Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-06-2011) 26-07-2011, n. 29864 Esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto del 2 dicembre 2010 il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano ha dichiarato inammissibile l’istanza di affidamento al servizio sociale e di detenzione domiciliare, presentata da I.G., con riferimento alla sentenza del 18 dicembre 2008 della Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza emessa il 14 marzo 2008 dal G.i.p. del Tribunale di Milano, definitiva l’11 giugno 2010, sul rilievo che il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74, per il quale l’istante era detenuto, era ostativo alla concessione dei benefici ai sensi dell’art. 47-ter, commi 1-bis e 4-bis, Ord. Pen..

2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore, I.G., che ne chiede l’annullamento, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) ed e).

Secondo il ricorrente, la norma di cui all’art. 4-bis Ord. Pen. non esclude con "invincibile automatismo", anche in relazione alla fattispecie di reato prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, la possibilità di accesso agli strumenti trattamentali extramurari in mancanza della collaborazione, disponendo che, ove sussista impossibilità oggettiva o soggettiva della detta collaborazione, l’applicazione di misura alternativa suppone la prova dell’assenza attuale di legami con le organizzazioni criminali. Nel caso di specie, un tale accertamento è, invece, totalmente mancato.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per l’annullamento senza rinvio del decreto impugnato, adottato al di fuori dei casi normativamente previsti, e la trasmissione degli atti per l’ulteriore corso del procedimento al Tribunale di sorveglianza di Milano.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. L’art. 678 cod. proc. pen., comma 1, richiama per il procedimento di sorveglianza la disciplina del procedimento di esecuzione e, quindi, anche l’art. 666 cod. proc. pen., comma 4, che prevede che l’udienza in Camera di consiglio, fissata per la trattazione dell’incidente di esecuzione, si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero, ai quali deve essere dato apposito avviso.

In forza del combinato disposto dell’art. 678 cod. proc. pen., comma 1, e art. 666 cod. proc. pen., comma 2, è, tuttavia, possibile la decisione di inammissibilità dell’istanza, adottata de plano con decreto motivato del presidente del tribunale di sorveglianza, sentito il Pubblico Ministero, nelle ipotesi di manifesta infondatezza della richiesta per difetto delle condizioni di legge e di mera riproposizione di una richiesta già rigettata.

2.1. Questa Corte con orientamento costante ha precisato le condizioni che legittimano l’emissione del decreto presidenziale e la deroga alla regola del contraddittorio assicurato dal procedimento in Camera di consiglio, stabilendo che la dichiarazione d’inammissibilità de plano è ammessa quando la richiesta sia identica, per oggetto e per elementi giustificativi, ad altra già rigettata o risulti manifestamente infondata per l’inesistenza dei presupposti minimi di legge, senza implicare alcun giudizio di merito e alcuna valutazione discrezionale (Sez. 1, n. 23101 del 19/05/2005, dep. 17/06/2005, Savarino, Rv. 232087; Sez. 1, n. 5265 del 04/12/2001, dep. 08/02/2002, Cari, Rv. 220687; Sez. 1, n. 6346 del 12/12/2000, dep. 15/02/2001, Molineris, Rv. 218031; Sez. 1, n. 277 del 13/01/ 2000, dep. 04/03/2000, Angemi, Rv. 215368; Sez. 1, n. 5642 del 30/10/1996, dep. 08/01/1997, Villa, Rv. 206445, e da ultimo Sez. 1, n. 540 del 09/02/2011, Ilinschi, non massimata).

2.2. E’ anche consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, al fine del superamento delle condizioni ostative alla fruizione di determinati benefici penitenziari stabilite dal combinato disposto della L. 26 luglio 1975, n. 354, artt. 4-bis e 58-ter, e L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 2, è necessario, alla luce dei principi espressi nelle sentenze della Corte costituzionale n. 306 del 1993, 357 del 1994 e 68 del 1995, che nell’istanza il condannato prospetti, almeno nelle linee generali, elementi specifici circa l’impossibilità o l’irrilevanza della sua collaborazione, così da consentire l’esame del merito dell’istanza stessa (Sez. 1, n. 10427 del 24/02/2010, dep. 16/03/2010, P.M. in proc. C, Rv. 246397; Sez. 1, n. 18658 del 12/02/2008, dep. 08/05/2008, Sanfilippo, Rv. 240177; Sez. 1, n. 39795 del 26/09/2007, dep. 26/10/2007, Gioco, Rv. 237741; Sez. 1, n. 43226 del 06/12/2002, dep. 19/12/2002, De Tommaso, Rv. 222894; Sez. 1, n. 12563 del 27/02/2002, dep. 29/03/2002, Loier, Rv. 221079; Sez. 1, n. 2923 del 19/05/1998, dep. 09/06/1998, Di Quarto, Rv. 210868).

2.3. Il decreto d’inammissibilità nel caso in esame si è uniformato a tali principi, in quanto, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la richiesta di applicazione di una misura alternativa alla detenzione (nella specie affidamento in prova al servizio sociale e detenzione domiciliare), priva della deduzione dell’asserita impossibilità di collaborazione con l’Autorità Giudiziaria, come richiesto dalla L. n. 354 del 1975, artt. 4-bis e 58-ter, è inammissibile.

Tale carenza impedisce, infatti, di valutare, in rapporto alla particolare natura del reato ascritto, la specifica situazione di derogabilità della condizione ostativa alla concessione stessa.

Nè a diverse conclusioni può pervenirsi in relazione alle circostanze dedotte nel ricorso per cassazione in merito alla possibilità di accesso alle misure alternative anche in mancanza della collaborazione, ove sia provata l’assenza di collegamenti con le organizzazioni criminali, atteso che il requisito della impossibilità dell’attività collaborativa avrebbe dovuto essere introdotto con l’istanza introduttiva, e il Giudice di sorveglianza, verificata l’inammissibilità dell’istanza per la mancanza di tale requisito al momento della proposizione della richiesta, non era tenuto a svolgere alcun accertamento d’ufficio per verificare la sussistenza o meno di circostanze atte a consentire il superamento della mancata collaborazione per sua impossibilità o irrilevanza.

2.4. Dai detti rilievi si evince che nel caso in esame il decreto di inammissibilità è stato correttamente emesso ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., comma 2. 3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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