Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 26-07-2011, n. 29899 Violazioni tributarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Monza con sentenza del 29/4/04 dichiarava L. A., M.V. e S.D. colpevoli del reato di cui all’art. 416 c.p. perchè si associavano tra loro al fine di compiere più delitti di emissione di fatture per operazioni inesistenti; nonchè di diverse violazioni della normativa di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000; il solo M. del reato di cui all’art. 81 c.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10.

Condannava il L. e il S. alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione, il M. ad anni 4 e mesi 8 di reclusione.

La Corte di Appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sugli appelli interposti nell’interesse degli imputati, con sentenza del 25/11/09, in riforma del decisum di prime cure, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati in ordine ai reati finanziari contestati, limitatamente ai fatti commessi in epoca anteriore al 15/4/2000, perchè estinti per prescrizione; ha confermato la penale responsabilità dei prevenuti in ordine al reato di cui all’art. 416 c.p.; ha rideterminato la pena per i residui delitti in anni tre e mesi 6 di reclusione per ciascuno di essi.

Propongono autonomi ricorsi per cassazione i prevenuti, con i seguenti motivi:

– il L. e il S. ribadiscono la eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Monza. contestando la interpretazione adottata dal decidente delle norme processuali in materia in caso di imputazione per il reato di cui all’art. 416 c.p.;

– le argomentazioni accusatone, svolte dal giudice di merito per pervenire alla condanna per il reato associativo, sono assolutamente prive di riscontro, come è palesemente evincibile dalle emergenze istruttorie;

– erronea applicazione dell’art. 597 c.p.p., rilevato che la dichiarata estinzione dei reati di cui alla lettera B) del capo di imputazione (limitatamente ai fatti compiuti in data anteriore al 15/4/2000) avrebbe dovuto determinare una relativa diminuzione della pena comminata, seppur in continuazione con il capo A), diminuzione non accordata dal decidente;

– il M., con un unico motivo di ricorso, eccepisce la violazione degli artt. 8, 9 e 16 c.p.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, commi 1 e 3, rilevando che nel caso di specie non possono trovare applicazione i criteri suppletivi indicati dall’art. 9 c.p.p., e art. 18 del citato decreto, ai quali impropriamente si è rifatto il giudice di merito nel motivare il rigetto della eccezione di incompetenza territoriale sollevata.

Motivi della decisione

I ricorsi sono inammissibili.

La argomentazione motivazionale. adottata dal giudice di merito, si palesa del tutto logica e corretta.

Col primo motivo di ricorso il L. è il S. eccepiscono la incompetenza territoriale del Tribunale di Monza.

La eccezione è manifestamente infondata per quanto di seguito specificato.

Per giurisprudenza costante la competenza territoriale a conoscere di un reato associativo, che è un reato di natura permanente, si radica nel luogo in cui la struttura della societas sceleris, destinata ad operare nel tempo, diventa concretamente operante, a nulla rilevando il luogo di consumazione dei singoli reati oggetto del pactum (Cass. 10/12/97, n. 6933).

Nel caso in cui non emerga con chiarezza il luogo in cui l’associazione opera o abbia operato, nè è possibile fare ricorso al sito di consumazione dei reati fine, trova applicazione l’art. 9 c.p.p., comma 3 (Cass. 7/12/05. n. 45388).

La costituzione di una associazione per delinquere non si verifica nel momento in cui avviene l’accordo, ma in quello della costituzione di una organizzazione permanente frutto del concerto, anch’esso a carattere permanente, di intenti e di azioni tra associati: in tale momento si realizza quel minimum di mantenimento della situazione antigiuridica, necessaria alla sussistenza del delitto di costituzione di associazione di cui all’art. 416 c.p.. Solo se difetta la prova relativa al luogo ed al momento della costituzione della associazione soccorrono criteri sussidiari.

Infatti il luogo del semplice accordo criminoso non è sufficiente per radicare la competenza trattandosi di criterio eccessivamente generico; si richiede qualcosa di più preciso e concreto, da individuarsi nel posto in cui è avvenuta la costituzione della associazione, ovvero quello ove si svolge l’attività organizzativa- decisionale della associazione, ovvero di prima esternazione del sodalizio criminoso o di concretizzazione dei primi segni di operatività, sintomatici della origine della associazione nello spazio.

Nel caso di specie, il decidente evidenzia che il luogo in cui si è svolta l’attività organizzativa-decisionale della condotta criminosa è Seregno, città in cui il M. aveva il proprio ufficio e esercitava la attività professionale di commercialista, coordinando la contabilità delle varie società e svolgendo una funzione di supporto costituita dal cambio e dalla monetizzazione degli assegni ricevuti in pagamento dagli utilizzatori finali, ovvero degli assegni provenienti dalle varie società coinvolte nella illecita attività.

Pertanto, era proprio lo studio del M. il posto in cui gli imputati avevano possibilità o occasione di incontrarsi e/o correlarsi tra loro, stabilmente in modo continuativo.

Ad avviso del decidente elemento a sostegno della irrilevanza della sede sociale delle varie società coinvolte, quale criterio utile al fine di individuare la competenza territoriale in ordine al reato di cui all’art. 416 c.p., è costituito dal contenuto del verbale di perquisizione, redatto, in data 13/9/2000, nei locali della Sistemi s.a.s. di Milano, presso cui sono state domiciliate, nel corso del tempo, la Elleesse Sidermeccanica s.r.l., la Elle Meccanica s.r.l., la Glifada s.r.l. e la J.F. Marvin s.r.l., visto che in tale occasione il rag. Montichi, presente alla perquisizione, ha dichiarato che tutte le suddette società facevano capo al M.;

che la documentazione fiscale e contabile ad esse relativa non era mai stata ivi depositata e che lì veniva unicamente recapitata della corrispondenza, che era ritirata successivamente dal predetto M..

Di poi, sempre dal verbale di perquisizione si evince che società con sede formale altrove, in realtà avevano acceso i propri conti correnti presso istituti di credito operanti nell’ambito territoriale di competenza del Tribunale di Monza; che su tali conti correnti operavano i principali imputati del procedimento e che costante e continuativo punto di riferimento era il ruolo del M., presso il cui studio avveniva la registrazione delle fatture, pur materialmente compilate altrove. Ad avviso del giudice di merito, quindi, allo stato degli atti, deve ritenersi la competenza dell’Autorità Giudiziaria di Monza. in quanto è in Seregno che la organizzazione ha acquisito quelle caratteristiche di permanenza e di concretezza da legittimare la contestazione del reato di cui all’art. 416 c.p., ed è, comunque, in tale ambito territoriale che venivano concretamente poste in essere anche le movimentazioni finanziarie, tese a conseguire i profitti cui l’accordo associativo era finalizzato.

Orbene, si osserva che, secondo il dettato della L. n. 516 del 1982, art. 11, la competenza per territorio è determinata dal luogo di accertamento del reato; tale principio è riprodotto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18.

Nondimeno bisogna guardare al reato associativo che. essendo più grave, spiega la propria actractiva sui reati fiscali.

Nella fattispecie, con riguardo ai criteri di cui agli artt. 8 e 9 c.p.p., non vi è dubbio che non essendo possibile stabilire dove sia sorto l’accordo, l’elemento che contraddistingue l’associazione è proprio la base operativa, che è il luogo in cui si è svolta la condotta, individuato, a giusta ragione, in Seregno, ove è risultato che il M. svolgesse la propria attività di commercialista, detenendo tutta la documentazione fiscale del sodalizio e gestendo le operazioni illecite.

Con il secondo motivo di ricorso il L. ed il S. contestano la sussistenza di emergenze istruttorie atte a comprovare la concretizzazione del reato di cui all’art. 416 c.p., a loro ascritto. Sul punto la Corte territoriale evidenzia la durata della attività criminosa, circa sei anni, svolta con modalità costanti, elemento questo connotante la stabilità dell’accordo tra i correi, che esclude che la condotta dei prevenuti possa configurare una ipotesi di concorso di persone in reati fiscali, come sostenuto dalla difesa.

Il criterio distintivo, infatti, tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato si fonda nel carattere dell’accordo criminoso, che. nella seconda ipotesi, si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati, con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo dei correi; mentre nella prima, l’accordo criminoso risulta diretto alla attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, ciascuno dei quali ha la costante consapevolezza di essere associato alla attuazione di detto programma, anche indipendentemente e al di fuori della effettiva commissione dei singoli reati (Cass. 20/1/99, n. 3340).

Nella specie, ad avviso del decidente, il modus operandi simile per tutti i reati rende evidente che alla base della emissione delle fatture vi fosse una struttura stabile e duratura, idonea a supportare attività ben definite nei mezzi e nelle finalità.

Gli imputati L. e S., rivestivano il ruolo di amministratori delle società, il primo della Posider Maut e della Elle Meccanica, il secondo della Elleesse Sidermeccanica. in concreto, poi, ciascuno amministrava di fatto tutte le società interessate.

Quanto all’elemento psicologico, la durata della attività illecita, le modalità delle varie operazioni, l’ammontare considerevole delle somme evase, lo scambio dei ruoli all’interno delle predette società, rappresentano tutti indici rilevatori della consapevolezza di ciascuno degli imputati delle finalità di evasione fiscale e della partecipazione ad un programma stabile e duraturo. Da quanto osservato emerge che il giudice di merito correttamente ha ritenuto provata la cristallizzazione degli elementi concretizzanti il delitto di cui all’art. 416 c.p., nonchè la responsabilità dei prevenuti in ordine al reato de quo.

Con il terzo motivo di ricorso si contesta la erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 597 c.p.p., visto che il giudice non ha proceduto alla dovuta diminuzione della pena per il capo B) di imputazione, in dipendenza della dichiarata prescrizione di alcuni degli episodi rientranti nel predetto capo di imputazione.

La censura è del tutto priva di fondamento: il Tribunale aveva inflitto a L. e S. la pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione ciascuno, considerando pena base anni 4, diminuita a 3 anni, aumentata ad anni 4 e mesi 6 per i capi B), C) e D).

La Corte di Appello ha ridotto la pena ad anni 3 e mesi 6 di reclusione per ciascuno, individuando quale pena base anni 4 di reclusione, ridotta per le attenuanti generiche in anni 3. aumentata per la continuazione di mesi 3, per ciascun reato di cui sub B) e D);

la riduzione, pertanto è stata applicata correttamente, ai singoli aumenti ex art. 81 c.p. (da mesi 6 a mesi 3).

La difesa del M. come motivo di ricorso solleva la eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Monza, in ordine alla quale valgono le osservazioni già sviluppate a riscontro del medesimo motivo libellato nella impugnazione degli altri ricorrenti.

Rilevasi che i reati risultano ad oggi prescritti, successivamente alla pronuncia di seconde cure, ma la inammissibilità dei ricorsi dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità ai sensi dell’art. 129 c.p.p. (Cass. S.U. 21/12/2000, De Luca).

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il L., il S. e il M. abbiano proposto i ricorsi senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, gli stessi, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., devono, altresì, essere condannati al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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