Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-07-2011) 27-07-2011, n. 30013 Costruzioni abusive Demolizione di costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’ordinanza impugnata il giudice dell’esecuzione del tribunale di Roma respinse l’istanza presentata da M.G. e B. G. di revoca dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo disposto con la sentenza 13.12.2000, passata in giudicato.

Osservò il tribunale: a) che era irrilevante la proposizione di una istanza di condono, perchè questa evidentemente era già stata valutata in sede di cognizione; b) che la domanda di condono era risalente nel tempo senza che fosse ancora intervenuto alcun provvedimento amministrativo di condono.

La M. propone ricorso per cassazione deducendo:

1) mancanza o manifesta illogicità della motivazione, perchè il giudice ha erroneamente ritenuto che la pendenza della istanza di condono fosse già stata valutata in sede di cognizione, mentre ciò era impossibile in quanto la domanda di condono è stata inoltrata nel 2004 mentre la sentenza di condanna è del 2000. 2) che il giudice dell’esecuzione ha omesso di svolgere qualsiasi controllo sulla ammissibilità della domanda di condono, con riferimento al tipo di abuso, alla data di realizzazione, alla congruità degli oneri pagati e ai tempi di definizione della procedura amministrativa.

Il B. propone ricorso per cassazione deducendo nullità dell’ordinanza per omessa notificazione al ricorrente ed al suo difensore dell’avviso di fissazione dell’udienza di discussione dell’istanza di revoca dell’ordine di demolizione.

Nel merito propone gli stessi motivi della M..

Motivi della decisione

Il ricorso di M.G. è manifestamente infondato per le esatte considerazioni svolte dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta.

Occorre infatti considerare che le rationes decidendi dell’ordinanza impugnata sono due, ognuna delle quali autonoma e da sola sufficiente a sorreggere la decisione.

La prima ratio (questione già decisa in sede di cognizione) è palesemente infondata e contro di essa si indirizzano esclusivamente i motivi del ricorso.

Sennonchè l’ordinanza impugnata si fonda anche su una seconda ratio, ignorata dal ricorso, evidenziata nell’ultima parte dell’ordinanza stessa, e cioè sul fatto che, nonostante fossero state presentate le domande di condono in epoca risalente, nessun ulteriore provvedimento amministrativo era intervenuto in merito.

Questa ratio, da sola, giustifica la reiezione dell’istanza, posto che per giurisprudenza costante la mera pendenza di una procedura amministrativa di condono – di cui si ignorano lo stato ed i tempi di definizione – non è ragione sufficiente non solo per la revoca, ma nemmeno per la sospensione dell’ordine di demolizione.

E difatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, l’ordine di demolizione delle opere abusive emesso con la sentenza passata in giudicato può essere revocato esclusivamente se risulta assolutamente incompatibile con atti amministrativi o giurisdizionali resi dalla autorità competente, che abbiano conferito all’immobile altra destinazione o abbiano provveduto alla sua sanatoria (Sez. 3^, 16 aprile 2002, Cassarino, m. 221,974), mentre può essere sospeso solo qualora sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo sia adottato dall’autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con detto ordine di demolizione, non essendo invece sufficiente una mera possibilità del tutto ipotetica che si potrebbe verificare in un futuro lontano o comunque entro un tempo non prevedibile ed in particolare la semplice pendenza della procedura amministrativa o giurisdizionale, in difetto di ulteriori concomitanti elementi che consentano di fondare positivamente la valutazione prognostica (ex plurimis, Sez. 3^, 17 ottobre 2007, n. 42978, Parisi, m. 238145; Sez. 3^, 5.3.2009, n. 16686, Marano, m. 243463; Sez. 3^, 30 marzo 2000, Ciconte, m. 216.071; Sez. 3^, 30 gennaio 2003, Ciavarella, m.

224.347; Sez. 3^, 16 aprile 2004, Cena, m. 228.691; Sez. 3^, 30 settembre 2004, Cacciatore, m. 230.308). Nella specie, appunto, non è stata fornita alcuna prova di una emissione in breve tempo di un provvedimento amministrativo in insanabile contrasto con l’ordine di demolizione.

Ora, in presenza di due rationes decidendi autonome ed autosufficienti, manca di specificità – ed è pertanto inammissibile ( art. 591 c.p.p.) – il ricorso che si limita ad attaccare una sola di esse, ignorando l’altra.

Il ricorso della M. deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

In applicazione dell’art. 616 c.p.p., segue la condanna della ricorrente M. al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.

E’ invece fondato il primo motivo del ricorso di B.G..

Trattandosi della denuncia di un errar in procedendo, questa Corte è abilitata ad esaminare gli atti. Ora, nel fascicolo inviato dal tribunale di Roma si rinviene esclusivamente copia di una nota del B. al PM del 4.6.2008 con cui si chiede la revoca dell’ordine di demolizione, il decreto di fissazione di udienza con l’ordine di notificazione alla sola M. e la nomina di un difensore di ufficio per quest’ultima, nonchè la relata di notifica del decreto sempre alla sola M.. Non si rinviene invece nè la notifica del decreto al B. ed al suo difensore nè il verbale dell’udienza in camera di consiglio dinanzi al giudice dell’esecuzione. Questo Collegio ha tempestivamente mandato a richiedere alla cancelleria del tribunale di Roma gli atti mancanti, ed in particolare la notifica del decreto di fissazione dell’udienza al B. ed al suo difensore ed il verbale dell’udienza in camera di consiglio. La cancelleria del tribunale di Roma ha risposto rilevando che l’intero fascicolo ivi esistente è stato qui inviato e che presso di essa non sussistono altri atti relativi al procedimento di esecuzione in questione.

E’ pertanto inutile disporre un rinvio dell’udienza e mandare di nuovo la cancelleria a richiedere al tribunale di Roma gli atti mancanti.

In questa situazione, pertanto, non può farsi altro che prendere atto che non vi è alcuna prova che la fissazione dell’udienza per la discussione dell’incidente di esecuzione sia stata notificata al B. ed al suo difensore o che questi avessero comunque partecipato all’udienza.

Ne deriva la nullità nei confronti di B.G. della procedura di incidente di esecuzione e della ordinanza impugnata, con conseguente annullamento della stessa con rinvio al tribunale di Roma per un nuovo giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso di M.G. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di B.G. con rinvio al tribunale di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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