T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, Sent., 04-08-2011, n. 513 Forze armate

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I – Il ricorrente, commissario capo della Polizia di Stato, avendo ricevuto una contestazione di addebiti per la mancata informativa al Questore di una segnalazione di reato a carico di un Ispettore di Polizia e per aver disatteso alcune circolari sull’impiego del personale di ordine pubblico, nonché per altre presunte infrazioni, insorge e impugna i seguenti atti: 1)il provvedimento del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza datato 15.3.1999 prot. n. 333, notificato il 13.4.1999, con il quale è stata inflitta al ricorrente la sanzione disciplinare della pena pecuniaria nella misura di 1/30 di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo; 2)ogni altro atto preordinato, conseguente o connesso. Il ricorrente deduce i seguenti motivi: 1)violazione dell’art. 3 della legge 7.8.1990 n. 241, difetto di motivazione; 2)eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità e contraddittorietà manifesta.

Con successiva memoria, il ricorrente ribadisce e precisa le proprie deduzioni e conclusioni.

Si costituisce l’Amministrazione intimata, deducendo, anche con successiva memoria, l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso. Conclude per la reiezione.

Con la ordinanza collegiale n. 318 del 1999, questa Sezione accoglie la domanda cautelare della parte ricorrente.

Con la ordinanza presidenziale n. 140 del 2011, sono disposti incombenti istruttori.

All’udienza dell’8 maggio 2011, la causa viene introitata per la decisione.

II – Il ricorso è infondato.

III – Il ricorrente funzionario di polizia ha ricevuto contestazioni per una molteplicità di addebiti (mancata informativa al Questore di una segnalazione di reato riguardante un altro funzionario di polizia, mancato rispetto delle circolari sull’impiego del personale di ordine pubblico, mancato rispetto di ordini verbali e scritti del Questore e altre infrazioni). Tutte le questioni sono di poco momento, ma – come rilevato – gli addebiti sono molteplici ed è proprio la loro "sommabilità" a dare l’impressione nitida che l’Amministrazione si sia mossa al colmo della misura, allorché tutta la condotta del funzionario ricorrente sia apparsa complessivamente indisciplinata e meritevole di sanzione. Le giustificazioni del ricorrente solo in parte danno risposta agli addebiti. Ad esempio, il ricorrente definisce i diverbi tra lui e il Questore "corretti scambi di idee", ma nel foglio di addebiti datato 15.1.1999 si riferisce (al punto sub b) di un reiterato rifiuto del ricorrente a eseguire ordini verbali e scritti del Questore. Di tale rifiuto, invero, il ricorrente fornisce una spiegazione alquanto generica e, si direbbe, inadeguata. Pertanto, se il provvedimento impugnato irroga una sanzione disciplinare – peraltro di modesta entità – lo fa motivatamente, rilevando come il ricorrente abbia "disatteso il fondamentale dovere di subordinazione" e sia venuto meno al "dovere di diligenza, il quale impone di improntare l’attività di lavoro ai livelli di massima cura e rendimento".

Invero, nell’ordinamento della Polizia di Stato vige il modulo organizzativo della subordinazione gerarchica, prescritto dall’art. 66 della legge 1 aprile 1981 n. 121 e dall’art. 4 del D.P.R. 28 ottobre 1985 n. 782, talché ogni appartenente ai ruoli dell’Amministrazione è tenuto a eseguire gli ordini impartiti dal superiore gerarchico od operativo (cfr.: T.A.R. Campania Napoli IV, 20.7.2010 n. 16865). Questo fondamentale canone è stato interpretato dal ricorrente in chiave democratica e dialettica, ma con arbitrari e frequenti sconfinamenti della sua condotta operativa – sia pure di lieve misura – dai limiti segnati nelle direttive gerarchiche.

I motivi del ricorso sono, pertanto, inattendibili. Il provvedimento disciplinare impugnato non è immotivato, né illogico, né contraddittorio, poiché esso reca le necessarie e sufficienti argomentazioni, atte a spiegare l’irrogazione di una sanzione disciplinare commisurata alle violazioni contestate e rilevate. Peraltro, il provvedimento inflittivo è solo l’atto conclusivo di un procedimento svoltosi in modo regolare, mediante contestazioni complete e circostanziate che hanno messo in grado il ricorrente di svolgere le proprie difese in una situazione di cognizione piena e consapevole (cfr.: T.A.R. Emilia Romagna Bologna I, 11.12.2006 n. 3217). Il provvedimento reca in sé un’adeguata motivazione, peraltro integrabile, "per relationem", alla luce della documentazione sottostante. Occorre, a tal riguardo, osservare che le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi. E’ l’Amministrazione che, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilisce il rapporto tra l’infrazione e il fatto, che assume rilevanza sulla base di un apprezzamento di ampia discrezionalità, del quale il giudice amministrativo non può sindacare il merito (cfr.: Cons. Stato I, 28.8.1998 n. 2175; idem VI, 20.2.1987 n. 67; C.G.A. Sicilia 20.8.1997 n. 189).

IV – In conclusione, il ricorso non può essere accolto. Si ravvisano giustificate ragioni per la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge, perché infondato.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina all’Autorità amministrativa di dare esecuzione alla presente sentenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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