Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-06-2011) 26-07-2011, n. 29909 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 9.12.2009 la Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza 2.04.2008 del Tribunale di Pinerolo, concessa l’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., ha ridotto ad anni due di reclusione la pena, che sospendeva, inflitta nel giudizio di primo grado a M.D.E. quale colpevole del reato di cui al’art. 609 quater c.p., comma 1, n. 1, art. 609 ter c.p., comma 2, (per avere compiuto atti sessuali col minore C.A.D., di anni 4, toccandogli il pene, baciandolo e simulando con lui un atto sessuale; in (OMISSIS)) ed ha confermato le statuizioni in favore della parte civile.

La notizia di reato era emersa in una situazione di conflitto tra due cugine rumene dimoranti in Italia: la M. e P.J. con cui C.P., nel (OMISSIS), aveva intrapreso una relazione dalla quale erano nati, nel (OMISSIS), la figlia M., e, nel (OMISSIS), il figlio A.D..

Le due donne avevano per un certo tempo convissuto col C., ma la separazione definitiva con la J. era avvenuta nel (OMISSIS) mentre diventava stabile la convivenza del C. con la M. in (OMISSIS), sicchè i rapporti tra le due donne erano degenerati definitivamente.

Il (OMISSIS) la J. denunciava ai CC di avere appreso, il precedente (OMISSIS), dal figlio, rientrato a (OMISSIS) dopo aver trascorso qualche giorno in casa del padre ove era accudito dalla M., che costei, mentre gli faceva il bagnetto, aveva giocato col suo pisellino, gli aveva mostrato i suoi organi genitali e simulato un atto sessuale.

Avviatosi il procedimento penale, il PM incaricava il dr. B., psichiatra dell’ASL, di verificare la capacità testimoniale del minore; di acquisire direttamente la narrazione dell’accaduto delegandogli l’esame diretto del minore.

La relazione del CT concludeva per la piena attendibilità e veridicità del suo racconto, in ciò confermando in pieno le dichiarazioni della madre al CT (cui aveva rivelato un altro episodio analogo).

Nel corso del dibattimento, l’imputata riconduceva l’accusa all’ingiustificata ostilità della cugina e il CT, nella veste di testimone, confermava che il minore era da considerarsi sessualmente abusato.

Tanto premesso, la corte territoriale dava atto che la vicenda processuale vedeva "l’unica fonte di prova affidata al narrato di un bimbo di appena 4/5 anni; narrato che però non è mai stato direttamente e formalmente acquisito in sede processuale, ma soltanto recepito dal CT del PM e da questi, informalmente, riversato in atti" e che era evidente la conflittualità che contrapponeva l’imputata con la denunciante.

Tuttavia, riteneva valida l’accusa per il fallimento dell’alibi proposto dall’imputata; per la assolutamente esauriente deposizione del CT del PM che aveva confermato la sua relazione, donde "la puntuale fedeltà alla fonte primaria e diretta, ossia al narrato del piccolo A." indicato in sentenza come "teste" d’accusa.

Aggiungeva la corte di merito che l’esame del CT consentiva di fugare ogni dubbio sulla genuinità e spontaneità delle dichiarazioni del minore del quale era accertata la capacità di testimoniare e di escludere che l’accusa fosse stata suggerita dalla madre e ancora che segni di abuso erano stati riscontrati dalla dr.ssa R. che aveva osservato il bambino su incarico del PM. Proponeva ricorso per cassazione l’imputata denunciando erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione sulla conferma dell’affermazione di responsabilità soltanto sulla base delle incontrollate dichiarazioni de relato della madre del minore, che nutriva astio nei suoi confronti, e del CT del PM. Non era stata valutata la genuinità della prova, nè il CT aveva videoregistrato e documentato come aveva raccolto le dichiarazioni, che erano riportate per sintesi.

Inoltre, era illegittimo l’incarico al CT di valutare l’attendibilità del dichiarante che aveva parlato alla presenza della madre e dopo che costei aveva anticipato il contenuto del racconto.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Il ricorso è fondato.

La sentenza impugnata è palesemente illegittima per avere confermato il giudizio di colpevolezza alla stregua di un apporto documentale inutilizzabile; della testimonianza di conferma dibattimentale di dichiarazioni rese da un bimbo in tenera età nel corso di un accertamento tecnico che avrebbe dovuto riguardare esclusivamente la sua capacità di testimoniare in vista dell’esame protetto, che sarebbe stato superfluo ove il giudizio fosse stato negativo, e di una dichiarazione de relato resa dalla madre del minore su cui è stata omessa qualsiasi indagine tesa alla verifica della genuinità dell’accusa, senza che sia stata ritualmente esaminata la persona offesa.

L’utilizzazione della relazione di CT si pone, anzitutto, in contrasto con il divieto posto dall’art. 228 c.p.p., comma 3, il quale dispone che, qualora ai fini dello svolgimento dell’incarico, il perito richieda notizie all’imputato, alla persona offesa o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell’accertamento peritale e non per la ricostruzione del fatto (Sezione 3^ n. 12647/2006 RV. 234012).

Tale limite riguarda anche i CT, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 12647/2006 RV. 234012 "Gli elementi istruttori acquisiti dal consulente tecnico nominato dal pubblico ministero a norma dell’art. 360 c.p.p., sono utilizzabili unicamente per rispondere ai quesiti e non come prova, in quanto la disciplina prevista per l’attività istruttoria del perito dall’art. 228 c.p.p., comma 3, si estende analogicamente alla medesima attività istruttoria del consulente tecnico per identità di ratto legis" (Sezione 3^ n.2001/2007 RV. 238846).

Ne consegue che le dichiarazioni rese al perito possono legittimamente confluire sul giudizio tecnico da questi formulato, ma non possono essere valutate autonomamente dal giudice nè utilizzate dalle parti per eventuali contestazioni.

Tale divieto a maggior ragione deve trovare applicazione nel caso di specie in cui le dichiarazioni in questione sono state rese da un bambino parte offesa al CT che il PM aveva illegittimamente delegato, conferendogli funzioni proprie della PG, ad assumere l’esame diretto del minore, mentre tale prova avrebbe dovuto essere assunta con le forme dell’audizione protetta in sede d’incidente probatorio, così come prescritto dall’art. 392 c.p.p., comma 1 bis.

Il legislatore ha, infatti, previsto una regolamentazione precisa in questa delicata materia, al fine di evitare al minore vittima di abusi sessuali il trauma di audizioni ripetute, consentendo al contempo la non dispersione della prova e il controllo rigoroso da parte del giudice sulle modalità della sua assunzione, imponendogli, con l’art. 398 c.p.p., comma 5 bis, di individuare le modalità più opportune per procedere alla assunzione testimoniale.

Nella specie, inoltre, l’inutilizzabilità deriva anche dal fatto che le dichiarazioni rese dal minore al consulente del PM non sono state registrate nè verbalizzate, sicchè le parti non hanno potuto avere contezza del loro integrale contenuto, ossia di tutti gli elementi necessari per vagliarle sotto il profilo del contenuto stesso.

Le dichiarazioni così raccolte non potevano costituire in nessun caso oggetto una prova testimoniale della persona che le aveva irritualmente acquisite.

Altra lacuna motivazionale su un punto rilevante ai fini del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie della madre della persona offesa inficiano la tenuta della sentenza impugnata perchè non sono state prese adeguatamente in considerazione tutte le concrete circostanze che avrebbero potuto influire su tale valutazione.

Si tratta della genesi dell’accusa, immotivatamente minimizzata, innestatasi in un contesto di "evidente conflittualità che contrappone l’imputata e la denunciarne…che non garantisce equidistanza di quest’ultima fra il figlio e l’imputata nè garantisce che il narrato del minore non sia stato percepito e in termini fuorvianti e suggestivi travisandone il significato, magari più banale e innocente dell’apparenza, in senso allarmistico e accusatorio" (f. 10/11 della sentenza).

Pur dichiarando la corte di merito di essere di ciò consapevole, non ne ha tratto le possibili implicazioni sul racconto che il figlio avrebbe fatto alla madre.

Non si rinviene, ancora, nella sentenza impugnata alcuna analisi sulle modalità del disvelamento e, quindi, sulla stessa attendibilità della teste de relato, che non ha mai avuto cognizione diretta di atteggiamenti anomali della M. nei confronti di A..

Il carattere mediato della rappresentazione del fatto impone al giudice, specie quando la fonte primaria sia un minore, una particolare cautela in sede di valutazione.

E’ necessario, infatti, accertare quali siano state effettivamente le informazioni fornite e le modalità di comunicazione delle stesse e sotto tale profilo assumono particolare rilievo la spontaneità delle rivelazioni o, al contrario, la loro sollecitazione; le domande rivolte, l’assenza di suggestione, promesse, induzioni, pressioni psicologiche (cfr. Cassazione Sezione 3^ n. 24248/2010 RV. 247285: In tema di dichiarazioni accusatorie rese a terzi dai minore (nella specie bambino di armi quattro) vittima del reato di violenza sessuale, la ricostruzione della genesi della notizia di reato, delle reazioni emotive e delle domande degli adulti coinvolti e delle ragioni dell’eventuale amplificazione nel tempo della narrazione rappresentano utili strumenti al fine di controllare che il minore non abbia inteso compiacere l’interlocutore e adeguarsi alle sue aspettative).

Però, nella specie, tale approfondimento risulta assente/sicchè non poggia su solide basi la convinzione espressa dalla corte di merito sulla spontaneità della rivelazione del 22.01.2005 relativa all’unico fatto per cui si è proceduto ancorata essenzialmente alle dichiarazioni, incontrollate, della J., con la quale il figlio viveva, antagonista della M..

Può, quindi, ritenersi che, non essendo stato esaminato A., la corte territoriale si è sottratta dalla soluzione dell’ineludibile problematica sulla genuinità dell’accusa del minore che tanto più è convincente se nasce spontaneamente al di fuori da un contesto familiare traumatizzante dovendo la valutazione dell’attendibilità di un bambino in tenera età essere legata non soltanto al suo dire, che nella specie è mancato, ma anche a ogni rilevante dato acquisito nel processo.

In conclusione, ritiene il collegio che le carenze della motivazione della sentenza impugnata, specie in relazione alla delicatezza della contestazione, richiedano una nuova valutazione da parte del giudice del merito incentrata, previo esame della persona offesa, sulla genuinità dell’accusa partendo dalla situazione conflittuale in cui versavano I’ protagonisti della vicenda.

Pertanto, la sentenza deve essere annullata per nuovo esame con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino che rivaluterà i fatti, escludendo le prove illegittimamente acquisite, con piena libertà di giudizio, alla stregua di altri elementi di sicura utilizzabilità e di autonoma sufficienza compresa la testimonianza della dott.ssa R. incaricata dal PM di osservare il minore, con piena libertà di giudizio.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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