Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 26-07-2011, n. 29905

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Milano, con sentenza dell’ 11/3/2010, dichiarava M.M. colpevole del reato di cui agli artt. 81 cpv. e 609 bis c.p., art. 609 septies c.p., comma 4, n. 1, e art. 61 c.p., n. 5, perchè obbligava con violenza S.B., nata il (OMISSIS), all’epoca dei fatti infrasedicenne, a subire e a compiere atti sessuali, e lo condannava alla pena di anni 6 di reclusione, con pene accessorie di legge, nonchè al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, assegnando una provvisionale di Euro 20.0000,00 in favore di Sp. P. e S.F.,, quali rappresentanti della minore B., e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, Comune di Milano, liquidati in Euro 5.000,00.

La Corte di Appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto dalla difesa dell’imputato, con sentenza del 25/11/2010, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione il difensore del prevenuto, con i seguenti motivi:

– le trascrizioni degli interrogatori, relative alle sommarie informazioni rese dalla S. e dalla N. non erano state depositate da parte del p.m. e messe a disposizione della difesa prima dell’incidente probatorio, con ciò determinando la nullità dell’incidente probatorio stesso, ex art. 392 c.p.p., comma 1 bis, e art. 178 c.p.p., lett.: sul punto viene precisato che se il codice non impone la trascrizione di un interrogatorio, è altrettanto vero che il p.m., con la richiesta di incidente probatorio di cui all’art. 392 c.p.p., comma 1 bis, è tenuto a depositare tutti gli atti di indagine compiuti, ai sensi dell’art. 393 c.p.p., comma 2 bis, e se tra tali atti ci sono le trascrizioni e i verbali riassuntivi, non può sostenersi che lo stesso p.m. sia autorizzato a depositare uno solo di detti atti, a sua insindacabile scelta;

peraltro, nel corso dell’espletamento dell’incidente il Gip aveva condotto l’interrogatorio senza svolgere, come richiesto dalla difesa, precise e puntuali contestazioni alla parte lesa, relativamente a sue precedenti dichiarazioni;

-errata valutazione delle emergenze istruttorie, in particolare in ordine alle dichiarazioni della p.o., alla quale viene attribuita attendibilità, senza motivarne le ragioni, pur nella evidente rilevabilità di chiare contraddizioni nel narrato dei fatti da essa fornito; il decidente, inoltre, ha omesso di riscontrare puntuali doglianze sollevate dalla difesa;

– la Corte distrettuale ha mancato, altresì, di considerare lo specifico motivo di appello con cui si invocava la applicazione dell’art. 59 c.p., comma 4;

– lo stesso decidente nessuna argomentazione ha svolto a sostegno del diniego della attenuante di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p.;

– in maniera del tutto pretestuosa il giudice di merito ha negato la concessione delle attenuanti generiche;

– inesistenza della motivazione in relazione alla sussistenza della aggravante di cui al comma 61 n. 5 c.p.;

– violazione degli artt. 74 e 91 c.p.p., in ordine alla ritenuta legittimazione del Comune di Milano a costituirsi di parte civile;

La difesa del Comune di Milano ha inoltrato in atti memoria, in cui argomenta sulla legittimità dell’ente territoriale a proporre azione civile per risarcimento danni, in quanto direttamente danneggiato dal reato di cui è processo, perchè è stato leso in un diritto soggettivo, inerente allo scopo statutario, specificamente perseguito; chiede il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

Il discorso giustificativo, sviluppato dal decidente a sostegno della affermata colpevolezza del prevenuto in ordine al reato ad esso ascritto, si palesa del tutto logico e corretto, fornendo, peraltro, puntuali ed esaustivi riscontri ai motivi libellati con l’atto di appello.

Con la prima censura la difesa denuncia che l’omesso deposito da parte del p.m. delle trascrizioni integrali delle dichiarazioni rese a s.i.t. dalle minori S. e N., ha determinato violazione del diritto di difesa, in quanto ha privato la difesa stessa di avere piena cognizione del quadro completo degli atti di indagine.

La Corte sul punto afferma: nell’esordio del verbale riassuntivo delle informazioni di S.B. allegato dalla difesa, insieme alla relativa trascrizione, alla "Istanza di assoluzione ex art. 129 c.p.p.", del 9/3/2010, è chiaramente scritto "si procede alla redazione del verbale in forma riassuntiva ed alla documentazione dello stesso mediante video-audio registrazione".

Il difensore, pertanto, una volta acquisiti i verbali riassuntivi in vista dell’incidente probatorio, verbali che utilizzò per le contestazioni nel corso dell’esame delle minori, era stato posto in grado di apprendere che quelle dichiarazioni erano state anche video- registrate, con sua facoltà di reclamare il supporto magnetico, di trarneun duplicato, di provvedere alla eventuale trascrizione, facoltà di cui il medesimo difensore non si avvalse. Ne consegue che, in definitiva, anche a prescindere dalla presenza o meno delle trascrizioni delle s.i.t. tra gli atti depositati dalla pubblica accusa, nulla era stato "nascosto" alla difesa in violazione dei suoi diritti o dell’obbligo della discovery.

Peraltro, la nullità eccepita deve farsi rientrare tra quelle intermedie, per cui andava sollevata in sede di incidente probatorio, cosa che non è stata fatta, con la conseguenza che la stessa risulta sanata.

Del pari priva di pregio si palesa la contestata errata valutazione delle emergenze istruttorie, in particolare in ordine alle dichiarazioni della p.o., le cui dichiarazioni vengono ritenute credibili, in difetto di una adeguata motivazione, quando, di contro, sono evidenti le contraddizioni nel narrato dei fatti.

Dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la sentenza impugnata emerge che sia il Tribunale, che la Corte di Appello, hanno ritenuto attendibile B. e credibile la ricostruzione dei fatti, per come dalla stessa riferiti.

Il racconto della minore, ad avviso dei decidenti, è in sè coerente, immune da sostanziali contraddizioni, che ben riflette una realtà, non solo vera per essere provata, ma ad un tempo verosimile, se rapportata alla immatura personalità della quindicenne, irretita e lusingata da un uomo di trentasei anni, che occupava il suo tempo alla seriale "conquista" di ragazzine che avvicinava con modalità analoghe.

La ragazza non si fidava del tutto del M., tanto da indicare a costui quale numero civico della propria abitazione quello della casa di una compagna di scuola, sito lungo lo stesso viale (OMISSIS). Il fatto di avere aderito, di poi, a farsi accompagnare dal prevenuto in macchina non può di certo provare che la B. prevedesse quello che le sarebbe occorso di lì a poco, nè tanto meno che fosse disponibile a condividere una avventura sessuale.

Peraltro, mentre il prevenuto la baciava e la palpeggiava la minore manifestò nettamente il proprio dissenso a che costui continuasse nel suo intento, con un "no", che, anche se "strozzato", è impossibile non fosse stato percepito dall’uomo, il quale, facendo leva sul rapporto di superiorità instaurato e sulle condizioni di luogo in cui si trovava, ha continuato a soddisfare le proprie voglie, pigliando la mano di B. per farsi masturbare.

E’ evidente come la repentinità delle condotte dell’imputato, la condizione logistica e psicologica in cui si trovava la vittima, la stessa violenza, quand’anche non particolarmente forte, esercitata dall’uomo, rappresentano tutti elementi che valgono ad integrare la fattispecie di cui all’art. 609 bis c.p., comma 1.

Di non poco rilievo, ad avvalorare la attendibilità della p.o., viene ritenuto dal giudice di merito, a giusta ragione, l’intervento della S. nei confronti N.V., allorchè invitò l’amica a diffidare dell’uomo, quando seppe che il M. aveva iniziato a telefonare a quest’ultima, proponendole di incontrarla, mandandole, a mezzo cellulare, foto di lui nudo, manifestando il desiderio di avere rapporti sessuali con la minore.

Osservasi che nel momento del controllo di legittimità sulla motivazione, questa Corte non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, dovendosi limitare a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Cass. 1/10/02, Carta).

Di conseguenza, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dal giudice di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se detto decidente abbia esaminato tutti gli elementi a sua disposizione, se abbia fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbia esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6/5/03, Curcillo; Cass. 5/12/02, Schiavone ).

L’iter logico-giuridico, seguito nella sentenza impugnata, dimostra che il giudice ha giustificato la propria convinzione, applicando i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.

Con il terzo motivo di ricorso viene contestato l’omesso riscontro ad un puntuale motivo di appello, con cui si invocava la applicazione del disposto di cui all’art. 59 c.p., comma 4. Sul punto si rileva che il giudice di merito ha implicitamente ritenuto di escludere che il prevenuto potesse supporre il consenso della persona offesa all’atto sessuale, allorchè, nel valutare le emergenze istruttorie, è pervenuto a considerare impossibile che l’imputato non avesse inteso il "no" profferito dalla p.o., o compreso lo stato di annullamento psichico e fisico in cui la stessa versava, talmente profondo da rendere la minore totalmente inerte.

Le ulteriori doglianze, relative all’ingiustificato diniego della attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., alla pretestuosa mancata concessione delle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p., e alla omessa motivazione a sostegno della ritenuta sussistenza della aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5, si rivelano parimenti infondate, in quanto tutte sono state oggetto di disamina da parte della Corte distrettuale, che ha reso esaustiva giustificazione sulle scelte operate:

– la Corte di Appello ha ritenuto di negare la attenuante, ex 609 bis c.p., u.c., in considerazione del fatto che non può considerarsi di minore gravità l’avere forzato una ragazzina di 15 anni a masturbare, sino alla eiaculazione, un adulto nel chiuso dell’abitacolo di una automobile e averle, quindi, subdolamente introdotto le dita in vagina, profittando della sua situazione psicofisica;

– elementi ostativi alla concessione delle attenuanti generiche sono stati ravvisati nel comportamento vile e cinico dell’imputato, che aveva abbindolato B., col sollecitare la sua adolescenziale vanità, per poi profittare della sprovvedutezza della stessa e dello "stordimento" in cui versava per sfogare le proprie animalesche pulsioni; nonchè nel comportamento processuale del M. in cui non è dato cogliere segnali di resipiscenza;

– il luogo in cui si consumò la violenza, ove l’imputato condusse la ragazza, sconosciuto alla stessa, appartato e al riparo da occhi indiscreti, consente di ritenere correttamente contestata l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5, anche perchè la circostanza è integrata dalla semplice ricorrenza di condizioni utili a facilitare il compimento della azione criminosa, a nulla rilevando che dette condizioni siano maturate occasionalmente o indipendentemente dalla volontà dell’agente (Cass. 23/2/05, n. 14995).

Con l’ultimo motivo di ricorso viene eccepita la legittimazione del Comune di Milano a costituirsi parte civile.

Anche detta censura è infondata.

Rilevasi che in tema di legittimazione di persone giuridiche e di enti di fatto a costituirsi parte civile, la prevalente giurisprudenza di questa Corte ritiene che, quando l’interesse generico e diffuso alla tutela di un bene giuridico non sia astrattamente configurato, ma si concreti in una determinata realtà storica, diventando ragion d’essere e, perciò, elemento costitutivo di un sodalizio, è ammissibile la costituzione di parte civile di esso, sempre che dal reato sia derivata una lesione di un diritto soggettivo inerente allo scopo specifico perseguito (Cass. n. 13314/1990, Santacaterina; Cass. n. 59/1990, Monticeli).

Ciò premesso, anche per la prevenzione e la repressione delle violazioni delle norme poste a tutela della libertà di determinazione della donna è configurabile in capo al Comune la titolarità di un diritto soggettivo e di un danno risarcibile, individuabile in ogni lesione del diritto stesso, sicchè l’ente territoriale è legittimato alla costituzione de qua al fine di invocare il risarcimento dei danni morali e materiali derivati dall’offesa, diretta e immediata, dello scopo sociale (Cass. 19/6/08, n. 38835).

Nella specie il Comune di Milano ha dimostrato di vedersi riconosciuta la titolarità in questione, in quanto direttamente leso dal reato per cui è processo, nella duplice veste di ente finanziatore, nonchè diretto erogatore, di servizi specificamente rivolti alle vittime di violenza sessuale, (nella specie posti gratuitamente a disposizione della S.), e statutariamente e concretamente impegnato contro la violenza alle donne: nell’art. 5 dello Statuto l’ente territoriale ha assunto l’impegno a garantire la libertà e i diritti costituzionali, con speciale riferimento alle donne, attuando azioni positive contro la discriminazione, mediante plurime e concrete attività antiviolenza e con investimento di rilevanti risorse umane ed economiche.

Conseguentemente gli abusi sessuali ledono non solo la libertà morale e fisica della vittima della violenza, ma anche il concreto interesse del Comune di preservare il territorio da tali deteriori fenomeni, avendo esso ente posto la tutela di quel bene giuridico come proprio obiettivo primario.

Quanto osservato permette di rilevare che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto sussistente la legittimazione del predetto Comune a costituirsi parte civile, liquidando in favore di esso la somma ritenuta equa a titolo di risarcimento del danno patito.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2011

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