Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-07-2011) 27-07-2011, n. 30021 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del GIP del tribunale di Bologna del 17.4.2009, F. T. venne sottoposta alla misura cautelare della custodia in carcere in relazione a reati in tema di sfruttamento della prostituzione.

L’ordinanza fu confermata dal tribunale del riesame di Bologna il 7 maggio 2009.

L’imputata venne condannata in primo e secondo grado alla pena di anni 4 di reclusione oltre la multa.

La medesima chiese alla corte d’appello di Bologna la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. La corte d’appello, con ordinanza 3.12.2010, respinse l’istanza.

L’imputata propose appello al tribunale del riesame, il quale, con l’ordinanza in epigrafe, la respinse rilevando che non erano intervenuti fatti nuovi che giustificassero una attenuazione della pericolosità sociale della F. e del pericolo di fuga.

L’imputata propone ricorso per cassazione deducendo:

1) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla insussistenza di elementi valutativi nuovi in grado di incidere sulle esigenze cautelari. Osserva che la conclusione del giudizio di merito costituisce un fatto nuovo rilevante perchè fa scemare il rischio di inquinamento probatorio. Inoltre è rilevante il fattore temporale in concorso con altri elementi che influiscono sulle esigenze cautelari, quali nella specie la disponibilità di un domicilio idoneo.

2) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari. La contraddittorietà concerne il pericolo di fuga che non può ritenersi sussistente solo per il fatto di essere cittadina straniera. La contraddittorietà riguarda anche l’affermazione della idoneità della aspirante ospite al suo mantenimento.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Quanto al venir meno del pericolo di inquinamento probatorio, va rilevato che questa esigenza non è stata considerata dal tribunale del riesame sicchè ogni considerazione sulla stessa è inconferente.

Quanto al tempo di applicazione della misura già decorso, va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, "In tema di misure cautelari personali, l’attenuazione o l’esclusione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare" (Sez. 5^, 2.2.2010, n. 16425, Iurato, m. 246868; Sez. 2^, 8.11.2007, n. 45213, Lombardo, m. 238518).

Nella specie, appunto, l’ordinanza impugnata ha, con congrua ed adeguata motivazione, escluso che sussistessero altri elementi che potessero far ritenere scemate le esigenze cautelari. Certamente non può ritenersi che integri un elemento di questo genere la disponibilità di un domicilio idoneo da parte di un soggetto residente in Italia, anche a non voler considerare che il tribunale del riesame ha rilevato che non era stata data prova che tale soggetto fosse in ipotesi in grado di provvedere al mantenimento della F..

Quanto al pericolo di fuga, il tribunale del riesame ha ricordato la motivazione con la quale l’ordinanza impositiva aveva ampiamente giustificato la presenza concreta del detto pericolo, stanti anche i diversi ed ampi rapporti dell’imputata con una molteplicità di soggetti anche residenti all’estero (e non già, come erroneamente si sostiene con il ricorso, solo per il motivo che si tratti di cittadina straniera), rilevando che non sussistevano elementi nuovi che facessero ritenere affievolito tale pericolo. Nè elementi nuovi in questo senso sono stati prospettati con il ricorso.

Più in generale deve rilevarsi che l’ordinanza impugnata ha motivato il permanere delle esigenze cautelari non solo con il pericolo di fuga ma anche con il concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie. Questa esigenza, che da solo giustificava la reiezione dell’appello, non è stata investita con il ricorso per cassazione.

Ora, in presenza di due distinte rationes decidendi, autonome e autosufficienti, manca di specificità – ed è pertanto inammissibile (art. 591 c.p.p.) – il ricorso che si limita ad attaccare una sola di esse, ignorando l’altra.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta i fondatezza dei motivi.

In applicazione dell’art. 616 c.p.p., segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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