Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 26-07-2011, n. 29898

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Gip presso il tribunale di Roma con sentenza del 12/02/2009 dichiarava R.A. responsabile dei reati ascritti in rubrica ai capi A) e C) – rispettivamente di costrizione alla prostituzione, con violenza e minaccia, della minore P.A. e di reclutamento, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di Po.El.Ot. – e R.C.E. e U.M. responsabili del reato ascritto al capo A) in rubrica e concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e ritenuta la continuazione dei reati sub A) e sub C) per R.A. nonchè per tutti la diminuzione del rito, condannava R.A. alla pena di anni quattro e mesi 6 di reclusione ed Euro 12.000 di multa, R.C.E. alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 10.400 di multa, U.M. alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 10.400 di multa, oltre spese; assolveva R.A. dal reato ascritto sub B) – di violenza sessuale in danno della P. – perchè il fatto non sussiste; applica a ciascuno dei tre imputali la pena accessoria dell’interdizione dai PP. UU. per la durata della pena.

Il Gup evidenzia come elementi di prova idonei alla condanna le dichiarazioni rese dalla parte lesa minore, anche in incidente probatorio, ritenute attendibili, anche perchè assistite da riscontri esterni.

2. Il procedimento penale trae origine dalla denuncia presentata da P.A., in occasione della degenza presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di (OMISSIS) per una minaccia di aborto. La giovane età della ragazza, allora di quindici anni, ed il rifiuto del ricovero, aveva richiesto al personale medico l’accertamento su chi avesse la potestà sulla ragazza, che a era stata accompagnata presso l’ospedale da tale F.F.. Interessata la locale Questura, la ragazza era stata inizialmente restia a raccontare la propria vicenda e solo successivamente quando le erano state contestate le difformità tra la sua rappresentazione dei fatti e quella resa da F.F., anch’egli inizialmente ritroso a raccontare i fatti, la P.A.A. aveva denunciato di essere stata condotta in Italia da R.A., che aveva conosciuto in Romania con il quale aveva in quel paese appena allacciato una relazione sentimentale. La giovane aveva ribadito poi il suo racconto sia nel corso della deposizione davanti al pubblico ministero, sia davanti al gip, nella fase dell’incidente probatorio, sempre, secondo il Gup, mantenendo ferme le dichiarazioni rese. Nel corso delle dichiarazioni alla pg del 14 dicembre 2007, alle ore 16.00, che seguono di poche ore quella in cui aveva reso dichiarazioni menzognere, nelle quali non faceva menzione nè del proprio passato di prostituta, nè della relazione con il F., chiariva di avere mentito sia per paura di ritorsioni nei confronti dei propri familiari in Romania, sia per paura di danneggiare il F.F., con il quale intratteneva una relazione e che l’aveva aiutata, ed al quale aveva inizialmente nascosto essendo minorenne e sino a che aveva potuto, la sua età anagrafica.

Venendo alle specifiche dichiarazioni accusatorie nei confronti del R.A., la giovane riferiva che costui lavorava in Italia e che lo aveva incontrato in Romania e che gli era stato presentato da un ragazzo che conosceva solo di nome, tale B.; lei proveniva da una famiglia economicamente molto modesta, e R.A. le aveva promesso che le avrebbe trovato un lavoro in Italia come cameriera in qualche bar; si era fidata di lui, aveva abbandonato la famiglia di origine e lo aveva seguito.

La minore era quindi giunta in Italia nel (OMISSIS) insieme al R., viaggiando in macchina, ed al suo arrivo era stata condotta a (OMISSIS) presso l’abitazione di R.C.E., madre di R.A., con la quale questi coabitava.

R.A. non le aveva trovato il lavoro di cameriera che le aveva promesso, ed invece era stata oggetto di pressioni da parte di entrambi, madre e figlio, affinchè si prostituisse; affermava che i due inizialmente le prospettavano che se si fosse prostituita avrebbe avuto la disponibilità di parecchio denaro ed avrebbe potuto anche aiutare economicamente i propri familiari, poi si erano indispettiti per il per il suo rifiuto e cercavano di fiaccare la sua volontà con continue percosse. R.A. la picchiava "quasi tutti i giorni", mentre la madre più di rado "ogni due o tre giorni", in una settimana "tre o quattro schiaffi" preciserà successivamente, perchè non ubbidiva alle sue proposte e rispondeva male. Nel periodo di permanenza presso quell’abitazione, durato circa un mese, aveva avuto almeno due rapporti sessuali con il R.A., il quale, urlava spazientito, perchè lei accampava scuse per sottrarsi;

seguono poi dichiarazioni relative a tali rapporti sessuali, che oggi più non interessano, avendo il Gup assolto l’imputato dalla contestazione di violenza sessuale. Tornando alle dichiarazioni accusatone, affermava che poichè lei manifestava continui segni di ribellione al ruolo di prostituta i due R. pensarono di fiaccarne ogni residua resistenza grazie all’intervento di U.M., a lei presentato come U. o A., il quale, a tal fine, l’avrebbe condotta una sera in un parco deserto picchiandola con violenza, alla presenza compiaciuta e divertita del R.A., il quale "rideva in faccia, era felice"; riferiva che tale pestaggio probabilmente era stato scatenato da una sua reazione più violenta alla loro attività d’intimidazione, allorchè aveva minacciato madre e figlio che li avrebbe denunciati. Precisava poi che il R. in quell’occasione l’aveva condotta a (OMISSIS) a casa di U.M.; nel corso della stessa giornata i due avevano iniziato a dirle che avrebbe dovuto prostituirsi, U.M. le aveva immediatamente dato un pugno sul volto, poi allorchè divenne buio, l’avevano fatta uscire con loro e l’avevano condotta, utilizzando l’autovettura BMW grigia tg (OMISSIS) dell’ U., in un parco dove entrambi l’avevano colpita con calci pugni e schiaffi, sino a che doveva avere perso i sensi, perchè si era risvegliata presso la dimora di U.M., dolorante e con dei lividi.

Precisava che al parco a quell’ora non c’era nessuno e riteneva di essere stata condotta in quel luogo e di non essere stata aggredita all’interno dell’abitazione, in modo che i vicini non potessero udire le sue grida. Dopo quell’aggressione aveva avuto paura a continuare nel suo atteggiamento di rifiuto, (chiarirà successivamente che non furono le botte a fiaccarne la volontà quanto le minacce dirette ai suoi familiari) ed era stata costretta ad acconsentire a prostituirsi in loro favore.

Quindi quella stessa sera R.A. l’aveva accompagnata sulla (OMISSIS), dove le aveva spiegato che le due ragazze che si prostituivano per conto di U.M. le avrebbero indicato il luogo ove prostituirsi e l’avrebbero ragguagliata su come si sarebbe dovuta comportare con i clienti.

Da allora si era prostituita tutti i giorni sulla (OMISSIS).

In quel periodo ancora dimorava presso l’abitazione di R.C. E. dove aveva fatto ritorno. Poichè dalle indagini risultava che il giorno 9 giugno 2007 era stata controllata dalla ps sul luogo di prostituzione, chiariva al gip che tale controllo era avvenuto uno o due giorni dopo il pestaggio.

Affermava poi che dopo circa un mese la R.C.E. l’aveva cacciata di casa, perchè lei non acconsentiva a prostituirsi. Nel corso dell’incidente probatorio chiariva il senso della deposizione laddove afferma che comunque era costretta a prostituirsi ma ciò faceva contro voglia e minacciando che non lo avrebbe più fatto.

Dopo che si erano allontanati dalla casa di (OMISSIS), la R. C.E. si era allontanata anche lei per qualche giorno per recarsi in Romania. Lasciata la casa della R.C.E., R.A. l’aveva condotta a (OMISSIS) presso l’abitazione di U.M., dove aveva dimorato per un mese e mezzo due mesi, sino alla sua fuga. Aggiungeva che U. sfruttava in proprio due ragazze, una certa Ra. di 22 anni ed una tale C. di appena quindici anni e che con entrambe U. intratteneva una sorta di relazione sentimentale. Sarebbe stata quindi costretta a prostituirsi per circa due mesi fino alla fine circa di agosto 2007. R.A. provvedeva ad accompagnarla, la riforniva di profilattici, di mutandine succinte e di una maglietta da indossare senza nient’altro sopra. Usciva insieme alle due ragazze che si prostituivano in favore di U.M. intorno alle ore 18.30 e si prostituivano sino alle 4.00 – 5.00 del mattino; il R.A. la muniva anche di 40 profilattici a notte ed in poche occasioni era riuscita ad avere anche 30-40 rapporti sessuali ogni notte, dietro corrispettivo di Euro 30 a prestazione. Aggiungeva che nei giorni in cui non riusciva a guadagnare almeno Euro 1000,00 veniva sistematicamente picchiata dal R.A., cosa che accadeva di frequente, in quanto riusciva a racimolare tale somma solo due o tre volte nel corso di una settimana. Riferiva anche delle minacce di R.A. consistite nel prospettarle che se non si fosse prostituita avrebbero fatto del male ai suoi genitori ed alle sue tre sorelle che vivevano in Romania. Il raggiungimento del posto di lavoro era connotato da prudenza, in quanto le tre ragazze uscivano separatamente dai loro sfruttatori, i quali a loro volta uscivano insieme a bordo della BMW, poi poco distante, le caricavano in macchina e le portavano alla stazione ferroviaria della (OMISSIS) e poi le tre prostitute proseguivano il tragitto sino alla Salaria con mezzi pubblici. Le ragazze portavano con loro una valigetta contenente abiti succinti che indossavano sul luogo di lavoro. 1 due separatamente controllavano il luogo dove lei e le due ragazze di U.M. si prostituivano, a bordo della vettura posseduta da ciascuno. L’ U. utilizzava una BMW di colore grigio chiaro con targa iniziale (OMISSIS) ed il R. aveva invece una Seat Ibiza di colore rosso. I due avevano stabilito in otto minuti il tempo deputato per ogni rapporto, temendo che l’impiego di un tempo ulteriore potesse essere indicativo dell’allaccio di una qualche relazione amicale con il cliente e che per tale via lei e le altre potessero fuggire. Consegnava tutti i denari guadagnati a R.A., il quale occasionalmente lo rimetteva alla madre se costei gliene faceva richiesta, altrimenti li dava in custodia alla nonna. Non tratteneva alcuna somma per sè.

Invece U.M. lasciava alle sue due prostitute la disponibilità di Euro 100,00 al giorno, oltre al denaro necessario per la far spesa. Occasionalmente e solo su richiesta del R., aveva consegnato il denaro guadagnato a U.M., poichè il R.A. era assente. Non era mai stata picchiata davanti alle due ragazze. Da una conversazione che aveva avuto modo di ascoltare tra R.A. ed un suo connazionale aveva compreso che il primo aveva da saldare un debito pari a Euro 300,00 dei cinquemila inizialmente dovuti, con il secondo, perchè si era adoperato per averli fatti incontrare, nella sostanza la aveva indicata a R. A., quale soggetto abbordabile e da avviare alla prostituzione e che in tal modo era da intendere che era stata venduta a R. A.. Su questo punto il Gup osserva che trattasi di dichiarazioni poco chiare, verosimile frutto delle deduzioni della giovane.

Affermava infine la P. di aver conosciuto il F.F. sul luogo di lavoro sulla (OMISSIS) e di essersi confidata con lui, che l’avrebbe quindi aiutata a sfuggire ai suoi sfruttatori verso la fine di agosto del 2007, portandola con sè nella propria abitazione di (OMISSIS). Sulle modalità della fuga puntualizza al terzo incontro con il F.F. si era confidata con costui e che e per fuggire aveva approfittato del fatto che U.M. e R. A. si trovavano in Romania, per reclutare un’altra ragazza al posto di C. che era andata via. Nel corso dell’incidente probatorio precisava che R.A. era partito da circa due settimane. Successivamente in data 22 febbraio 2008 ribadiva le accuse mosse e precisava il ruolo assunto da R.C.E.:

dopo le blandizie sul matrimonio con il figlio e sulla necessità di prostituirsi per guadagnare e comprare la casa coniugale, le veniva prospettato che le avrebbero lasciato la disponibilità di Euro 1000,00 mensili, ed al suo rifiuto la madre era passata alle vie di fatto schiaffeggiandola sul viso; e aveva avuto modo di no tare in due occasioni che R.A. aveva consegnato alla madre il denaro da lei guadagnato. Precisava che nè R.A., nè U.M. prestavano alcuna attività lavorativa, dormivano tutto il giorno, e che il denaro di cui R. disponeva proveniva dalla propria attività di prostituta.

La polizia giudiziaria individuava l’abitazione in (OMISSIS), ove la giovane aveva detto di aver abitato in una prima fase presso la R. e il R.; trattasi della casa sita in via (OMISSIS), ove effettivamente alloggiava la R. con il figlio.

Veniva effettuato, in data 21.02.2008, un controllo in detto alloggio e nello stesso, unitamente alla R.C., è stata rinvenuta la rumena PO.El.Ot., anch’ella prostituta. Tale giovane ha reso dichiarazioni che secondo il Gup costituiscono un riscontro a quelle rese dalla P.A.A., in quanto sovrapponibili alle prime. Infatti, la PO. dichiarava di essere giunta in Italia nel settembre 2007 accompagnatavi da R.A. da lei conosciuto in Romania verso la fine di agosto del 2007 e con il quale si era subito fidanzata e di aver aderito alla sua proposta di farla prostituire in strada in Italia proposta che la giovane avrebbe accettato di buon grado in quanto costui le prometteva che quando avessero fatto i soldi necessari per comprare una casa si sarebbero sposati. Giunti in Italia R.A. l’aveva subito portata in (OMISSIS) presso l’abitazione della madre R.C.E., e, dopo circa una settimana, aveva iniziato a prostituirsi sulla (OMISSIS). Il R.A. inizialmente utilizzava una Seat Ibiza di colore rosso, successivamente, la settimana precedente aveva acquistato una BMW di colore grigio scuro, con la quale, dandole un appuntamento in un luogo concordato, la accompagnava su luogo di lavoro, in quando uscivano dalla medesima abitazione separatamente.

Nel prosieguo la Po. nel corso dell’esame reso dinanzi al GIP affermava di essere stata mal interpretata nelle sue precedenti dichiarazioni affermando di non aver in realtà ricevuto alcuna proposta da parte del R.A. di venire a prostituirsi in Italia. Per tale ritrattazione la Po. veniva incriminata per falsa testimonianza e poi patteggiava la pena.

3. R.A., R.C.E. e U.M. proponevano appello avverso la sentenza del Gup. Nell’appello per il R.A. si chiede l’assoluzione, censurandosi la valutazione di attendibilità della parte lesa, che in realtà aveva reso plurime dichiarazioni contrastanti, nonchè la valutazione di attendibilità della Po., che non aveva confermato le precedenti dichiarazioni accusatorie nei confronti dell’imputato; in subordine, le attenuanti generiche dovevano essere valutate come prevalenti e la pena ridotta.

Nell’appello per la R. si censura parimenti la valutazione di attendibilità della P., che aveva reso dichiarazioni non convergenti e non congruenti rispetto alla collocazione temporale dei fatti e comunque configgenti con il fatto – ritenuto provato – che la R. era partita per la Romania il giorno 7 giugno 2007 e che era rimasta in Romania fino almeno al 27 giugno; inoltre non emergeva in modo positivo il ruolo di concorrente nel reato; si imponeva quindi una assoluzione; in subordine si chiedeva la prevalenza delle concesse attenuanti generiche e una riduzione della pena.

Nell’appello per il latitante U. si censura, parimenti, il giudizio di attendibilità della parte lesa, che invece aveva reso diverse, contrastanti e menzognere dichiarazioni e che si era determinata alla formulazione del suo racconto accusatorio non spontaneamente, bensì, con animosità verso il R., solo sotto la spinta e motiva di evitare guai personali a se stessa e al nuovo convivente; anche dal punto di vista intrinseco, soprattutto rispetto allo U., le accuse erano implausibili e comunque prive di qualsiasi riscontro esterno, tali non essendo quelli indicati in sentenza; in subordine, anche tenuto conto del ruolo marginale dello U., la pena era eccessiva.

La Corte d’appello di Roma con sentenza del 25 giugno 2010 rigettava l’appello.

4. Avverso questa pronuncia gli imputati propongono tre distinti ricorsi per cassazione.

Motivi della decisione

1. R.A. e R.C. hanno proposto due ricorsi speculari con un unico motivo con cui denunciano la mancanza e manifesta logicità della motivazione dell’impugnata sentenza perchè la penale responsabilità di essi imputati si basa esclusivamente sulle dichiarazioni della parte offesa, soggetto portatore di un interesse diametralmente opposto e contrario a quello degli imputati.

Si tratta di dichiarazioni sostanzialmente inattendibili in ordine ai punti di rilievo penale. I ricorrenti evidenziano che le dichiarazioni rese dalla persona offesa sono caratterizzate dalla occasionalità del racconto, dalla distanza di tempo dai fatti e dall’originaria ritrosia della parte offesa. Sono tre elementi questi che fanno dubitare dell’attendibilità della parte offesa. I ricorrenti poi evidenziano che l’altra parte offesa che inizialmente aveva ammesso di aver aderito alla proposta del R. di farla prostituire in Italia aveva ritrattato.

Anche il terzo imputato U. ha proposto ricorso articolato in cinque motivi.

Con i primi due motivi il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 600 bis e 607 sexies c.p., oltre che vizio di motivazione. Deduce che la parte offesa è portatrice di un forte risentimento nei confronti dell’imputato e di interessi antagonistici con quelli di quest’ultimo sicchè il controllo dell’attendibilità della sua deposizione deve spingersi fino al punto di procedere al riscontro con altri elementi. Nella specie gli elementi di riscontro indicati dalla Corte d’appello non sono tali da confermare l’attendibilità della parte offesa.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando le stesse norme, deduce che le risultanze probatorie comunque non raggiungono la certezza oltre ogni ragionevole dubbio della sua colpevolezza.

Con il quarto e quinto motivo il ricorrente, denunciando sempre la violazione degli artt. 600 bis e 600 sexies, nonchè del vizio di motivazione, censura la sentenza della corte d’appello nella parte in cui ha confermato la sentenza di primo grado quanto alla pena inflitta ritenendo di non effettuare un giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche; diniego questo che sarebbe immotivato o comunque ingiustificato.

2.1 ricorsi sono inammissibili perchè complessivamente muovono censure di fatto all’impugnata sentenza esprimendo un dissenso valutativo in ordine a quello che è il punto centrale della affermazione della penale responsabilità degli imputati fatta dai giudici di merito, in termini conformi, sia di primo grado che d’appello, e che attiene alla attendibilità attribuita alle plurime dichiarazioni della parte lesa minore.

Si tratta di una valutazione in fatto, ampiamente motivata, contenuta nella sentenza impugnata, non censurabile in sede di giudizio di legittimità; mentre le difese dei ricorrenti invocano nella sostanza una nuova valutazione di merito che è inammissibile nel giudizio di cassazione non ricorrendo l’ipotesi, eccezionale e residuale, della manifesta illogicità, non senza considerare tra l’altro che le difese dei ricorrenti non hanno neppure specificamente e testualmente denunciato i punti della motivazione che si porrebbero in insanabile contrasto con altri punti della medesima pronuncia.

Infatti il vizio di motivazione di una sentenza ex art. 606 c.p.p., lett. e), sussiste solo allorchè essa mostri, nel suo insieme, un’intrinseca contraddittorietà ed un’obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto il giudice di merito alla formazione del proprio convincimento; ossia presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi e l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto alla base della decisione adottata.

Quindi il controllo in sede di legittimità dell’osservanza dell’obbligo della motivazione non può trasmodare in una inammissibile rinnovazione del giudizio di merito; nè può servire a mettere in discussione il convincimento in fatto espresso nella sentenza impugnata, che come tale è incensurabile, ma costituisce lo strumento attraverso il quale è possibile valutare la legittimità della base di quel convincimento; sicchè il vizio di motivazione non sussiste quando il giudice abbia semplicemente attribuito agli elementi vagliati un significato non conforme alle attese ed alle deduzioni della parte.

3. Nella specie la sentenza impugnata ha dato sufficiente e non illogica motivazione del convincimento dei giudici di merito in ordine alla penale responsabilità degli imputati motivando la ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della parte lesa, la cui narrazione degli abusi subiti è stata sopra esposta, abusi che delineano condotte di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della sua prostituzione, minorile, addebitabile a R.A. con il concorso della madre R.C.E. e dello U.; tanto più che – come ha puntualmente osservato la Corte distrettuale – in sede di giudizio abbreviato gli imputati hanno rinunciato a indicare concreti elementi di prova contraria, scegliendo di affidarsi solo a valutazioni critiche di alcuni particolari – non decisivi – delle dichiarazioni accusatone.

In particolare poi la Corte d’appello ha anche individuato elementi oggettivi di positivo riscontro di quanto riferito dalla parte offesa P..

Un primo dato – ha osservato la Corte territoriale – è che la P., minorenne, effettivamente si prostituiva nel mese di (OMISSIS) lungo la via (OMISSIS): vi è infatti il controllo di polizia effettuato in data (OMISSIS), allorchè la P. fornì anche le false generalità di B.A. nata il (OMISSIS). Tale accertamento e la data in cui avvenne è compatibile con la data di arrivo in Italia riferita dalla giovane ((OMISSIS)); ed è altresì congruente con la parte della narrazione che colloca tale controllo uno o due giorni dopo che la giovane, cedendo all’azione della istigazione a prostituirsi, aveva accettato di farlo dopo le iniziali resistenze prima alle blandizie dei R. e poi alle minacce e percosse; accettazione che la giovane riferisce essere avvenuta definitivamente dopo il "pestaggio" ricevuto dall’ U., presente il R..

Il secondo dato – ha prosegue la Corte territoriale – proviene dalle dichiarazioni dei due R., i quali pur negando i fatti, hanno riconosciuto che la P. era stata loro "ospite" nella abitazione di (OMISSIS), sicchè resta confermato che la giovane si prostituiva proprio nel periodo in cui viveva in casa dei R..

Il terzo dato – ha ulteriormente rilevato la Corte territoriale – proviene dall’accertamento della polizia giudiziaria nella casa di (OMISSIS) dei R. in data 21.2.2008 e dalle immediate dichiarazioni rese dalla – anch’essa prostituta – Po. rinvenuta in quella casa insieme alla R. e che riferì alla p.g. di essere giunta in Italia nel settembre 2007 accompagnatavi da R. A. da lei conosciuto in Romania verso la fine di agosto del 2007, con il quale si era subito fidanzata, e di aver aderito alla sua proposta di farla prostituire in strada in Italia; proposta che la giovane avrebbe accettato di buon grado in quanto costui le prometteva che, quando avessero accumulato i soldi necessari per comprare una casa, si sarebbero sposati. Giunti in Italia R. A. l’aveva subito portata in (OMISSIS) presso l’abitazione della madre R.C.E., e, dopo circa una settimana, aveva iniziato a prostituirsi sulla (OMISSIS).

Inoltre è risultato confermato che effettivamente la P. ben conosceva il modus vivendi degli imputati: abitazioni e automobili in possesso del R. e dell’ U., ottenendosi così un riscontro esterno individualizzante delle accuse mosse ai due. Inoltre è risultato dal narrato della Po. la conferma totale del modus operandi del R., identico a quello che la P. ha affermato essere stato posto in essere nei suoi confronti: il contatto in Romania con promessa di futuro matrimonio, il collocamento in Italia nella abitazione della R.C., la "preparazione" per circa una settimana, la successiva prostituzione in via Salaria, con le medesime modalità precauzionali, e cioè l’uscita separata dalla abitazione di (OMISSIS) e l’accompagnamento in via (OMISSIS). La coincidenza di modus operandi – ha rimarcato la Corte d’appello – conferma ulteriormente l’attendibilità della narrazione della giovane P. in punto di favoreggiamento e sfruttamento della sua prostituzione.

4. La Corte d’appello ha poi anche considerato specificamente la posizione dell’ U. per ribadire le già formulate osservazioni sulla complessiva attendibilità della P., non senza ulteriormente considerare che la P. ha dimostrato di ben conoscere l’ U., la sua attività e i suoi rapporti di colleganza con il R. nella gestione parassitaria della altrui prostituzione;

la stessa ha abitato, dopo esservi stata portata dal R., nella casa di (OMISSIS) dell’ U.; conosceva l’auto BMW usata da U. e risultata in effettivo possesso di costui; ha riferito del viaggio in Romania, a fine agosto del 2007 del R. e dell’ U. per reperire nuova giovane da far prostituire (ciò che costituì l’occasione che rese possibile il suo allontanamento con il F.). L’ U. è stato quindi descritto come socio del R. nel controllo delle prostitute ed è stato fatto intervenire per far superare, con le maniere forti, la ritrosia dalla P., dopo che per una settimana i vari tentativi del R. e dalla madre non avevano ancora convinto la riottosa P. a prostituirsi.

C’è poi da aggiungere – con riferimento in particolare ad un argomento difensivo speso dalla difesa dell’ U. che ha fatto riferimento all’asserito "forte risentimento" della parte offesa – che il disvelamento dei fatti – come sopra esposti in narrativa – è avvenuto ad opera della minore P. in modo essenzialmente casuale (ricovero al pronto soccorso dell’ospedale di (OMISSIS) per una minaccia di aborto) ed inizialmente con qualche reticenza. Ciò mostra che vi era alcuna animosità, nè spirito di rivalsa, della giovane ragazza nei confronti degli imputati.

Quanto alla misura della pena – cui si riferisce l’ultimo motivo del ricorso dell’ U. – è sufficiente rilevare che il g.u.p. ha applicato il mimmo edittale, anche concedendo le attenuanti generiche in equivalenza alle aggravanti ed ha motivato il rigetto della richiesta di valutazione di prevalenza, tenuto conto della oggettiva gravità della condotta, caratterizzata da sfruttamento parassitario di una minorenne; motivazione questa che ha superato il vaglio di merito della Corte distrettuale e che non è censurabile in questa sede di legittimità. 5. Pertanto tutti i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.

Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *