Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-06-2011) 26-07-2011, n. 29907 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 15 ottobre 2009, la Corte d’Appello di Trieste confermava la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Udine con la quale G.C. era stato condannato, a seguito di giudizio abbreviato, per illecita detenzione di sostanze stupefacenti (ecstasy).

Avverso tale decisione il predetto presentava ricorso per cassazione.

Con il primo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, rilevando l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai coimputati in quanto effettuate senza il preventivo avviso di cui all’art. 64 c.p.p., come novellato dalla L. n. 63 del 2001, ed escludendo che la scelta del rito alternativo possa aver determinato effetti sananti.

Con il secondo motivo di ricorso denunciava violazione di legge, sostenendo l’illegittimità della decisione, confermata dai giudici del gravame, con la quale il giudice di prime cure aveva ritenuto non revocabile la richiesta del rito alternativo condizionato all’esame di un coimputato dopo che questi, comparso all’udienza, si era avvalso della facoltà di non rispondere e ciò in quanto, trattandosi di soggetto minorenne, tale scelta non poteva essere prevedibile per la peculiare caratteristica del processo minorile che gli impediva di conoscere lo stato del procedimento.

Con il terzo motivo di ricorso lamentava la violazione di legge sostanziale e processuale nonchè il vizio di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità per il reato contestato fondata sulle sole dichiarazioni di un chiamante in correità che, per libera scelta, si era sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore e senza considerare che dette dichiarazioni risultavano smentite dal fratello dello stesso dichiarante e dalla documentazione relativa all’acquisto di un’autovettura prodotta in udienza.

Con il quarto motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione rilevando come non risultasse in alcun modo provato il concorso nel reato, in quanto non era stata rinvenuta sostanza stupefacente in suo possesso e la sua partecipazione all’attività delittuosa dei coimputati non era suffragata da prove.

Con il quinto motivo di ricorso denunciava, infine, la violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, in quanto, non essendo stata determinata con certezza la quantità di stupefacente detenuta, doveva ritenersi applicabile la circostanza contemplata dalla menzionata disposizione.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Con riferimento alla dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai coimputati in sede di interrogatorio, di cui tratta il primo motivo di ricorso, deve osservarsi che la Corte territoriale ha fornito ampia e motivata risposta, immune da vizi logici, alle doglianze della difesa richiamando e facendo buon uso dei principi di diritto affermati da questa Corte, puntualmente richiamati.

Si è infatti ripetutamente affermato, con riferimento alle dichiarazioni eteroaccusatorie rese dal coimputato nell’interrogatorio svoltosi prima dell’entrata in vigore della L. 1 marzo 2001, n. 63 e, pertanto, in assenza dell’avvertimento previsto dal nuovo testo dell’art. 64, comma 3, lett. c) che le stesse sono pienamente utilizzabili nel giudizio abbreviato, nel quale il concorrente nel medesimo reato non può mai assumere la veste di testimone, senza necessità di rinnovazione ai sensi dell’art. 26 della stessa legge (Sez. 2^ n. 21602, 25 maggio 2009; n. 10099, 6 marzo 2009; Sez. 1^ n. 1563,19 gennaio 2007).

Del tutto destituita di fondamento appare, inoltre, la doglianza relativa alla revocabilità della richiesta di giudizio abbreviato.

Va premesso, a tale proposito, che la giurisprudenza di questa Corte ha, in più occasioni, ritenuto l’irrevocabilità della richiesta di giudizio abbreviato dopo che la stessa sia stata formulata producendo i propri effetti, consistenti nell’emissione da parte del giudice del provvedimento dispositivo del rito (Sez. 1^ n. 27758, 15 luglio 2010;

n. 32905, 5 agosto 2008; Sez. 4^ n. 19528, 15 maggio 2008).

Nella fattispecie, il rito alternativo condizionato era già stato ammesso e solo dopo l’escussione del chiamante in correità, quando questi si è avvalso della facoltà di non rispondere, il ricorrente ha formalizzato la revoca della richiesta.

Ciò posto, deve rilevarsi che anche sul punto la decisione impugnata appare del tutto immune da censure.

Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che la possibilità di una eventuale decisione di avvalersi della facoltà di non rispondere da parte del soggetto chiamato a deporre era del tutto prevedibile, indipendentemente dalla conoscenza o meno da parte dell’imputato dello stato del procedimento minorile cui lo stesso era sottoposto.

In ogni caso, è del tutto evidente che, alla luce del principio in precedenza richiamato, dopo che il giudice ha valutato i presupposti per l’ammissibilità del rito abbreviato emettendo il relativo provvedimento, la revoca dello stesso non può dipendere dalla mera volontà dell’imputato, determinata da strategie difensive o altre ragioni, che produrrebbe, peraltro, quale ulteriore conseguenza, anche una ingiustificata stasi del procedimento.

Altrettanto esaustive e prive di salti logici appaiono le conclusioni cui la Corte territoriale è pervenuta con riferimento alla affermazione di penale responsabilità del ricorrente di cui al terzo e quarto motivo di ricorso, fornendo ampia illustrazione dei riscontri obiettivi alle dichiarazioni accusatorie acquisite e della fallacia delle argomentazioni difensive, con la conseguenza che ciò che il ricorrente richiede è, in sostanza, una inammissibile rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

La consolidata giurisprudenza di questa Corte è orientata, infatti, nel senso di ritenere che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p., dalla Legge 46/2006, Sez. 6^ n. 10951, 29 marzo 2006; Sez. 6^ n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. 6^ n. 23528, Sez. 3^ n. 12110, 19 marzo 2009).

Corretto appare, infine, il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Il corretto inquadramento giuridico del fatto da parte dei giudici di merito trova infatti conferma nella giurisprudenza di questa Corte, recentemente ribadita anche delle Sezioni Unite, laddove si evidenzia che il riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (SS. UU. n. 35737, 5 ottobre 2010).

Nella fattispecie, i giudici del gravame hanno dato compiutamente atto di alcune circostanze determinanti, quali le modalità di gestione del traffico di stupefacenti, la diffusione della sostanza presso soggetti di giovane età, le quantità di stupefacente trattate desumibili dal complesso delle prove raccolte, che giustificavano ampiamente la scelta di non concedere l’attenuante richiesta e ritenere la pena irrogata del tutto adeguata.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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