Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-12-2011, n. 27777 Opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con citazione in opposizione a d.i. So.Ma. conveniva la ditta 2 G di G.G., l’arch. S. ed i geom. P., in relazione ad un credito vantato dalla ditta a saldo di merce fornita per la costruzione di un appartamento, deducendo di non dover nulla,avendo avuto rapporti solo col P. e col S. quali committenti dei lavori dell’edificio all’interno del quale si trovava anche il suo appartamento; molti dei lavori non erano a regola d’arte e doveva essere mantenuto indenne dai due professionisti in quanto costruttori – venditori di quanto costretto a pagare alla 2G. I convenuti contestavano l’opposizione, il S. ed il P. svolgerai riconvenzionale in ordine a quanto ancora dovuto per l’acquisto dell’appartamento.

Il Pretore concedeva la provvisoria esecuzione, istruiva la causa con ctu e assunzione di testi e , con sentenza parziale 29.1.1998, dichiarava la propria incompetenza in ordine alla riconvenzionale e rimetteva sul ruolo per chiarimenti del ctu.

Attribuita la causa al GP di Pontedera questo, con sentenza 477/2000, respingeva l’opposizione al d.i., estrometteva il S. ed il P.; decisione appellata dal So. e riformata dal Tribunale di Pisa con sentenza 215/2005, che condannava S. e P. a rendere indenne il So. da tutte le somme che sarà tenuto a pagare alla 2G nonchè a rifondergli le spese, rigettando l’appello della 2G e dichiarando inammissibile l’incidentale della stessa, con condanna del So. nei confronti della 2G. Il Tribunale distingueva i rapporti con la 2G e quelli interni col S. ed il P.. Sotto il primo profilo vi era un mandato scritto del So. e degli altri acquirenti al S. ed al P. a procedere in loro vece a stipulare contratti di appalto con ditte idonee, ferme restando le condizioni di pagamento disciplinate nei preliminari di vendita.

Le stesse deduzioni della difesa del S. e del P. erano nel senso che gli acconti venivano versati agli appellati che li giravano alle ditte, le quali rilasciavano fatture all’appellante, somme che, stando alla sentenza, servivano a costituire la provvista con cui i tecnici pagavano le imprese ma non rappresentavano il rimborso delle spese.

Ricorrono S. e P. con tre motivi, resiste So..

Motivi della decisione

Col primo motivo si lamenta violazione dell’art. 1362 c.c., perchè non si è tenuto conto che gli atti immediatamente successivi a quello del 27.10.1989 definito preliminare, ivi compreso il mandato, hanno costituito una novazione, come risulta dalla lettera doc. 1 di cui alla comparsa di risposta di primo grado, non smentita dal So..

Non si riportano gli atti indicati.

Col secondo motivo si denunziano violazione dell’art. 934 c.c., e segg., ed omessa considerazione degli elementi probatori, perchè una volta acquistata la proprietà del suolo il So. diventa ipso iure proprietario della costruzione.

Col terzo motivo si deducono vizi di motivazione in ordine al titolo secondo il quale i ricorrenti avrebbero riscosso le somme, posto che le fatture erano emesse nei confronti del So..

Le censure, come proposte, non meritano accoglimento.

La decisione impugnata si fonda prioritariamente sulla interpretazione delle scritture e fa leva sulla circostanza che il mandato a procedere invece degli acquirenti a stipulare contratti di appalto con ditte manteneva ferme le condizioni di pagamento contenute nei preliminari.

Appare evidente anche il profilo fiscale sotteso a simile previsione che comportava alla fine dell’operazione una fatturazione per la vendita di importo minore.

Ciò premesso, la prima censura, non autosufficiente, non riportando le pattuizioni ed i documenti invocati, non consente di valutare gli asseriti effetti novativi e non tiene conto che l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dall’art. 1362 c.c., e segg., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

Nè può utilmente invocarsi, come sembra dai ricorrenti, la mancala considerazione del comportamento delle parti.

Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nell’art. 1362 c.c., comma 1 – eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 c.c., per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicchè non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti – ciò che è stato fatto nella specie dal tribunale, con considerazioni sintetiche ma esaustive – detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario dell’art. 1362 c.c., comma 2, che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389).

Le ulteriori censure, in parte nuove, sono inidonee a ribaltare la decisione criticata, fondandosi su deduzioni che intendono prescindere dalla interpretazione degli atti indicati.

In definitiva il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese liquidate in Euro 1.200,00 di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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