Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 31-05-2011) 26-07-2011, n. 29922 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 31 maggio 2005, il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Roma, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava responsabile del reato di cui agli artt. 81, 110, 112 e 314 c.p., L.E., perchè, in concorso altri soggetti operanti nell’ambito del Comando della Legione Carabinieri Lazio, giudicati separatamente, che avevano la disponibilità della cassa del Comando, si appropriava a più riprese di somme di denaro prelevate abusivamente da detta cassa, gestita dallo sportello interno della Banca Popolare di Milano, che impiegava privatamente, assieme al fratello gemello G., per un commercio privato di carni.

2. A seguito di impugnazione dell’imputato, la Corte di appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosciute le attenuanti generiche, riduceva la pena in anni due e mesi tre di reclusione, dichiarata interamente condonata, confermando nel resto la sentenza impugnata, tra cui la condanna al risarcimento dei danni della costituita parte civile Banca Popolare di Milano.

3. Osservava la Corte di appello che la prova della responsabilità dell’imputato derivava dalla chiamata in correità proveniente dal coimputato D.L.A.M., cointestatario assieme a lui di un conto corrente presso l’agenzia della BPM presso il Comando dei Carabinieri Regione Lazio, dalle movimentazioni dei conti correnti e del libretto di risparmio a lui intestati, dalle spedizioni di buste contenenti denaro fattegli dal D.L. tramite un corriere e da quelle fatte al D.L. dal L. contenenti carnet di assegni bancari.

Era documentalmente provato che gli imputati prelevavano denaro contante dalla cassa del Comando sostituendolo con titoli poi risultati essere in parte privi di fondi.

4. Ricorre per cassazione l’imputato, con atto sottoscritto dai difensori, avvocati Lucio Sgroi ed Enrico Cicchetti, che espongono i seguenti motivi:

4.1. Erronea valutazione delle dichiarazioni del coimputato D.L. e inutilizzabilità delle stesse.

In primo luogo, era mancata una valutazione dell’attendibilità della chiamata di correità proveniente dal D.L., che aveva avuto accesso agli atti di indagine versati nel giudizio di riesame e aveva tutto l’interesse a convalidare le tesi accusatone avendo formulato una vantaggiosissima richiesta di applicazione di pena sulla quale, successivamente alle sue dichiarazioni, il p.m. avrebbe poi espresso il consenso.

Inoltre, era stata operata una erronea valutazione di tali dichiarazioni, avendo il D.L. solo affermato di supporre che fosse il L. a ritirare i carnet di assegni per conto del fratello G. da spedire a lui; mentre la Corte di appello ha affermato erroneamente che tali dichiarazioni esprimevano una certezza.

Infine, illegittimamente erano state utilizzate le dichiarazioni rese dal D.L. nel giudizio abbreviato, dato che esse erano state richieste dal solo coimputato D.P., che aveva subordinato all’assunzione di tali dichiarazioni la richiesta di giudizio abbreviato, mentre il L. aveva formulato una richiesta di giudizio abbreviato condizionata non all’esame del D.L. ma ad altre acquisizioni.

4.2. Erronea applicazione dell’art. 314 c.p., in luogo di quello di favoreggiamento reale di cui all’art. 379 c.p., prospettato dallo stesso P.G. davanti alla Corte di appello, e relativo vizio di motivazione.

A carico dell’imputato è stata accertata la sola condotta consistente nell’avere, per conto del fratello G., depositato il denaro proveniente da Roma in conti correnti di cui aveva la disponibilità nel paese di (OMISSIS); dopo, dunque, che il reato di peculato era stato già perfezionato e consumato da altri soggetti operanti presso il Comando Regione Lazio, attraverso la materiale sottrazione del denaro dalla relativa cassa da parte del T. e del G., senza alcun apporto da parte del L., che, come riconosciuto dalla sentenza di primo grado, non aveva avuto mai alcun contatto con gli autori della sottrazione.

Contrariamente a quanto sostenuto laconicamente nella sentenza impugnata, dunque, il L., assolto dalla imputazione di associazione per delinquere e di falso contestata agli altri imputati, non aveva posto in essere alcuna condotta agevolatrice della sottrazione del denaro ma si era limitato ad aiutare il fratello G., essendo solo consapevole della precedente commissione della sottrazione ed avendo solo fornito, attraverso il versamento del denaro nei conti correnti, un apporto finalizzato alla definitiva acquisizione del vantaggio derivante dal fatto criminoso commesso da altri, non sussistendo prova di un suo scopo di trarre profitto dalla precedente condotta criminosa.

4.3. Violazione del divieto di reformatio in pejus di cui all’art. 597 c.p.p..

La pena-base è stata determinata dalla Corte di appello in anni quattro e mesi sei di reclusione, e quindi in misura superiore a quella analoga determinata dal Tribunale, che era comprensiva dell’aumento per la continuazione.

4.4. Violazione del diritto di difesa e di concentrazione e immediatezza.

La Corte di appello alla udienza del 29 gennaio 2008 aveva illegittimamente rimesso gli atti alla Cancelleria del giudice a quo perchè procedesse alla notifica degli atti di appello alla parte civile, dato che questa nella stessa udienza aveva espressamente dichiarato di rinunciare a proporre appello incidentale.

Ciò ha impedito il perfezionamento del c.d. patteggiamento in appello, sul quale il p.g. aveva espresso consenso, dato che, una volta ritornati gli atti davanti alla Corte di appello, era sopravvenuto il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, abrogativo dell’art. 599 c.p.p., comma 4.

Cionondimeno il patteggiamento avrebbe dovuto essere ugualmente preso in considerazione dalla Corte di appello, ora per allora, essendosi l’accordo perfezionato prima dell’abrogazione di detta norma.

Se ciò fosse avvenuto, l’imputato avrebbe conseguito un trattamento sanzionatorio inferiore di tre mesi di reclusione rispetto alla pena irrogata.

Motivi della decisione

1. L’ultimo motivo di ricorso, relativo alla mancata considerazione da parte del giudice di appello della richiesta di definizione del procedimento mediante la procedura di cui all’art. 599 c.p.p., comma 4, è fondato, e tale statuizione assorbe ogni altra censura.

2. Quando l’imputato, alla udienza del 29 gennaio 2008, dichiarò di rinunciare ai motivi di appello diversi da quelli afferenti al trattamento sanzionatorio, ricevendo il consenso del pubblico ministero, la Corte di appello avrebbe dovuto prendere in esame esclusivamente il motivo concernente la pena, essendo allora vigente la procedura del c.d. patteggiamento in appello, dato che l’art. 599 c.p.p., comma 4, venne abrogato solo in data posteriore, con D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla L. 24 luglio 2008, n. 125.

Non rileva che in detta udienza il dibattimento non potette sfociare nella decisione, avendo la Corte di appello ritenuto di rinviare gli atti al primo giudice perchè si provvedesse alla notifica dell’atto di appello alla parte civile (decisione affatto impropria, atteso che detta parte aveva formalmente dichiarato di rinunciare all’appello incidentale), perchè, in base al principio tempus regit actum, deve ritenersi che era al momento della proposizione della richiesta dell’imputato, assistita dal consenso del pubblico ministero, che si era venuto a cristallizzare il diritto delle parti di ottenere una decisione da parte della Corte di appello circa l’accoglibilità della richiesta relativa al trattamento sanzionatorio conseguente al c.d. patteggiamento in appello.

In altri termini, ai fini del discrimine temporale circa la operatività dello speciale meccanismo definitorio già previsto dall’art. 599 c.p.p., commi 4 e 5, pur dopo la sua intervenuta soppressione ad opera del legislatore non rileva il momento in cui il giudice di appello debba assumere la decisione ma quello in cui l’accordo delle parti, che è (e resta tuttora) irretrattabile, si è perfezionato (per analogo principio, v. Sez. 5, n. 4976 del 01/10/2009, Mancuso, Rv. 246063; in senso contrario, ma in base a una erronea considerazione del canone tempus regit actum, Sez. 2, n. 44347 del 25/11/2010, Angelini, Rv. 249182; Sez. 6, n. 41675 del 30/09/2010, Held, Rv. 248803; Sez. 1, n. 29500 dell’11/07/2008, Bonaffini, Rv. 240194).

3. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che dovrà prendere in considerazione la richiesta formulata dalle parti a norma dell’allora vigente art. 599 c.p.p., comma 4, assumendo, ora per allora, i provvedimenti di cui al combinato disposto dei commi 4 e 5 del medesimo articolo.

Le statuizioni sull’azione civile restano di conseguenza dipendenti dalla decisione che assumerà il giudice di rinvio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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