Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-05-2011) 26-07-2011, n. 29882

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – La sentenza impugnata ha confermato la condanna alla pena di 8 anni di reclusione inflitta all’odierno ricorrente perchè ritenuto responsabile della commissione di numerosi e reiterati abusi sessuali nei confronti di ragazzi minorenni a lui affidati per ragione di istruzione e custodia.

Pur non avendo negato i fatti, avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore deducendo:

1) erronea applicazione della legge penale ( art. 606 c.p.p., lett. b) in rel. all’art. 609 quater c.p.) perchè i fatti contestati sono stati qualificati come violazione dell’art. 609 bis e non dell’art. 609 quater c.p.. In realtà nessuna delle condotte poste in essere dall’imputato sono state caratterizzate da violenza o abuso di autorità tanto è vero che molti dei ragazzi identificati come persone offese hanno continuato a frequentarlo amichevolmente;

2) violazione di legge nella graduazione della pena ( art. 606 c.p.p., lett. c) in rel. all’art. 133 c.p.). Il giudice, infatti, avrebbe dovuto procedere ad una valutazione complessiva della vicenda tenendo conto del fatto che lo stesso imputato non ha mai avuto percezione della gravita delle condotte da lui poste in essere sino all’insorgere del procedimento in quanto, a propria volta, anche lui da ragazzo aveva ricevuto analoghe "attenzioni".

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato nei termini di seguito precisati.

Il primo motivo, ai limiti dell’inammissibilità, è da respingere perchè richiama l’attenzione su un aspetto – la qualificazione giuridica dei fatti – ormai coperto da giudicato.

Risulta, invero, che con l’appello, il B., non contestò la declaratoria di responsabilità ma si limitò ad invocare un trattamento sanzionatorio più mite. Nulla, quindi è stato detto circa il fatto che, in asserita assenza di violenza, i fatti avrebbero potuto essere qualificati diversamente.

Sussiste, perciò, violazione del divieto di "novum" che ricorre quando, nel giudizio di legittimità, siano, per la prima volta, prospettate questioni coinvolgenti valutazioni in fatto mai prima sollevate, ovvero siano dedotti motivi di censura attinenti capi e/o punti della decisione ormai intangibili per non essere investiti da tempestiva doglianza nella fase di merito e, perciò, assistiti dalla presunzione di conformità al diritto (sez. iv, 18.5.94, Bentam, Rv.

199216). Ed infatti, è stato anche soggiunto che l’art. 609, comma 2, nella parte in cui stabilisce che la Corte di cassazione decide anche le questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello, "trova applicazione a condizione che trattisi di questioni di solo diritto, sorte a cagione dello jus superveniens o per circostanze sopravvenute, rimanendo quindi esclusa la sua operatività quando la decisione implicherebbe valutazioni di fatto" (sez. n. 15.10.04, Ficarra, rv. 230425).

Anche il secondo motivo non merita accoglimento perchè il tema della condizione psicologica dell’imputato è stato già evocato dal ricorrente, con l’appello, al fine di conseguire una pena più mite.

Esso risulta anche essere stato preso in considerazione dalla Corte che, però, non ha ritenuto di annettervi una valenza incisiva ai fini della quantificazione della pena perchè, si replica, il B. conosceva "perfettamente le sue propensioni sessuali ed avrebbe dovuto ricorrere ad un forte sostegno ed ausilio di carattere psicologico per porre fine alla reiterazione di condotte violente poste in essere verso minori inermi".

Si deve, quindi, rilevare che il motivo in esame è solo apparente (sez. v, 27.1.05, Giagnorio, Rv. 231708) perchè meramente reiterativo di un argomento svolto dinanzi alla Corte d’appello che, per parte sua, lo ha motivatamente esaminato e disatteso.

Resta, tuttavia, da rilevare, di ufficio che la sentenza impugnata è incorsa in una violazione di legge nel confermare la condanna al B. anche per i reati di cui ai capi 6), 13) e 14) della rubrica, perchè estinti per prescrizione antecedentemente alla data della sentenza di secondo grado. Nell’annullare la sentenza impugnata in parte qua, va, quindi, eliminata la relativa pena di complessivi mesi 9 di reclusione.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p..

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente ai reati di cui ai capi 6), 13) e 14) della rubrica, perchè estinti per prescrizione, ed elimina la relativa pena di complessivi mesi 9 di reclusione.

Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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