T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, Sent., 04-08-2011, n. 1355 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La ricorrente, cittadina del Marocco, regolarmente soggiornante in Italia l’1 gennaio 2009 ha presentato allo Sportello unico per l’immigrazione di Rovigo un’istanza di rilascio del nulla osta per ottenere il ricongiungimento familiare con la madre ed il padre.

In data 20 marzo 2009 le è pervenuta la comunicazione di preavviso di rigetto motivata dall’insufficienza dei redditi prescritti dalla legge.

La ricorrente ha presentato documentazione attestante la sufficienza dei redditi del marito convivente.

Nonostante ciò il 5 maggio 2009 l’istanza è stata respinta.

Avverso il diniego la ricorrente ha presentato ricorso ai sensi dell’art. 30, comma 6, del Dlgs. 25 luglio 1998, n. 286, al Tribunale di Rovigo in composizione monocratica, il quale, con provvedimento del 4 agosto 2009, richiamato l’orientamento giurisprudenziale che consente in casi come questi la cumulabilità dei redditi del coniuge, ha annullato il diniego ordinando, così come consentito dall’art. 30, comma 6, del Dlgs. n. 286 sopra citato, il rilascio del visto.

La decisione è stata notificata al Ministero dell’Interno e alla Prefettura di Rovigo senza che avverso alla stessa sia stato proposto reclamo.

Con provvedimento del 17 maggio 2010 è stato nuovamente negato il rilascio dei visti d’ingresso per il ricongiungimento in quanto è emerso che i genitori ultrasessantacinquenni della ricorrente hanno altri figli residenti in Marocco, e non è stata fornita la prova che essi siano impossibilitati al loro sostentamento (l’art. 29, comma 1, lett. d, del Dlgs. 25 luglio 1998, n. 286, prevede infatti che lo straniero possa chiedere il ricongiungimento per i "genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero per i genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute").

Avverso questo nuovo diniego la ricorrente ha presentato un ulteriore ricorso al Tribunale di Rovigo in composizione monocratica senza contestare il merito delle conclusioni cui è pervenuta l’Ambasciata circa l’assenza dei requisiti per ottenere il ricongiungimento, ma lamentando la mancata ottemperanza al contenuto della precedente pronuncia e l’incompetenza dell’Ambasciata a svolgere tali accertamenti.

Il Tribunale di Rovigo in composizione monocratica, con provvedimento del 29 settembre 2010, ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione, ritenendo che la doglianza rispetto alla mancata conformazione al giudicato non può che farsi valere innanzi al giudice amministrativo con le forme del giudizio di ottemperanza.

Con il ricorso in epigrafe la ricorrente chiede sia dichiarata la nullità del provvedimento del 17 maggio 2010 del Consolato generale d’Italia, ordinando all’Amministrazione di ottemperare alla decisione del Tribunale di Rovigo in composizione monocratica del 4 agosto 2009.

L’Amministrazione, nonostante sia stata regolarmente notiziata del ricorso, non si è costituita in giudizio.

Alla Camera di consiglio del 22 giugno 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è inammissibile perché nel caso all’esame, contrariamente a quanto dedotto, non è configurabile un giudicato nella pronuncia di cui è chiesta l’esecuzione, né una situazione di inesecuzione di un giudicato.

Il provvedimento di cui è chiesta l’esecuzione è stato adottato all’esito di un ricorso proposto ai sensi degli artt. 737 ss. c.p.c., e pertanto non costituisce titolo idoneo a fondare un ricorso per ottemperanza davanti al giudice amministrativo, trattandosi di provvedimento che, come precisa l’art. 742 c.p.c., può essere in ogni tempo modificato o revocato (cfr. con specifico riferimento a provvedimenti emessi in materia di ricongiungimento familiare Tar Lazio, Roma, Sez. II, 1 febbraio 2008, n. 890; Tar Toscana, Sez. I, 30 gennaio 2006, n. 200; Tar Sicilia, Catania, Sez. I, 7 gennaio 2003, n. 26; Tar Toscana, Sez. I,22 Ottobre 2002, n. 2542; Cass. Sez. Un. 24 luglio 2007, n. 16301).

Peraltro, l’art. 30, comma 6, del Dlgs. 25 luglio 1998, n. 286, si limita a prevedere che l’interessato possa presentare ricorso "al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui risiede, il quale provvede, sentito l’interessato, nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile", senza ulteriori specificazioni circa il rito da seguire.

Sembra pertanto corretto trarre la conclusione che il provvedimento di cui è chiesta l’esecuzione non rientra nel novero di quelli assimilati o equiparati dal legislatore ai provvedimenti idonei ad assumere la forza e la efficacia di giudicato, come accade invece ad esempio nell’ipotesi contemplata dall’art. 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89, dove è il legislatore a stabilire che il provvedimento pronunciato è "impugnabile per cassazione", e non vi è quindi dubbio che si tratti di provvedimento definitivo di natura decisoria per il quale è adottato il modello camerale solo in ragione del suo carattere di maggiore celerità (cfr. Consiglio si Stato, Sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6318; Cassazione, Sez. I, 22 ottobre 2002, n. 14885).

In secondo luogo vi è da osservare che ad uguale esito di inammissibilità si giungerebbe anche a voler considerare per ipotesi formatosi un giudicato.

Infatti nel caso all’esame l’Amministrazione ha adottato un nuovo diniego fondato su elementi di fatto ostativi all’accoglimento della domanda diversi da quelli esaminati nel precedente giudizio e la cui sussistenza è emersa successivamente alla pronuncia.

Sul punto vi è da osservare che il giudizio di ottemperanza può essere attivato in caso di inerzia totale o parziale e in caso di atti violativi o elusivi del giudicato (come chiarisce la recente sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 23 maggio 2011, n. 3078, anche dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, l’oggetto del giudizio di ottemperanza non è costituito da qualsiasi provvedimento amministrativo adottato dopo la pronuncia del giudice di cui si chiede l’esecuzione, ma è costituito dalla verifica della corretta attuazione del giudicato).

Perché possa ravvisarsi il vizio di violazione o elusione del giudicato non è pertanto sufficiente che la nuova attività posta in essere dall’Amministrazione dopo la formazione del giudicato alteri l’assetto degli interessi definito dalla pronuncia di cui è chiesta l’esecuzione, ma è necessario che l’Amministrazione eserciti nuovamente la medesima potestà pubblica, già illegittimamente esercitata, in contrasto con il puntuale contenuto precettivo del giudicato amministrativo, oppure cerchi di realizzare il medesimo risultato con un’azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l’esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che la giustificano.

Nel caso all’esame l’Amministrazione ha provveduto con un atto nuovo successivo non elusivo o violativo, ma semmai autonomamente lesivo, perché si fonda sull’accertata mancanza dei requisiti necessari ad ottenere il ricongiungimento non esaminati nel corso del precedente giudizio che si è concluso con la pronuncia di cui viene chiesta l’esecuzione.

Sul punto vi è da osservare che nella struttura di tipo impugnatorio che connota il ricorso proposto ai sensi dell’art. 30, comma 6, del Dlgs. 25 luglio 1998, n. 286, secondo il rito di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c., la statuizione del giudice si forma con esclusivo riferimento ai vizi dell’atto ritenuti sussistenti alla stregua dei motivi dedotti nel ricorso, e non è in toto applicabile il principio secondo il quale la pronuncia copre il dedotto ed il deducibile in via di azione o eccezione.

Non è pertanto sufficiente ai fini del promovimento del giudizio di ottemperanza il mero contrasto con le conclusioni cui è pervenuta la statuizione giurisdizionale, in quanto permane in capo all’Amministrazione, in sede di riesercizio del potere, la potestà di stabilire un diverso assetto degli interessi coinvolti, e resta naturalmente ferma l’eventuale azione volta all’accertamento dei vizi del nuovo provvedimento da far valere secondo il rito ordinariamente previsto per il tipo di atti impugnati, che nel caso di specie esula dalla cognizione del giudice amministrativo.

In definitiva, non essendo configurabile per le ragioni illustrate una situazione di inesecuzione di un giudicato, che costituisce specifica condizione dell’azione di ottemperanza (cfr. la già citata sentenza Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 23 maggio 2011, n. 3078), il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. b), cod. proc. amm.

La mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione esime il Collegio dal dover pronunciare sulle spese.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara inammissibile.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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