Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 26-07-2011, n. 29901

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. K.M. n. a (OMISSIS) imputato per i reati di cui agli artt. 609 bis, 610 e 628 c.p., L. n. 110 del 1975, art. 4, artt. 582 e 585 c.p., art. 576 c.p., n. 1, art. 61 c.p., n. 2, per avere usato violenza nei confronti di A.G. (che esercitava attività di prostituzione in (OMISSIS)) il (OMISSIS) allo scopo di congiungersi carnalmente con lei, afferrandola per i capelli (dopo il rifiuto espresso dalla donna al rapporto sessuale) facendola cadere a terra, strappandole il telefono cellulare di mano al fine di impedirle di chiamare aiuto ed impossessandosi della somma di trenta Euro, bloccandola poi sul terreno dopo una colluttazione e costringendola – con la minaccia di un coltello – alla penetrazione dopo averle abbassato con forza i pantaloni (rompendoli all’altezza della cerniera) non riuscendo a completare il rapporto sessuale per la posizione della donna e l’abbigliamento che indossava, nonchè per la reazione della vittima che alzandosi si divincolava e riusciva ad allontanarsi, causando alla stessa (al fine di commettere i reati ora indicati) lesioni personali giudicate guaribili in gg. 7 (in (OMISSIS)).

Il Tribunale di Grosseto con sentenza in data 15/7/2009 dichiarava K.M. colpevole dei reati ascritti, riuniti sotto il vincolo della continuazione e ritenuto per più grave il reato di cui all’art. 609 bis c.p., e concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti contestate, lo condannava alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese di giudizio. Dichiarava K.M. interdetto in perpetuo dai pubblici uffici nonchè da qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela. Condannava K.M. al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile costituita A.G. liquidati in complessivi Euro ventimila, nonchè alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza da detta parte civile sostenute.

2. Il tribunale così narrava i fatti di cui era processo.

Il 17 gennaio 2009 A.G. si trovava in località (OMISSIS) intenta a prostituirsi: a poca distanza si era posizionata una sua amica. I.I.O.. Dopo alcuni minuti dal loro arrivo sul posto, la A. veniva avvicinata da un ragazzo di colore che, a bordo di uno scooter scuro, le domandava il costo di una prestazione. La donna, che per ragioni personali non intendeva avere rapporti sessuali con africani, rispondeva con un diniego senza fornire spiegazioni. L’uomo dapprima si allontanava, ma subito dopo spuntava improvvisamente dalla boscaglia sottostante e aggrediva la prostituta afferrandola per i capelli: ne nasceva una colluttazione, nel corso della quale l’uomo si impossessava del telefono cellulare della donna e riusciva a farla distendere per terra e violentarla. La A., infatti, intimorita dalla condotta aggressiva del suo aggressore, aveva evitato di reagire. Nel prelevare, su invito della prostituta, il preservativo dalla borsa di quest’ultima, l’uomo si impossessava della somma di 30 Euro e di un secondo cellulare custodito al suo interno. Poichè la donna aveva indosso un indumento che rendeva più difficoltosa la penetrazione, l’uomo le intimava di liberarsene e si spostava, allentando la sua pressione, così da consentire alla persona offesa di fuggire chiedendo aiuto ai passanti e successivamente all’amica che aveva nel frattempo raggiunto.

Pochi istanti dopo faceva ritorno l’aggressore che si era allontanato a bordo dello scooter e proponeva alla A. di completare il rapporto ed offriva in cambio di restituirle i telefoni che mostrava alla donna.

A quel punto la A.si riprendeva, con una mossa repentina, i telefoni mentre .a sfilava il casco dalla testa dell’uomo ed entrambe fuggivano: l’uomo che nel frattempo si era tolto il cappuccio che gli ricopriva la testa, estraeva dalla tasca un coltello e minacciava le due donne, per poi allontanarsi in tutta fretta, dopo aver visto la A. chiamare il 113.

La I. era riuscita a scrivere il numero della targa dello scooter su un foglio di carta La Polizia conduceva la persona offesa presso il Pronto soccorso ed avviava gli accertamenti sulla base delle indicazioni fornite dalle due persone aggredite. Veniva individuato il proprietario dello scooter che risultava vivere a (OMISSIS).

I carabinieri si portavano presso la sua abitazione e ritrovavano il ciclomotore parcheggiato nei pressi. Si accertava che il mezzo era di proprietà di un cittadino straniero che lo aveva prestato al fratello il quale, tuttavia non lo aveva utilizzato, in attesa dell’acquisizione dei documenti. La mattina del fatto aveva notato la mancanza delle chiavi ed aveva supposto che fosse stato prelevato da K.M., odierno imputato che coabitava con lui. Nel prosieguo degli accertamenti i carabinieri si recavano in un appartamento confinante e trovavano l’imputato in compagnia di un connazionale che indossava una maglietta gialla sdrucita, dei pantaloni esageratamente lunghi e presentava ecchimosi sul collo. Poichè le sue caratteristiche fisiche corrispondevano a quelle descritte dalla persona offesa, i carabinieri lo conducevano in caserma ove ritrovava le due donne che nel frattempo riferivano sui fatti che erano occorsi ed entrambe riconoscevano nel K. la persona che le aveva aggredite ed aveva in particolare violentato la A.G..

Nel corso del dibattimento l’imputato – aveva negato ogni addebito, affermando di aver avuto un rapporto sessuale a pagamento con la A. e di esser stato poi avvicinato dall’amica, che gli si era offerta. Al diniego opposto dall’uomo, che non aveva più denaro, la donna lo avrebbe dapprima aggredito, quindi gli avrebbe levato il casco. Le donne sarebbero poi fuggite nel bosco non prima di avergli tirato addosso dei sassi, tanto da costringerlo ad allontanarsi precipitosamente senza riprendere il casco.

In base agli elementi raccolti veniva emessa sentenza di condanna da parte nel Tribunale, che valutava pienamente attendibili le dichiarazioni rese dalla persona offesa tra l’altro riscontrate dall’esito degli accertamenti di p.g. e dalle dichiarazioni dell’amica della A..

3. Proposto appello da parte dell’imputato, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 29.6.2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Grosseto del 15.7.2009, appellata dall’imputato, rideterminava la pena inflitta a K.M. nella misura di anni tre e mesi dieci di reclusione; confermava per il resto la sentenza appellata.

In particolare, relativamente ai profili di responsabilità penale dell’imputato, la Corte distrettuale osservava che il Tribunale aveva fornito ampiamente le ragioni dell’attendibilità della persona offesa.

Con riguardo al supplemento istruttorio richiesto dall’appellante la Corte distrettuale osservava che la congiunzione carnale fra i due, così come la colluttazione, era stata ammessa anche dall’imputato;

pertanto l’accertamento sui prelievi organici cui erano stati sottoposti sia il K. che la A. non assumeva importanza decisiva.

La Corte d’appello rivedeva poi il trattamento sanzionatorio, per adeguarlo alla reale portata del fatto,che – secondo quella Corte – non aveva determinato conseguenze particolarmente gravi.

Quindi, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata, rideterminava la pena nei termini seguenti :p. b. anni cinque, diminuita ex art. 62 bis c.p., anni tre,mesi quattro, aumentata ex art. 81 cpv c.p., di mesi due per il reato di cui all’art. 628 c.p., mesi due per il reato di cui all’art. 610 c.p., mesi uno per il reato di cui all’art. 582 c.p., mesi uno per il reato di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4. Confermava per il resto la sentenza di primo grado.

4. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con tre motivi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

Con il primo m il ricorrente denuncia l’erronea applicazione della legge penale sotto il profilo che la corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente (anche) il reato di cui all’art. 610 c.p., laddove tale reato invece era assorbito nella fattispecie più grave di cui all’art. 609 bis o in alternativa in quella del’art. 628 c.p..

Con il secondo motivo il ricorrente si duole della mancata assunzione di una prova decisiva richiesta ai sensi dell’art. 495 c.p., e in particolare censura la mancata ammissione del supplemento istruttorio richiesto solo per l’accertamento relativo al materiale biologico prelevato sotto le unghie di entrambe le mani dei protagonisti per verificare se vi fosse stata aggressione fisica dell’imputato nei confronti della parte offesa.

Col terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione. Rileva in particolare che è inverosimile che un ragazzo senegalese di corporatura alquanto esile potesse aver prevalso su una ragazza nigeriana ben più prestante di lui.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Tale è il primo motivo.

Ancorchè il reato di violenza privata sia di solito assorbito in quello di violenza sessuale, non di meno può verificarsi – ha già affermato questa Corte (Cass. pen., sez. 3^, 20 settembre 2006, De Luisa, rv. 234789), che in materia di reati sessuali, è ammissibile il concorso del reato di violenza sessuale con il delitto di violenza privata, quando quest’ultimo, pur strumentale rispetto alla condotta criminosa di cui all’art. 609 bis c.p., rappresenta un quid pluris che eccede il compimento dell’attività sessuale coatta. Nella specie la violenza privata è consistita nella condotta dell’imputato che ha strappato il telefono cellulare di mano dalla parte offesa per impedire a quest’ultima di chiamare aiuto.

Quindi correttamente i giudici di merito hanno ravvisato, oltre alla violenza sessuale (nonchè oltre alla rapina di una somma di danaro), anche una condotta ascrivibile al reato di violenza privata.

2.2. Inammissibile è poi il secondo motivo con cui si eccepisce la mancata ammissione del supplemento istruttorio richiesto dall’imputato per l’accertamento del materiale biologico prelevato sotto le unghie di entrambe le mani di imputato e parte offesa.

La rinnovazione (totale o parziale) del dibattimento, al fine di disporre una perizia, rientra nella facoltà discrezionale del giudice di appello; sicchè è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il rigetto dell’istanza di rinnovazione del dibattimento, qualora il giudice di merito abbia evidenziato la sufficienza degli elementi probatori già acquisiti (nella specie, le puntuali ed attendibili dichiarazione della parte offesa).

2.3. Parimenti inammissibile è il terzo motivo con cui viene denunciato vizio di motivazione. Deduce il ricorrente del collegio giudicante ha condannato l’imputato basandosi esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa; deduzione questa che ridonda in inammissibile censura di merito.

Questa Corte (ex plurimis Cass., sez. 3^, 13 novembre 2003 – 29 gennaio 2004, n. 3348) ha più volte affermato che in tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa, la cui deposizione, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva.

3. Pertanto il ricorso nel suo complesso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2011
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