Cass. pen., sez. I 27-07-2007 (11-07-2007), n. 30693 – Nozione di consegna – Unica contestazione relativa a prescrizioni diverse riconducibile alla stessa consegna.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe la Corte Militare di Appello, ridotta a quattro mesi di reclusione militare la pena (sospesa) inflitta al Carabiniere D.G. per violata consegna, con attenuanti generiche, ha nel resto confermato la decisione in data 24.11.2005 del G.U.P. presso il Tribunale Militare di Roma.
L’imputato era chiamato a rispondere dell’inosservanza di una disposizione del Comando generale che prescriveva, al termine del servizio armato, di scaricare l’arma e metterla in sicura, e di un ordine verbale del Comandante di Compagnia che, in mancanza dei previsti armadi di sicurezza per la custodia, aveva prescritto il deposito in armeria. La violazione era emersa a seguito dell’esplosione di un colpo di pistola in camerata, ove il DEMANUELE, per sua ammissione, la custodiva, con ferimento di un commilitone.
Esclusa una immutazione del fatto contestato e ritenuto legìttimo l’ordine del Comandante, che nella particolare situazione – non contemplata dalle prescrizioni generali – doveva ritenersi autorizzato a disporre il deposito in armeria in deroga alle limitazioni previste (militari assenti per licenza o permesso di durata superiore alle 24 ore), la Corte di merito ha ritenuto non sufficientemente provato che l’imputato avesse omesso di scaricare l’arma, ben potendo averlo fatto per poi ricaricarla in camerata (condotta di rilevanza disciplinare, ma non collegabile al servizio armato precedentemente prestato, cui si riferiscono le consegne). Il reato era invece indubbiamente integrato nei suoi elementi materiali e psicologici (dolo generico) in conseguenza del mancato deposito della pistola in armeria, in consapevole violazione di una specifica disposizione data dal Comandante e attestata dalla deposizione sua e di un pari grado.
Ricorre per cassazione il difensore, denunciando la "nullità della sentenza di primo grado per difetto di correlazione tra accusa e sentenza". Il G.U.P. aveva infatti affermato la responsabilità dell’imputato in relazione all’addebito "non tanto o soltanto di non avere custodito l’arma secondo le consegne generali o particolari impartitegli in forma scritta ovvero verbalmente, ma anche e soprattutto di averla maneggiata violando qualsiasi regola relativa al suo porto, impiego e manutenzione. …soffermarsi unicamente sul momento della custodia… rischierebbe di fornire una chiave di lettura riduttiva e inadeguata della vicenda". Pertanto, il fatto giudicato e ritenuto non coincideva materialmente con quello in effetti contestato. Nè la sentenza di secondo grado aveva fornito adeguata risposta alle doglianze formulate con l’appello, dando rilievo all’omissione del deposito in armeria, ritenuto in sostanza irrilevante dal primo giudice; vi erano dunque stati "due giudizi autonomi di piena responsabilità per condotte differenti".
Tanto premesso, è poi censurata come illogica la ritenuta violazione di un ordine verbale contrastante con le disposizioni generali del Comando dell’Arma, che non consentono il deposito in armeria se non a militari alloggiati fuori della caserma o assenti per licenza o permesso di lunga durata; ciò tanto più che l’armiere non sarebbe "diretto sottoposto" del Comandante di Compagnia e non potrebbe ricevere le armi se non su disposizione scritta.
Sotto altro profilo, poichè il servizio armato era terminato l’undici settembre 2002, mentre la detenzione della pistola in camerata era stata accertata il giorno successivo, non era chiarita la ragione per cui la condotta veniva ritenuta realizzata nell’attualità del servizio regolato dalle consegne in discussione.
Neppure poteva ravvisarsi l’elemento soggettivo del reato, essendosi il ricorrente attenuto alle consegne scritte del Comando superiore, che facevano divieto di deposito in armeria.
Infine, non era stato valutato l’esito degli accertamenti tecnici, di cui pur si dava atto, che riconducevano l’esplosione del colpo non ad azione consapevole, ma ad imprudente manovra che aveva portato il grilletto a contatto con il cavo di un carica batteria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato, e in parte basato su argomentazioni non pertinenti o rivolte a prospettare censure precluse nel giudizio di legittimità.
Quanto alle doglianze concernenti la pretesa immutazione del fatto, va rammentato che la nozione di consegna, per costante giurisprudenza, comprende tutto quel complesso di prescrizioni tassative, generali o particolari, permanenti o temporanee, scritte o verbali, impartite per l’adempimento di un determinato servizio al fine di regolarne le modalità di esecuzione, dalle quali non è consentito discostarsi.
Pertanto, è del tutto legittima, nell’ambito della contestazione dell’unico reato di cui all’art. 120 c.p.m.p., la menzione della violazione di più prescrizioni diverse, per fonte ed oggetto, comprese nella medesima ed onnicomprensiva "consegna avuta" in relazione allo stesso servizio. Nel caso di specie è contestata una duplice violazione, sia delle disposizioni generali attinenti alla messa in sicurezza dell’arma, sia di quelle – determinate da una particolare situazione di indisponibilità degli armadi prescritti – sul luogo di deposito e custodia; su entrambe è stato ritualmente instaurato il contraddittorio e l’imputato ha avuto ogni possibilità di difesa. Nè la sentenza di primo grado ha escluso la sussistenza delle violazioni relative alla custodia, limitandosi a valutarle di secondaria importanza rispetto all’inosservanza di ulteriori prescrizioni dettate dal Comando generale e letteralmente riportate nel capo d’imputazione, secondo le quali, scaricata l’arma, si deve altresì accertare "che non vi sia il colpo in canna, la sicura sìa inserita, il cane sia abbattuto… non si deve scherzare con le armi in nessun luogo e per nessuna ragione (camerate…)". Pertanto, il primo giudice non è uscito dall’ambito del fatto contestato, e quello di appello si è limitato a correggerne la motivazione e restringere il campo dell’illecito al mancato deposito in armeria, pure contemplato dal capo d’imputazione e non escluso dalla precedente sentenza.
Tale ridimensionamento del fatto – e, corrispondentemente, della pena – rientra nei poteri di riesame del merito, nell’ambito del "devolutum", propri del giudice di appello, ed è corrette in quanto il servizio armato, cui si riferisce la consegna violata, comprende necessariamente il prelievo e il caricamento delle armi e, al termine, lo scaricamento e il collocamento nel luogo destinato alla loro custodia, ma non può estendersi a condotte successive di incauta detenzione o maneggio all’interno degli alloggi. In questi termini la censura avanzata dal ricorrente con l’appello è stata accolta, ed egli non può più utilmente riproporla in questa sede nè dolersi di un difetto di motivazione sul punto o della mancata considerazione di accertamenti relativi alla ulteriore vicenda dell’esplosione di un colpo in camerata.
Quanto all’ordine, dato dal Comandante di Compagnia, di riporre le armi in dotazione presso l’armeria, correttamente è stato ritenuto legittimo perchè le disposizioni del Comando generale in data 7.6.1990 -che da un lato prevedono la custodia nei cassetti del tavolo di lavoro o in armadi corazzati o almeno chiusi a chiave, dall’altro consentono il deposito in armeria solo a militari non alloggiati in caserma o legittimamente assenti per oltre 24 ore – non potevano nel caso di specie essere congiuntamente osservate per la mancanza di arredi aventi le caratteristiche prescritte, sicchè, nell’alternativa, il Comandante di Compagnia ha ragionevolmente dato la precedenza all’unica e necessitata soluzione rispondente alle primarie esigenze di sicurezza perseguite dalla disposizione generale dell’organo sovraordinato; nè d’altra parte è chiarito dal ricorrente perchè l’ordine non fosse vincolante per l’armiere del reparto (e quindi, si sostiene, inesigibile per i militari).
Quanto infine all’elemento soggettivo, premesso il consolidato principio per cui è richiesto il dolo generico, consistente nella consapevole inosservanza della disposizione inerente al servizio, va ricordato che non sono ammesse interpretazioni e opinioni personali che con essa si pongano in contrasto (Cass., Sez. 1, 27.11.1986/1.4.1987, Vollino) e che, anche se l’ordine più recente (che non sia manifestamente criminoso) si trovi in conflitto con altro anteriore, il militare, secondo il regolamento di disciplina, deve obbedire, salvo l’obbligo di informare il superiore da cui proveniva la disposizione precedente (Cass., Sez. 1, 19.1/29.2.1996, Fazio).
Il ricorso va perciò respinto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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