccolto:

1) l’avere l’indagato accompagnato presso le carceri di (OMISSIS), G.T., così da consentire alla stessa di avere dei colloqui con il fratello G.D., ivi ristretto;

2) l’essere stato l’indagato assunto come dipendente da due imprese (OMISSIS) impegnate nei lavori di rifacimento della (OMISSIS), su segnalazione di G.T.;

3) l’avere l’indagato partecipato al pranzo consumato nell’abitazione del padre morente di G.D., in occasione della "storica" visita dell’ergastolano;

4) l’avere G.D. e la sorella T., nel corso di un colloquio avvenuto il 26 aprile 2008 nel carcere di (OMISSIS), individuato A.M. come una persona idonea a poter gestire, per conto della famiglia, un’attività di ristorazione (mensa scolastica) che gli stessi intendevano avviare.

2.3. – Con specifico riferimento a tali elementi indizianti, i giudici del riesame, nel precisare che gli stessi dovevano ritenersi univoci ed idonei "a supportare l’impostazione accusatoria in ordine all’appartenenza dell’ A. al gruppo mafioso dei Gallico", dagli stessi emergendo "un apporto collaborativo non trascurabile, non limitato alla mera inconsapevole disponibilità, conscia della finalità e dell’ineludibità dei colloqui", consideravano, di contro, come non decisive le deduzioni della difesa, secondo cui la disponibilità dell’indagato ad accompagnare la G., in realtà, "trovava le sue più intime ragioni" esclusivamente nel rapporto di parentela che lo legava alla donna (avendo l’indagato sposato B.F., figlia di M.C., sorella del marito della G., M.G.V.) e l’attività svolta a favore di G.T., era stato regolarmente retribuita, evidenziando in particolare, quanto a tale ultima prospettazione, come "l’esistenza del vincolo associativo, non necessariamente postula la gratuità delle prestazioni rese a favore del gruppo e non è dunque escluso dalla mera erogazione di un corrispettivo, indice di un rapporto sinallagmatico non incompatibile … con la partecipazione alle finalità criminose dell’organizzazione". 2.4. – Quanto poi alle esigenze cautelari, i giudici del riesame – evidenziata preliminarmente, l’operatività, nel caso in esame, ex art. 275 c.p.p., comma 3, di una presunzione di pericolosità sodale – hanno precisato che, attesa la natura permanente del reato contestato e stante l’assenza di elementi dimostrativi di un’intervenuta rescissione dei legami dell’indagato con l’organizzazione, tali da consentire di ritenere superata la presunzione di pericolosità, non era determinate la circostanza che I gravi indizi risalissero nel tempo, in quanto "la data di quest’ultimi non equivale a quella di cessazione della consumazione del reato associativo". 3. – Avverso tale pronuncia del tribunale hanno proposto autonomi ricorsi per cassazione, di contenuto pressochè identico, A. M. ed il suo difensore, avvocato Giuseppe Orlando, prospettando due motivi d’impugnazione a sostegno della richiesta di annullamento dell’ordinanza Impugnata.

3.1. – Con il primo articolato motivo, sì deduce in entrambi i ricorsi l’illegittimità dell’ordinanza impugnata, per violazione di legge ( art. 273 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione, con riferimento all’affermazione di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato.

In particolare, dopo un’articolata premessa volta a sostenere, attraverso plurimi riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte e della CEDU, come gli indizi a carico dell’indagato destinatario di una misura cautelare debbano essere gravi, precisi e concordanti, e come, anche a ragione delle modifiche legislative "sul giusto processo", allorquando i gravi indizi siano integrati dalle dichiarazioni accusatorie di un coimputato o di un imputato in un procedimento connesso o collegato, le stesse devono necessariamente essere riscontrate da "altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità", nei ricorsi si confuta diffusamente l’effettiva rilevanza indiziaria, delle circostanze valorizzate dai giudici del riesame.

In estrema sintesi, nei ricorsi si evidenzia, quali profili di manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata:

1) con riferimento all’asserita disponibilità dell’ A. rispetto alla consorteria criminale, la sostanziale ed immotivata svalutazione di dati fattuali pure significativi e direttamente influenti sulla rilevanza indiziaria del non contestato accompagnamento, in diverse occasioni, di G.T., nei suoi spostamenti verso i luoghi di detenzione del fratello D. per effettuare dei colloqui con lo stesso, quali il rapporto di parentela esistente con la persona accompagnata; il riferirsi tale disponibilità, allo svolgimento di un’attività pacificamente lecita (l’effettuazione di colloqui); la non partecipazione dell’ A., ai colloqui stessi; l’estraneità dello stesso, rispetto a qualsiasi attività illecita riferibile alla cosca di asserita appartenenza; l’esito "negativo" delle intercettazioni ambientali eseguite all’interno dell’auto utilizzata dall’indagato;

2) con riferimento all’attività lavorativa svolta dall’indagato nei cantieri dell’autostrada, di cui si è fatta menzione nelle conversazioni avute dal C. con B.M., (a) la non veridicità dell’affermazione secondo cui l’assunzione dell’ A. sarebbe stata agevolata da G.T., emergendo dalle indagini difensive, non adeguatamente valutate dal tribunale, sia che le imprese siciliane che avevano assunto l’ A. non erano impegnate, intanto, nell’esecuzione dei lavori autostradali, svolgendo esse, invece, lavori di riammodernamento della linea ferroviaria; sia soprattutto che nell’assunzione dell’indagato non aveva inciso alcun intervento della G.; (b) l’assenza di idonei riscontri individualizzanti alle dichiarazioni rese dal correo C.P. e l’assenza di qualsiasi vantazione circa l’attendibilità del loquens;

3) con riferimento all’individuazione di A.M. come possibile gestore di un’attività di ristorazione, emersa nel corso di un colloquio avuto da G.T. con il fratello Ro., anche lui detenuto, la mancata valutazione che intanto tale colloquio si riferiva ad un’attività mai realizzata e da svolgersi presso una scuola all’epoca ancora in fase di costruzione; che dal colloquio non emergeva, comunque, la consapevolezza ovvero il "coinvolgimento volitivo di A.", rispetto all’Intendimento della zia;

4) con riferimento alla partecipazione al pranzo con G. D., emersa dalla captazione di un colloquio avuto con terze persone dal "loquace" C.P., definito in ricorso come un millantatore, la mancata valutazione del carattere meramente occasionale di tale partecipazione, quale desumibile dalla assenza dell’Indagato ad altre riunioni familiari pure svoltesi in occasione di precedenti permessi di cui l’ergastolano G.D. aveva fruito.

Tali considerazioni, si sostiene in ricorso, ove adeguatamente valutate, avrebbero dovuto condurre i giudici del riesame ad escludere la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’ A. in relazione al reato associativo contestato, per la cui configurabilità è necessario dimostrare l’esistenza non solo di una consapevole "adesione soggettiva" ma anche di un effettivo contributo all’associazione, che ad avviso del ricorrente non potrebbe configurarsi come minimo in quanto esso deve costituire "per la sua dimensione qualitativa o per la sua reiterazione quantitativa", indice inequivoco relativamente "al volontario perseguimento degli scopi dell’associazione, nella consapevolezza di innestare sinergicamente la propria condotta su quella degli altri associati". 3.2. – Con il secondo motivo, in entrambi i ricorsi si deduce il carattere meramente apparente e manifestamente illogico della motivazione, relativamente alla sussistenza di esigenze cautelari.

In proposito si osserva" che il percorso motivazionale svolto dai giudici reggini sul punto, si risolve in un mero richiamo alla presunzione di adeguatezza di cui all’art. 275 cod. proc. pen., non rispettoso dei principi enunciati in argomento dalla più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 265 del 21 luglio 2010) e della Corte di Strasburgo (sentenza Pantano, del 6 novembre 2003) e che lo stesso, laddove viene affermata l’esistenza di una dichiarata ed incondizionata disponibilità dell’indagato "alle più svariate esigenze della cosca", si sostanzia in affermazioni "inverosimili", che non forniscono adeguata confutazione delle argomentazioni difensive, limitandosi a mere formule di stile.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di A.M. è inammissibile perchè basata su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

1.1. – Quanto al primo motivo, che attiene alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente relativamente al reato associativo contestatogli, è opportuno premettere che è consolidato orientamento di questa Corte ritenere che, per l’applicazione di una misura cautelare in questa fase del procedimento è richiesto solo il requisito della gravità degli indizi nel senso che questi devono essere tali da lasciar desumere la qualificata probabilità di attribuzione all’indagato del reato per cui si procede. Orbene nel caso in esame il Tribunale si è adeguato al suddetto principio, ancorando il proprio giudizio ad elementi specifici risultanti dagli atti – solo sommariamente illustrati al paragrafo 1.1 – da cui desumere lo stabile e consapevole inserimento dell’indagato nella associazione per delinquere di cui trattasi, tanto da trarre dalla loro valutazione globale un giudizio in termini di elevata probabilità circa l’attribuzione del reato all’indagato, laddove le argomentazioni, di merito e ripetitive di argomenti già adeguatamente confutati, secondo cui l’indagato sarebbe estraneo a logiche delinquenziali, risultando l’asserita sua adesione alla cosca Gallico incongruamente desunta da dati fattuali privi di effettiva valenza indiziaria". Al riguardo va infatti ribadito, anche con riferimento al presente procedimento, il principio da tempo enunciato da questa Corte, secondo cui non è compito del giudice di legittimità compiere una rivalutazione del compendio probatorio, sulla base delle prospettazioni dei ricorrenti, esulando dai suoi poteri una "rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Sez. Un. n. 41476 del 25/10/2005, Misiano; Sez. Un. n. 6402 del 2.7.1997, imp. Dessimone, rv. 207944; Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, imp. Clarke, rv. 203428).

Non può quindi ravvisarsi nella sentenza impugnata nè una errata applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2 nè una mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e).

1.2. – Infondate risultano, infine, anche le censure sollevate in ricorso con riferimento alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari giustificatrici dell’adozione della misura cautelare in concreto applicata all’indagato.

Per il reato associativo vige, infatti, la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3., e correttamente il Tribunale ha ritenuto, anche In considerazione della pluralità di mansioni in cui si "estrinsecava" l’attività svolta dall’indagato in favore del sodalizio, che in assenza di concreti elementi dimostrativi di un effettivo recesso dell’indagato dall’associazione e dell’irrilevanza del mero "decorso del tempo", nulla consentiva di ritenerla superata.

La stessa norma esclude quindi che possa essere applicata una diversa misura cautelare.

2. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna per legge del ricorrente, al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost, sent. n. 186 del 2000), di una somma, congruamente determinabile in Euro 1000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario al sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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