Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 26-07-2011, n. 29900 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Nardo, con sentenza del 25/6/08. dichiarava D.P.L. colpevole del reato di cui all’art. 110 c.p., e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), e lo condannava alla pena di mesi 1 e giorni 10 di arresto ed Euro 8.000,00 di ammenda, con sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione del manufatto abusivo.

La Corte di Appello di Lecce, chiamata a pronunciarsi sull’appello avanzato nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 21/5/2010, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione la difesa del D.P., con i seguenti motivi: – ha errato la Corte di Appello a non considerare precaria l’opera realizzata dall’imputato, contrariamente alla qualifica ad essa attribuita dal TAR Puglia in due distinte ordinanze; per tale precarietà del manufatto, conseguentemente, non era necessario richiedere il permesso di costruire; – il reato risulta ormai prescritto alla data del 25/11/2010.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

Il discorso giustificativo, svolto dal decidente per pervenire alla affermazione di colpevolezza del prevenuto in ordine al reato ad esso ascritto, è logico e corretto.

Con il primo motivo di impugnazione la difesa dell’imputato ritiene non condivisibile l’assunto del giudice di merito secondo cui l’opera realizzata non sia da qualificare come precaria e, come tale, necessitante di permesso di costruire.

Dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la impugnata pronuncia emerge che la Corte distrettuale ha escluso la precarietà del manufatto, in quanto lo stesso non può essere ritenuto destinato al soddisfacimento di esigenze meramente temporanee. Il gazebo di cui trattasi risulta realizzato al fine di garantire maggiore spazio, circa 55 mq, al ristorante ed aumentarne la capacità ricettiva, tanto che la sua copertura veniva descritta nella relazione tecnica allegata alla D.I.A del 28/9/05, costituita da doghe in legno impermeabilizzate con uno strato di guaina e tegole del tipo canadese; trattasi, pertanto di una copertura, in tutta evidenza, destinata a durare nel tempo e a resistere agli eventi atmosferici, al fine di soddisfare esigenze non contingenti. Il decidente, inoltre, rileva che il manufatto in questione non risultava rimosso ancora alla data del 30/6/06, ciò rivelando che il D.P. non aveva ottemperato all’obbligo assunto. E’, peraltro, irrilevante che il gazebo fosse aperto su tre lati, in quanto, la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare la necessità del titolo edilizio in relazione a strutture simili come tettoie, stenditoi ecc, proprio perchè costituenti ampliamenti dell’immobile principale.

Oltre a quanto rilevato, il decidente ritiene che non avrebbe potuto essere rilasciato il titolo abilitativo perchè il gazebo è collocato in zona tipizzata A1, in cui possono essere autorizzate solo opere di manutenzione straordinaria o ordinaria, ma non interventi di nuova costruzione, se non a seguito di approvazione da parte del consiglio comunale di un piano particolareggiato.

Orbene si osserva che per opera precaria, che, pertanto, non necessita del permesso di costruire, si intende il manufatto che, indipendentemente dalla sua rimovibilità, risponda ad esigenze temporanee, non rilevando a tal fine la soggettiva destinazione data ad essa dal costruttore, bensì il suo collegamento ad un uso effettivamente precario, specificamente determinabile per finalità e durata, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione (Cass. 27/5/04. Polito;

Cass. 21/3/06, Cavallini).

Appare evidente che il giudice di merito ha fatto buon governo dei principi affermati da questa Corte in ordine alla corretta qualificazione ed individuazione degli elementi che permettono di qualificare precaria un’opera, elementi che nel caso in esame, come rilevato in sentenza non sono ravvisabili.

Inconferenti risultano essere le richiamate ordinanze, rese dal TAR a seguito dei ricorsi presentati dal prevenuto, avverso gli atti di diniego della D.I.A. e all’ordine di demolizione, emessi dalla autorità comunale, sia perchè pronunciate in sede cautelare amministrativa, senza che il giudice abbia vagliato il merito della questione sottoposta al suo esame, sia perchè detti provvedimenti non risultano vincolanti per il giudice penale.

Del pari priva di fondamento si palesa la eccezione di prescrizione, visto che la contravvenzione contestata risulta commessa il 31/1/06, per cui è soggetta al nuovo termine ex L. n. 251 del 2005, che è di anni 5; conseguentemente detto termine, la cui naturale consumazione si sarebbe esaurita al 31/1/2011, a causadi sospensione dovuta al rinvio del processo dall’11/12/09 al 21/5/2010 (mesi 5 e giorni 10), verrebbe a maturarsi all’11/6/2011.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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