Cass. pen., sez. VI 30-07-2007 (10-07-2007), n. 30976 Notaio delegato alle operazioni di vendita nell’ambito di procedure esecutive immobiliari – Appropriazione delle somme versate dagli aggiudicatari delle vendite

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

FATTO E DIRITTO
1- M.G., notaio in (OMISSIS), è indagato dalla Procura della Repubblica di tale città in ordine a due ipotesi di falso ideologico in atto pubblico (capi A e B) e a vari episodi di peculato (capi C, D, E, F, G, H).
Più specificamente, si addebita al professionista:
– di avere redatto, in data 29/1/2005, un atto di compravendita immobiliare, nel quale aveva dato atto che il corrispettivo veniva pagato a sua "vista" mediante assegni circolari "intestati all’acquirente e girati al venditore", laddove detti titoli non recavano alcuna firma di girata, tanto che, due giorni dopo il rogito, gli stessi titoli erano stati incassati dagli intestatari, apparenti compratori;
– di avere redatto, in data 29/3/2001, il testamento pubblico del prete C.G., attestando falsamente che costui aveva dichiarato in tale sede le sue ultime volontà e aveva precisato di non potere sottoscrivere l’atto perchè impossibilitato a muovere la mano destra, e ciò contrariamente al vero, dal momento che il C., colpito da ictus un anno prima, non era in grado di esprimere verbalmente, in modo compiuto e comprensibile, concetti del genere;
– di essersi appropriato, tra l’ottobre 2006 e il febbraio 2007, quale notaio delegato alle operazioni di vendita nell’ambito di procedure di esecuzione immobiliare pendenti presso il Tribunale di Mondovì, delle somme pagate dagli aggiudicatati delle vendite, versando i relativi importi su conti correnti personali e investendoli in operazioni speculative di borsa, anzichè provvedere agli adempimenti di sua competenza onde consentire una celere definizione delle corrispondenti procedure.
2 – Il M., già destinatario della misura interdittiva dell’inabilitazione all’esercizio delle sue funzioni, adottata dal Gip del Tribunale di Mondovì in data 12/2/2007 con riferimento ai due reati di falso, essendo risultato coinvolto, a seguito dello sviluppo delle indagini, nei più gravi episodi di peculato, veniva raggiunto da tre misure coercitive emesse dallo stesso Gip in data 16 aprile, 21 aprile e 28 maggio 2007: con le prime due, aventi rispettivamente ad oggetto – l’una – i capi da A ad F e – l’altra – il capo G, veniva disposta la custodia in carcere, con la terza quella domiciliare (capo H).
3 – Sulla richiesta di riesame, ex art. 309 c.p.p., di queste ultime tre misure, il Tribunale di Torino così provvedeva:
– con ordinanze 24 aprile e 4 maggio 2007, sostituiva la custodia in carcere applicata dal Gip con gli arresti domiciliari;
– con ordinanza 8/6/2007, dopo avere escluso uno degli episodi di peculato rubricati sotto il capo H, in quanto già contestato al capo G, confermava la misura degli arresti domiciliari emessa il precedente 28 maggio.
Il giudice del riesame evidenziava il quadro di gravità indiziaria emerso a carico dell’indagato e rilevava:
– quanto al falso nell’atto di compravendita rogato il 29/1/2005, l’attestazione in esso contenuta circa la consegna degli assegni circolari dai compratori ( R.P.E. e R.P.C.) al venditore ( R.M.), previa regolare apposizione della firma di girata, era risultata smentita dal fatto che detti titoli erano stati incassati dai compratori ed erano privi della girata in favore del venditore, circostanze – queste – che rivelavano, tra l’altro, la dissimulazione di una donazione (finalizzata a diseredare il figlio B. dell’apparente venditore); la difesa dell’indagato, inoltre, aveva prospettato tesi contraddittorie: dapprima, aveva sostenuto che i titoli erano stati consegnati senza essere girati, poi che erano stati regolarmente girati, ipotizzando che sarebbero stati successivamente restituiti, fuori dello studio notarile, dal venditore ai compratori; in realtà, sui titoli comparivano le sole girate per l’incasso;
– quanto al falso nel testamento pubblico di don C. G., le dichiarazioni e le manifestazioni di volontà a costui attribuite nell’atto non potevano avere avuto luogo, tenuto conto delle condizioni di salute in cui versava il religioso, così come evidenziato dai consulenti del p.m. e dai testi escussi (badante del religioso e geom. Mo.Lu., che aveva presenziato alla redazione dell’atto e illustrato le modalità di acquisizione della volontà di don C.G., limitatosi ad un cenno stentato di assenso alle volontà espresse dalla sorella C.); lo stesso indagato, peraltro, aveva ammesso di avere avuto incertezze sulla capacità di testare del C.G., a causa della incapacità di esprimersi di costui, tanto che a avrebbe richiesto una certificazione medica;
– quanto ai peculati, la configurabilità della condotta illecita risiedeva nel fatto che l’indagato aveva versato le somme incamerate nell’ambito delle procedure esecutive sui conti correnti personali e le aveva utilizzate per effettuare speculazioni private mobiliari, restituendole soltanto dopo che gli erano state revocate le deleghe da parte del giudice dell’esecuzione; l’indagato, in sostanza, in possesso di un bene altrui per ragioni inerenti all’ufficio pubblico ricoperto, aveva disposto di tale bene uti dominus, senza dare corso agli adempimenti di cui all’art. 591 bis c.p.p., comma 7 e porre il giudice dell’esecuzione nelle condizioni di predisporre il progetto di distribuzione di cui all’art. 596 c.p.c; aveva certamente agito con dolo, ove si consideri che, pur delegato alle operazioni di vendita di beni esecutati sin dal 1999, aveva attivato soltanto nel 2006, presso la banca CREDEM, un apposito conto corrente, sul quale – per altro – aveva fatto confluire una minima parte delle somme versate dagli aggiudicatari dei beni posti all’asta; nè il dolo poteva essere escluso dall’asserita incertezza sul soggetto titolare delle somme versate dagli aggiudicatari (debitore, creditori, Stato), in quanto certamente l’indagato non poteva immaginare che tali somme gli si appartenessero.
Quanto alle esigenze cautelari, il giudice del riesame ravvisava quella di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), desumibile dalla estrema disinvoltura con la quale il M. aveva perseverato nell’illecito, senza essere inibito da pendenze giudiziarie (condanna per falso 18/10/2005 non definitiva) o disciplinari a suo carico.
4 – Avverso le pronunce di riesame, ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l’indagato e ha dedotto: 1) violazione della legge penale, con riferimento all’art. 273 c.p.p., per manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: a) quanto alla vicenda C.G., l’ordinanza di riesame mistificherebbe e confonderebbe la realtà, cadendo in palese contraddizione, perchè, dando atto della certificazione medica acquisita dal notaio circa la capacità di testare del C.G., finirebbe con l’escludere implicitamente la fondatezza dell’ipotesi accusatoria; d’altra parte, la richiesta d’interdizione del C. era stata presentata solo il 28/2/2002, vale a dire circa un anno dopo il fatto in contestazione; il C., pur non potendo esprimersi in maniera compiuta e articolata, sarebbe stato certamente in grado di comprendere la portata dell’atto di disposizione testamentaria; ciò che rileva è la effettiva sussistenza della volontà di testare a vantaggio della sorella C. e della perpetua M. L., senza che possano incidere in alcun modo sulla configurabilità del reato le modalità di espressione adottate dal C. per dichiarare le proprie volontà; queste erano state raccolte dal notaio alla presenza di due testimoni e, quindi, con ampia garanzia circa la genuina riproduzione in atto di tali volontà; particolarmente significativa la testimonianza di M. L., che, a differenza di quanto ritenuto in sede di riesame, avrebbe smentito l’ipotesi accusatoria; b) quanto alla vicenda R., nessun falso sarebbe stato posto in essere, considerato che nell’atto di compravendita si era dato atto del pagamento del corrispettivo a mezzo di assegni circolari, dei quali erano stati indicati gli estremi identificativi, circostanze – queste – corrispondenti al vero; quanto verificatosi successivamente alla formazione dell’atto pubblico di vendita e non caduto sotto la diretta percezione del notaio non poteva assumere alcun rilievo al fine di dare corpo all’accusa; c) quanto ai reati di peculato, non era configurabile una interversione del possesso nel semplice fatto che il notaio aveva versato sui propri conti correnti le somme ricevute dagli aggiudicatari dei beni venduti: nessuna indicazione era stata data al notaio, ad opera del giudice dell’esecuzione, circa le modalità di custodia di dette somme, il che inciderebbe direttamente sulla natura dell’attività in concreto posta in essere dal M.G. e sulla qualifica soggettiva del medesimo in riferimento a tale attività; la mancata indicazione della destinazione delle somme non consentiva d’individuare il soggetto titolare delle stesse nell’arco temporale compreso tra la vendita e le operazioni di riparto, con l’effetto che non era concettualmente configurabile, in tale preciso contesto, l’appropriazione di denaro altrui; non poteva credibilmente ipotizzarsi un interesse dell’indagato a trattenere le somme per un periodo di tempo più o meno lungo, al fine di utilizzarle in operazioni speculative, ove si consideri che la restituzione di tali somme poteva essere richiesta ad horas, come in effetti era avvenuto; alla relativa richiesta, infatti, il M. aveva dato immediato seguito, smentendo così di avere utilizzato a fini speculativi le citate somme, rimaste sempre a disposizione della procedura. 2) violazione dell’art. 274 c.p.p., lett. c) per manifesta illogicità della motivazione sulle ritenute esigenze cautelari: il pericolo concreto di reiterazione criminosa doveva essere escluso in considerazione della esistenza di plurimi procedimenti a carico dell’indagato in fase di avanzata definizione, della revoca delle deleghe allo svolgimento di procedure immobiliari, dell’esistenza di una misura interdittiva in corso di esecuzione, dell’avvenuta restituzione di tutte le somme percepite;
in ogni caso, carente era la valutazione effettuata sull’adeguatezza della misura.
5 – I ricorsi sono in parte fondati e vanno accolti nei limiti di seguito precisati. Le ordinanze impugnate non sono censurabili, sotto il profilo della legittimità, nella parte in cui delineano il quadro di gravità indiziaria a carico dell’indagato. Ed invero, le pronunce di riesame, con motivazione adeguata e immune da vizi di contraddittorietà o di manifesta illogicità, danno conto delle ragioni che giustificano la ritenuta sussistenza dei gravi indizi, evidenziando e analizzando le circostanze di fatto che supportano, almeno in questa fase di preliminari indagini, la postulazione d’accusa.
5a – Il percorso argomentativo seguito, e innanzi sintetizzato, per dimostrare la configurabilità dei reati di falso ideologico resiste alle obiezioni del ricorrente, incentrate essenzialmente su una diversa e alternativa interpretazione degli elementi acquisiti, condizionata da un’ottica di parte che fa leva su dati formali e marginalizza quelli sostanziali pur posti ben in luce dal giudice a quo.
Nella vicenda C.G., non può prescindersi dal dato pacifico, accertato con consulenza tecnica e confermato dal testimoniale escusso, dell’incapacità del religioso di esprimersi a causa della sua afasia e, quindi, dell’impossibilità di raccogliere le sue volontà così come formalmente riportate nel testamento pubblico. Tale realtà non può efficacemente essere contrastata, così come si legge in ricorso, sulla base di quanto emerge dallo stesso atto notarile oggetto di falso (presenza dei due testimoni) o di una forzata e alternativa interpretazione della testimonianza " M.".
Nella vicenda R., se vero che l’indagato aveva dato atto nell’atto pubblico da lui redatto che i compratori avevano versato al venditore il corrispettivo a mezzo di assegni circolari espressamente indicati con i loro estremi identificativi, rimane, per quanto – allo stato – emerso, l’attestazione non corrispondente al vero della girata dei detti titoli, in presenza del notaio, dai compratori al venditore.
5b – Anche le doglianze sulle ipotesi di peculato non appaiono, allo stato, dirimenti per escluderne la configurabilità. E’ privo di consistenza il rilievo in base al quale, in difetto di una qualsiasi indicazione contraria da parte del giudice dell’esecuzione, legittimamente il notaio delegato alle operazioni di vendita aveva versato le somme ricevute dagli aggiudicatari dei beni sul suo conto corrente personale.
E’ agevole replicare che tale indubbia irregolarità (alla quale si sarebbe potuto ovviare facendo ricorso al deposito giudiziario o sollecitando al g.e. istruzioni al riguardo) assunse i caratteri dell’illiceità, nel momento in cui l’indagato, venendo meno ai proprii doveri pubblicistici, aveva disposto delle somme come cosa propria, investendole in operazioni speculative, indice – questo – inequivoco dell’interversio possessionis. Nè ha senso, per togliere valenza all’ipotesi accusatoria, evocare la problematica, dibattuta in sede processualcivilistica, sulla titolarità della proprietà della somma ricavata e da distribuire dopo la vendita dei beni pignorati. Formalmente, secondo la migliore dottrina processualistica, tale somma rimane, fino all’approvazione ed esecuzione del progetto di distribuzione, di proprietà del debitore, ma è certamente gravata da un vincolo di indisponibilità, perchè a disposizione della procedura esecutiva. Il notaio delegato alle operazioni di vendita ha l’obbligo di custodire, in virtù delle funzioni esercitate, tale somma e di dare tempestivo impulso alle operazioni successive, per fare sì che la procedura esecutiva sia definita.
Ne consegue che l’appropriazione di tali somme, di cui il pubblico ufficiale ha comunque la disponibilità per ragione dell’ufficio pubblico ricoperto, integra il reato di peculato. Il concetto di altruità del denaro cui fa riferimento l’art. 314 c.p. va inteso nel senso di assenza in capo al soggetto agente di qualsiasi diritto, reale o di obbligazione, che gli attribuisca una disponibilità del denaro e lo legittimi a compiere l’atto di appropriazione. Nè l’illecito rimane escluso dalla restituzione delle somme, circostanza questa che non incide sulla lesione già verificatasi, ma può rilevare, in caso di eventuale condanna, solo ai fini della concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6. 5c – Le pronunce di riesame sono, invece, censurabili nella parte in cui giustificano la misura coercitiva con l’esigenza socialpreventiva di scongiurare il pericolo di reiterazione criminosa specifica, ravvisato nell’estrema disinvoltura con la quale l’indagato aveva perseverato nell’illecito, nonchè nella mancanza di freni inibitori per la "ricerca spasmodica del lucro", nonostante "pendenze giudiziarie e disciplinari" a carico del medesimo indagato.
Trattasi di argomento suggestivo ma privo di concretezza, perchè circoscrive la relativa valutazione ai soli fatti per i quali si procede e non si fa carico di considerare altri elementi che pure emergono dagli atti e che possono avere una indubbia incidenza nell’apprezzamento della capacità a delinquere dell’indagato.
Il requisito della "concretezza", cui fa richiamo l’art. 274 c.p.p., lett. c), evoca l’esistenza di elementi non meramente congetturali dai quali desumere la personalità del soggetto inquisito e sulla base dei quali presumere ragionevolmente che il medesimo possa con molta probabilità, verificandosene l’occasione, commettere reati della stessa specie di quelli per cui si procede.
Se è pur vero che, ai fini della configurabilità della ritenuta esigenza di cautela, gli elementi apprezzabili possono essere tratti anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, non è men vero che tali modalità e circostanze devono avere una connotazione che oggettivamente sia sintomatica della personalità dell’agente come incline a reiterare la stessa condotta antigiuridica. Il pericolo di reiterazione di reati della stessa indole non può desumersi per automatismo dal carattere stesso dei reati contestati e in particolare dalla protrazione nel tempo delle condotte illecite per cui è indagine, in quanto in tal modo ogni reato a struttura permanente o caratterizzato dalla continuazione comporterebbe un i pericolo di reiterazione. E’ necessario, invece, individuare condotte concrete dell’indagato rivelatrici di una effettiva disponibilità di mezzi e circostanze che renderebbero altamente probabile la ripetizione di delitti della stessa specie.
Non può trascurarsi di considerare, per quanto riguarda – in particolare – i plurimi episodi di peculato, ai quali specificamente si è fatto riferimento in tema di esigenze, che gli stessi, pur autonomi tra loro, erano stati posti in essere nell’ambito dell’attività delegata al notaio dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 591 bis c.p.c., con l’effetto che la ripetuta condotta antigiuridica del professionista va inquadrata nell’ambito di tale attività complessiva, da considerarsi unitariamente, e non può, di per sè, legittimare una prognosi di pericolosità futura dell’indagato.
Non può, infatti, sottacersi che a costui sono state revocate tutte le deleghe a curare le operazioni di vendita nelle procedure esecutive, sicchè, per lo meno con riferimento a tale settore, v’è una oggettiva impossibilità di reiterazione criminosa.
Alla prognosi di pericolosità sociale non può pervenirsi senza considerare lo stato d’incensuratezza dell’indagato e l’ammonimento che al medesimo può essere derivato dal provvedimento interdittivo di cui pure è stato destinatario e dalla pendenza di plurimi procedimenti penali a suo carico per fatti strettamente attinenti all’esercizio della sua professione.
5d – Le ordinanze impugnate, pertanto, limitatamente alle esigenze cautelari, devono essere annullate con rinvio per nuova deliberazione al Tribunale di Torino, che dovrà tenere conto dei rilievi di cui innanzi.
P.Q.M.
Annulla le ordinanze impugnate, limitatamente alle esigenze cautelari, e rinvia per nuova deliberazione sul punto al Tribunale di Torino.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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