Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-05-2011) 26-07-2011, n. 29881 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.L.A. e C.E. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte di appello di Roma con la quale veniva confermata quella del tribunale di Latina in data 8 marzo 2006 che aveva condannato entrambi alla pena di giustizia per il reato di cui all’art. 81 capoverso, art. 609 bis, per avere in (OMISSIS), costretto C.C. a subire atti sessuali. Deducono in questa sede i ricorrenti:

1) nullità dell’impugnata ordinanza contumaciale emessa il 30 giugno 2010 per violazione degli artt. 125, 485 e 487 c.p. per mancata citazione degli imputati all’udienza di rinvio;

2) nullità della sentenza per effetto della nullità dell’ordinanza citata;

3) nullità dell’ordinanza emessa 30 giugno 2010 con la quale la corte di merito rigettava la richiesta di esclusione della parte civile per erronea applicazione di legge e difetto di motivazione. Si rileva al riguardo che all’udienza del 30 giugno 2010, prima dell’apertura del dibattimento, la difesa degli imputati aveva chiesto l’esclusione della parte civile per difetto di procura, atteso che quest’ultima era stata rilasciata per il primo grado e non per il grado di appello e che la corte di merito invece, con motivazione illogica e contraddittoria, ha rigettato l’eccezione ritenendo che non si rilevavano intenzioni della parte civile di circoscrivere al giudizio di primo grado la costituzione di parte civile;

4) nullità della sentenza per effetto della nullità dedotta;

5) nullità della sentenza per violazione dell’art. 125 c.p., essendo la motivazione basata su argomentazioni generiche, contraddittorie ed apparenti, nonchè su congetture prive di qualsiasi costrutto logico ed obiettivo, non avendo la corte di merito valutato le circostanze dedotte nei motivi di appello ed essendo la responsabilità degli imputati affermata unicamente sulla base delle evanescenti affermazioni di C.C.. I giudici di appello, inoltre, non avrebbero correttamente e logicamente motivato nel respingere l’eccezione di improcedibilità dell’azione penale formulata dalla difesa per mancata identificazione nel verbale di ratifica del soggetto che aveva depositato la querela, in violazione dell’art. 337 c.p.p., n. 4;

6) contraddittorietà ed erroneità della motivazione avendo ritenuto i giudici di appello intrinsecamente attendibili le disarticolate, illogiche ed interessate dichiarazioni della vittima; apparenza della motivazione della decisione nella parte in cui si sostiene che le dichiarazioni della denunciante abbiano trovato valido riscontro nella deposizione del P. che ha invece smentito la donna in dibattimento. Si sostiene inoltre che la corte di merito non avrebbe valutato la causale che avrebbe spinto C.C. ad accusare i prevenuti essendo stata da costoro licenziata, nè aveva preso in considerazione le circostanze di natura obiettiva evidenziate negli interrogatori degli imputati circa le limitate dimensioni del locale (di circa 40 m2) e la gestione conduzione familiare che oggettivamente non avrebbero potuto consentire – sempre ad avviso dei ricorrenti – di non accorgersi di quanto stava accadendo alle persone presenti nel locale stesso; che rimane inspiegabile la ragione per la quale la C. non abbia denunciato l’accaduto alle mogli degli imputati, che lo stesso P. ha dichiarato di non aver visto nulla nè di avere sentito grida; che non sarebbero state considerate dalla corte le dichiarazioni rese da C.E. e I. A. che avevano riferito anche ai carabinieri che la C. era adirata per il licenziamento e che intendeva vendicarsi raccontando di essere stata molestata essendo quello d’unico modo per spillare dei soldi. La corte di merito infine non avrebbe valutato che i fatti sarebbero accaduti ai primi di luglio del 2001 mentre la C. aveva formulato la denuncia solo dopo il licenziamento nè la personalità dei prevenuti ultracinquantenni che mai avrebbero potuto agire nel modo denunciato;

7) nullità della sentenza per violazione degli artt. 125, 495 e 468 c.p., avendo la corte illogicamente respinto la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale laconicamente ritenendo superflua l’audizione dei testi indicati dalla difesa che già il tribunale aveva escluso.

Motivi della decisione

Appaiono fondati i primi due motivi di ricorso.

Si sostiene nel ricorso che il decreto di citazione era stato emesso per l’udienza del 21 maggio 2010; che a tale udienza i due imputati non erano comparsi e che la corte di merito aveva rinviato alla successiva udienza del 30 giugno 2010 per l’assenza del consigliere relatore, udienza nella quale veniva dichiarata la contumacia degli imputati benchè non fosse stato loro notificato un nuovo decreto di citazione per l’udienza del 30 giugno 2010.

Tale rilievo, correttamente esposto sotto il profilo fattuale, è certamente fondato, alla luce dell’orientamento assolutamente prevalente della giurisprudenza di legittimità.

L’omessa notificazione all’imputato non comparso, ma non ancora dichiarato contumace, dell’ordinanza di rinvio del dibattimento è causa di nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado dello stesso. (Sez. 6, n. 14376 del 26/02/2009 Rv. 243260; Sez. 1, n. 15814 del 19/03/2009 Rv. 243733).

Ritiene il collegio infatti di dover condividere le motivazioni alla base dell’orientamento indicato secondo cui non essendo stata dichiarata la contumacia dell’imputato, "fisicamente non presente", prima dell’avvenuta decisione del rinvio dell’udienza dibattimentale, nè essendo tale evenienza processuale possibile, per difetto di costituzione del rapporto processuale, il detto imputato appellante non poteva essere considerato "formalmente presente", dato che egli non poteva essere rappresentato dal suo difensore (ex art. 420 quater c.p.p., comma 2), ed aveva pertanto diritto – alla comunicazione della data della nuova udienza, la cui mancanza ha così determinato la nullità, assoluta, insanabile e rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, che è stata dedotta La sentenza deve essere quindi annullata con rinvio. Rimangono ovviamente assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla con rinvio la sentenza impugnata alla Corte di appello di Roma, altra sezione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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