Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 08-06-2011) 26-07-2011, n. 29890

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Trieste ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di G.D. in ordine ai reati: a) di cui all’art. 609 bis c.p.; b) di cui all’art. 572 c.p., a lui ascritti per avere costretto con violenza T. A. a subire un rapporto sessuale, nonchè per avere sottoposto la predetta T., con lui convivente, ad un regime di vita vessatorio, picchiandola frequentemente, anche di notte, minacciandola ripetutamente di portarle via la figlia, Esultandola con epiteti ingiuriosi, sputandole addosso e tenendo altre condotte simili.

Secondo la ricostruzione dei ratti riportata nella sentenza, il G., che aveva conosciuto nel maggio 2000 la T. in (OMISSIS), dopo due o tre mesi dall’inizio della convivenza aveva cominciato a picchiarla con la frequenza di due o tre volte la settimana, dandole pugni sulla nuca, e a ingiuriarla con epiteti vari. Tale condotta era proseguita anche dopo che la persona offesa era rimasta incinta e dopo il parto, anche quando teneva la bambina in braccio.

La T. aveva inoltre riferito che la notte del 31.3.2004 il convivente, rientrato tardi dal lavoro, prima la aveva mandata a dormire sul divano, poi le aveva strappato l’accappatoio, le aveva sputato addosso, chiamandola "troia, puttana"; la aveva quindi trascinata sul letto matrimoniale violentandola. In tale circostanza l’imputato le aveva tenuto un cuscino sulla testa per impedirle di urlare e dopo il rapporto sessuale aveva eiaculato su di un asciugamano.

La T. il giorno successivo si era rivolta ad un’amica, moglie di un poliziotto, che l’aveva indirizzata all’ospedale per una visita ginecologica. Si era poi rivolta al Centro Antiviolenza (GOAP) che la aveva ospitata in una struttura protetta. L’imputato, dopo avere scoperto il luogo in cui si trovava, aveva continuato a perseguitarla, inseguirla ed offenderla.

La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva contestato l’attendibilità della persona offesa e chiesto, in subordine, la riduzione della pena infinta.

Sul primo punto la sentenza, in sintesi, nel manifestare la condivisone del giudizio espresso nella pronuncia di primo grado, ha valorizzato l’esistenza di riscontri costituiti da varie deposizioni testimoniali in ordine ad atti di violenza o a comportamenti ingiuriosi posti in essere dall’imputato nei confronti della T..

La Corte territoriale ha, però, dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui all’art. 660 c.p., rideterminando la pena inflitta all’imputato nella misura precisata in epigrafe.

Va precisato che il giudice di primo grado aveva già dichiarato improcedibile l’azione penale in ordine ad altre imputazioni di lesioni e ingiurie per remissione di querela.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per vizi di motivazione.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla affermazione di colpevolezza per il reato di cui al capo a) dell’imputazione.

Si deduce che nel caso in esame i giudici di merito non hanno applicato il principio stabilito dall’art. 533 c.p.p. secondo il quale la colpevolezza dell’imputato deve risultare "al di là di ogni ragionevole dubbio".

In sintesi, si osserva in proposito che la violenza sessuale denunciata dalla T. non ha trovato alcun riscontro nella visita ginecologica cui è stata sottoposta la persona offesa presso l’Ospedale Infantile di Trieste e che proprio l’assenza di qualsiasi segno, sia di colluttazione che di abuso sessuale, costituisce prova della non veridicità del fatto.

Sui punto si denuncia anche la illogicità della motivazione della sentenza in ordine alla valutazione del referto ospedaliere e si deduce che i giudici di merito hanno valorizzato un referto medico relativo a lesioni subite dalla persona offesa alcuni giorni dopo l’episodio di violenza sessuale, sicchè avrebbero dovuto anche tener conto della assenza di qualsiasi segno di lesioni quale conseguenza di tale abuso.

Nel prosieguo del motivo di gravame si rilevano discrepanze ed inverosimiglianze nel narrato della persona offesa circa l’episodio di violenza sessuale, nonchè più in generale dichiarazioni non veritiere della medesima con riferimento alla assunzione di sostanze stupefacenti ed altro.

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla affermazione di colpevolezza per il reato di cui al capo b) dell’imputazione.

Nella sostanza si contesta l’esistenza degli elementi costitutivi del reato di maltrattamenti, per la cui configurabilità deve essere instaurato un sistema di sopraffazioni e vessazioni continuo nei confronti della vittima, che ne avviliscono la personalità e ne rendono penosa resistenza.

Si deduce che nel caso in esame in effetti si è trattato di sporadici litigi, nel corso dei quali il G. avrebbe ingiuriato o schiaffeggiato la convivente; episodi riconducigli solo ai reati di ingiurie e lesioni contestati all’imputato ed improcedibili per remissione di querela.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Costituisce consolidato principio di diritto, reiteratamente affermato da questa Corte, che anche a seguito delle modificazioni apportate all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b), rimane esclusa la possibilità che la verifica della correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, sicchè il vizio di motivazione è ravvisatole solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste ovvero su risultanze probatorie incontestabilmente diverse da quelle reali (cfr. sez. 4^, 10.10.2007 n. 35683, Servirei, RV 237652; sez. 1^, 15.6.2007 n. 24667, Musimeci, RV 237207; sez. 5^, 25.9.2007 n. 39048, Casavola ed altri, RV 238215).

Orbene, il ricorrente, sotto l’apparente denuncia di una violazione di legge e di vizi di motivazione della sentenza, si limita a prospettare una diversa valutazione delle risultanze probatorie rispetto a quella espressa dai giudici di merito.

Peraltro, la Corte territoriale ha puntualmente preso in esame tutte le deduzioni dell’appellante, che sostanzialmente sono state reiterate nei motivi di ricorso, ritenendole, con motivazione adeguata, del tutto inidonee a inficiare il coacervo delle risultanze probatorie a carico dell’imputato.

Tali risultanze sono costituite, oltre che dalle dichiarazioni della stessa persona offesa, ritenuta pienamente attendibile per l’assenza di qualsiasi sentimento di astio nei confronti dell’imputato, dimostrata dalla successiva remissione di querela, dall’esistenza di numerosi riscontri alle accuse con riferimento alle continue violenze, ingiurie e percosse cui era sottoposta la T. ed, in genere, al regime di vita vessatorio, che integra il reato di maltrattamenti.

La sentenza ha altresì preso in esame, con riferimento al reato di violenza sessuale, il referto medico citato dal ricorrente, rilevando che in altro referto sono certificate contusioni riportate dalla persona offesa, sia pure con riferimento ad episodio diverso, mentre è stata ritenuta irrilevante la assenza di lesioni in concomitanza della violenza sessuale, non avendo la persona offesa riferito di averne subite in detta occasione.

Sicchè, conclusivamente, la valutazione di merito dei giudici di appello ha tenuto conto di tutti i rilievi dell’appellante disattendendoli con motivazione esaustiva ed immune da vizi logici e, perciò, non censurabile in sede di legittimità.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., u.c., con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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