T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 04-08-2011, n. 2091 Armi da fuoco e da sparo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con ricorso depositato in data 12 dicembre 2007 il sig. M.C., titolare di licenza di porto di pistola in qualità di guardia particolare giurata, chiede l’annullamento dei provvedimenti indicati in epigrafe con i quali è stata disposta la revoca della licenza di porto d’armi e gli si è fatto divieto di detenere le armi.

Entrambi i provvedimenti richiamano le informative 18 luglio 2007 e 23 ottobre 2007 del Comando provinciale dei Carabinieri di Varese.

Nella prima di esse veniva riferito che, in data 20 giugno 2007, il padre del ricorrente si presentava spontaneamente presso il Comando in evidente stato di agitazione causato da un violento diverbio con il figlio, nel corso del quale questi gli lanciava una bottiglia di vetro che gli causava ferite alla mano destra e al costato destro; il denunciante riferiva altresì che il figlio, informato della sua intenzione di vendere la casa di proprietà, "avrebbe minacciato di morte tutta la famiglia dicendo loro che gli avrebbe sparato". Si riferiva, altresì, di un precedente analogo episodio verificatosi in data 22 luglio 2004, quando il C. aveva aggredito il padre scagliandogli contro un vaso di fiori e causando allo stesso una contusione in regione dorso lombare giudicata guaribile in tre giorni dal pronto soccorso dell’ospedale di Angera.

Nella seconda informativa il Comando segnalava come le vicende testè richiamate evidenziassero la tendenza ad assumere comportamenti violenti incompatibili con la detenzione e il porto delle armi.

Il ricorrente, il quale nega di aver posto in essere comportamenti violenti o minacciosi nei confronti del padre, come sarebbe confermato dal fatto che questi non ha presentato querela, che le vicende non hanno avuto alcun seguito penale e che i supposti ferimenti sono rimasti privi di riscontro clinico, contesta i provvedimenti impugnati deducendo la insufficiente motivazione e l’assenza dei presupposti per trarre il giudizio prognostico di inaffidabilità da un semplice diverbio familiare, che diversamente da quanto arbitrariamente asserito negli atti, non ha generato alcuna lesione o ferimento del padre, come comprovato dalla dichiarazione di questi depositata in giudizio. Non sarebbero, quindi, riscontrabili né un quadro fattuale certo, né motivazioni trasparenti e rigorosamente attendibili che possano giustificare i provvedimenti assunti, tanto più tenuto conto che essi incidono sullo status richiesto per esercitare l’attività lavorativa di guardia giurata.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio depositando documenti e memoria difensiva, con la quale deduce l’infondatezza del ricorso.

Con ordinanza n.102 del 17 gennaio 2008 è stata respinta la domanda cautelare.

Il ricorrente ha insistito con memorie per l’accoglimento del ricorso.

All’udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2) Le censure formulate nel ricorso (volte a contestare i presupposti per l’adozione dei provvedimenti impugnati e, in particolare, l’insussistenza di elementi per ritenere che il ricorrente sia persona inaffidabile, nonché a censurare la valorizzazione ostativa di un mero diverbio familiare) possono essere trattate congiuntamente perché strettamente connesse sul piano logico e giuridico.

Esse non meritano condivisione.

2.1) In proposto si osserva, preliminarmente, che l’esame dei provvedimenti adottati ex artt. 11, 39 e 43 T.U.L.P.S. deve necessariamente tener conto della delicatezza della materia che ne costituisce l’oggetto. Il nostro ordinamento è caratterizzato, infatti, da un marcato disfavore nei confronti del possesso e la circolazione delle armi che autorizza l’autorità di p.s. ad apprezzare in modo rigoroso i presupposti al ricorrere dei quali la loro detenzione è eccezionalmente consentita; per cui si deve ritenere che il pericolo di abuso a cui si riferiscono le norme citate debba essere inteso nella più ampia accezione possibile.

Tale pericolo può essere dunque ravvisato in tutti i casi in cui sul conto del soggetto interessato, ovvero dal suo comportamento, emergano sospetti o indizi negativi che inducono ragionevolmente a dubitare che le armi siano godute ed usate nella più perfetta e completa sicurezza.

Ed invero, le preminenti esigenze di tutela dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività che l’ordinamento intende salvaguardare attraverso le norme citate non permettono il minimo dubbio in proposito e legittimano il massimo rigore nella valutazione, ampiamente discrezionale, relativa all’adozione delle misure riguardanti la detenzione di armamenti e circa la possibilità di disporne il ritiro per la sopravvenienza di elementi idonei a porre in dubbio la totale affidabilità del detentore di armi..

L’atto autorizzatorio può, quindi, intervenire ed essere conservato solo in presenza di condizioni di perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse, così da escludere ogni possibile incertezza sulla possibile incidenza dell’autorizzazione sull’ordine pubblico e sulla tranquilla convivenza della collettività.

La giurisprudenza ha già evidenziato come il carattere di eccezionalità che connota la licenza di porto d’armi (costituente una deroga al generale divieto di detenzione di armamenti da parte di privati), e l’ampia discrezionalità di cui gode l’Autorità prefettizia nel valutare le particolari condizioni soggettive che sorreggono la richiesta di licenza o di autorizzazione alla detenzione e al porto d’armi, rendano del tutto ragionevole e congruo il provvedimento del Prefetto che abbia comminato il divieto di detenzione di armi e munizioni in capo a colui che con il proprio comportamento riveli una scarsa affidabilità nell’uso delle armi, od un’insufficiente capacità di dominio dei propri impulsi ed emozioni, determinando così il ragionevole dubbio circa l’affidabilità del detentore di armi.

Ciò premesso, secondo la giurisprudenza il presupposto per i provvedimenti inibitori della licenza di porto di arma non deve essere individuato in una condanna penale o nella pendenza di un giudizio penale, essendo sufficiente, a tali fini, che l’interessato non dia più affidamento di non abusare delle armi (v. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 6 febbraio 2002, n. 65; cfr., altresì, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 19 febbraio 2007, n. 451).

Inoltre, va osservato che, alla luce della finalità preventiva delle misure di polizia, la valutazione sulla capacità di abuso delle armi può legittimamente fondarsi su considerazioni probabilistiche, basate su circostanze di fatto assistite da sufficiente fumus (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 1 marzo 2005, n. 1421): considerazioni, la cui legittimità va valutata al momento in cui sono svolte e non ex post, potendo l’insussistenza dei fatti, qualora verificata a posteriori, legittimare il rilascio di una nuova autorizzazione di polizia (C.d.S., n. 4073/2002.).

Né va trascurato che la motivazione del diniego di rinnovo del porto d’armi non richiede una particolare ostensione dell’apparato giustificativo, ed il successivo vaglio giurisdizionale deve limitarsi ad un esame della sussistenza dei presupposti idonei a far concludere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali, oppure manifestamente incoerenti (T.A.R. Molise, 14 dicembre 2006, n. 1022).

2.2) Facendo applicazione alla fattispecie in esame dei principi ora esposti, non si può dubitare che, in detta fattispecie, gli elementi obiettivi a supporto delle misure disposte sussistano e che, dunque, i provvedimenti impugnati siano supportati da una motivazione adeguata.

Invero, nel caso di specie, le vicende che hanno originato i provvedimenti sono documentati nella loro materialità anche a prescindere dalla mancanza di formale denuncia, risultando le stesse analiticamente descritte nelle informative redatte dalla Stazione dei Carabinieri di Sesto, dalle quali risulta che il ricorrente ha confermato la versione del padre che lo accusava di avergli scagliato addosso una bottiglia di vetro.

Non può conferirsi alcun valore alla circostanza, più volte invocata dal ricorrente, della mancata presentazione della querela da parte della vittima della condotta contestata, trattandosi del padre del ricorrente ad egli legata da vincolo affettivo, comprensibilmente restio ad una denuncia penale per motivi di solidarietà ed affetto.

Anche per l’episodio del 12 luglio 2004 sussistono riscontri oggettivi idonei a supportare la valutazione di scarsa affidabilità, consistenti nel referto medico redatto dal servizio di pronto soccorso e nelle dichiarazioni in proposito rese dal padre del ricorrente.

Correttamente, quindi, da tali episodi l’Amministrazione ha tratto una valutazione di scarsa capacità di autocontrollo dell’interessato, che certamente si riflette sulla sua affidabilità nell’utilizzo dell’arma posseduta. Gli atti gravati, cioè, hanno individuato, sulla base di considerazioni probabilistiche – delle quali si ribadisce l’assoluta legittimità – un nesso tra i fatti denunciati e la possibilità che l’interessato abbia ad abusare dell’arma posseduta.

In contrario non rilevano, pertanto, gli elementi addotti nel gravame, in specie il non avere precedenti penali, trattandosi, per la costante giurisprudenza, di elemento del tutto irrilevante ai fini dell’emanazione del divieto di detenzione o della revoca della licenza di porto d’armi.

La verifica dell’attendibilità della valutazione di inaffidabilità nell’uso delle armi, normativamente tipizzata dalla legislazione di settore, sussiste alla luce della massima di esperienza secondo cui un soggetto che non è in grado di assicurare il pieno controllo della propria emotività personale in occasione di ordinari episodi di conflittualità interpersonale è probabile che in situazioni consimili possa fare ricorso all’uso delle armi, ove autorizzato a portarle, quale strumento di prevaricazione, succedaneo rispetto all’uso della forza fisica.

Nel caso in esame le circostanze alle quali fanno riferimento i provvedimenti impugnati sono di per sé sufficienti ad escludere che l’istante possa essere ritenuto idoneo alla titolarità di provvedimenti autorizzativi all’uso e alla detenzione delle armi. Ciò in particolare tenuto conto della capacità dimostrata dall’interessato di porre in essere comportamenti violenti incompatibili con le esigenze di sicurezza pubblica le quali connotano anche la materia delle armi.

Si tratta a parere del Collegio di episodi significativi che fanno insorgere il fondato dubbio circa la sussistenza di una personalità aggressiva e violenta, incline all’impulsività in situazioni critiche e, come tale, incapace di dare adeguate garanzie di non abusare delle armi possedute; e che quindi si appalesano idonei a suffragare un giudizio di inaffidabilità in ordine al corretto uso delle armi.

In definitiva, il ricorso è infondato e, come tale, deve essere respinto

Le spese, come di regola, seguono la soccombenza,

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando:

– respinge il ricorso, come in epigrafe proposto;

– condanna il ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari di lite che liquida complessivamente in Euro 1.000,00 oltre IVA e CPA se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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