T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 05-08-2011, n. 7015 Atti amministrativi diritto di accesso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Il Signor A.G.B. ha premesso di essere stato oggetto di attività di indagine della Guardia di finanza di rilievo fiscale per attività svolte e coinvolgenti Stati esteri ed in particolare con riguardo ad eventi di rilevanza tributaria che avrebbero come riferimento enti siti nel Principato di Liechtenstein riconducibili a contribuenti italiani. Nel corso dell’indagine si è realizzato uno scambio di informazioni tra le competenti autorità italiane e quelle corrispondenti di alcuni Stati stranieri, con i quali sono attive convenzioni internazionali per la reciproca assistenza nel settore delle imposte dirette ed indirette, ai sensi della direttiva 19 dicembre 1977 n. 799.

Posto che l’indagine tributaria si era conclusa con l’emissione di tre atti di accertamento a suo carico (tutti gravati dinanzi alla Commissione provinciale tributaria di Milano e relativi agli anni 1999, 2000 e 2001; cfr. gli avvisi di accertamento depositati nel fascicolo di parte), l’odierno ricorrente chiedeva, in data 25 maggio 2010, l’accesso a documenti rilevanti per la sua difesa giudiziale al competente Ufficio dell’Agenzia delle entrate. La richiesta di ostensione non aveva seguito e quindi il ricorrente presentava, in data 29 luglio 2010, alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un ricorso avverso il silenzio sull’istanza di accesso, al quale replicava con nota del 30 luglio 2010 l’Agenzia delle entrate, Direzione centrale accertamento, informando la Commissione della circostanza che nei confronti del Signor B. si palesava il reato di infedele dichiarazione (ex art. 4, comma 1, lett. a) e b), del decreto legislativo n. 74 del 2000) e che, dunque, si era provveduto "a richiedere alla Procura competente la necessaria autorizzazione alla comunicazione dei documenti oggetto dell’istanza del Sig. B." (così, testualmente, la nota dell’Agenzia delle entrate prot. n. 2010/116404 versata in atti).

Con successiva nota del 30 settembre 2010, in vista della trattazione della questione da parte della Commissione in Seduta plenaria, l’Agenzia delle entrate esprimeva le proprie considerazioni in virtù delle quali la richiesta di accesso non poteva che essere negata sia perché il ricorrente era privo di legittimazione sia perché gli atti richiesti rientrano nella categoria dei documenti esclusi dall’accesso ai sensi dell’art. 24, comma 1, lett. a) e b) della legge 7 agosto 1990 n. 241, in quanto relativi a procedimenti tributari rispetto ai quali trovano applicazione esclusiva le disposizioni speciali della normativa di settore e, in particolare, le disposizioni recate dal D.M. n. 603 del 1996 per via delle quali è severamente circoscritta la possibilità di accedere a documenti attinenti alle attività di indagine proprie dei procedimenti tributari.

La Commissione respingeva, con decisione 16 novembre 2010, il ricorso proposto dal Signor B. che, quindi, ora replica nella presente sede giudiziale le richieste ostensive reiterando le ragioni di fondatezza dell’istanza già evidenziate innanzi alla Commissione.

2. – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata contestando analiticamente la fondatezza delle avverse affermazioni e chiarendo le ragioni che renderebbero incontestabile la decisione di reiezione del ricorso giustiziale promosso dal B. dinanzi alla Commissione.

Mantenuta riservata la decisione alla Camera di consiglio del 9 marzo 2011, il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla Camera di consiglio dell’8 giugno 2011.

3. – Il ricorso si presenta fondato nella misura e nei limiti che saranno qui di seguito indicati.

Anzitutto va definito con esattezza l’ambito del presente giudizio che vede sostanzialmente gravati sia l’inerzia dell’Amministrazione sulla istanza di accesso ai documenti presentata dal Signor B. in data 25 maggio 2010 sia la decisione assunta dalla Commissione per l’accesso in data 16 novembre 2010 che ha negato la sussistenza del diritto dell’odierno ricorrente ad avere copia dei documenti richiesti.

In proposito deve rammentarsi che l’ordinamento appresta in favore del richiedente l’accesso ai documenti amministrativi, che abbia visto respingere l’istanza avanzata nei confronti dell’Amministrazione o che non abbia ricevuto risposta ad essa nel termine di trenta giorni, a facoltà dell’interessato, una duplice forma di tutela:

– prima di adire il giudice amministrativo l’interessato può percorrere la strada giustiziale, senza che comunque resti pregiudicata quella giurisdizionale, chiedendo il riesame delle determinazioni negative, espresse o tacite, relative all’accesso, ai sensi dell’art. 25, comma 4, della legge 7 agosto 1990 n. 241 (come sostituito dall’art. 17, comma 1, lett. a), della legge 11 febbraio 2005 n. 15 e da ultimo modificato dall’art. 8, comma 1, lettera b), della legge 18 giugno 2009 n. 69, innovazioni che comunque non hanno inciso sul rapporto tra tutela giustiziale e giurisdizionale, cfr. sul punto T.A.R. Lazio, Sez. I, 27 ottobre 2010 n. 33041);

– cionondimeno, l’interessato può sempre recta via approcciarsi alla tutela giurisdizionale (ora ai sensi dell’art. 116 c.p.a.) ovvero gravare presso il giudice amministrativo (rispetto al quale il Codice del processo amministrativo -segnatamente l’art. 133, comma 1, lett. a) n. 6 – ha confermato la sede esclusiva della giurisdizione) la decisione assunta al termine della procedura giustiziale oppure, ancora, il provvedimento sfavorevole adottato o l’inerzia ulteriormente mantenuta dall’Amministrazione nonostante l’esito favorevole per il richiedente della ridetta procedura giustiziale dinanzi alla Commissione.

Per il caso di diniego (espresso o tacito) nonché di differimento dell’accesso, dunque, l’art. 25, comma 4, della legge n. 241 del 1990 offre al richiedente l’accesso la duplice possibilità:

a) di "presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5";

b) di chiedere il "riesame" della determinazione negativa al difensore civico, per gli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, ovvero alla Commissione per l’accesso "nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato".

All’esito di detto "riesame" – che deve avvenire nel termine di "trenta giorni dalla presentazione dell’istanza", decorso infruttuosamente il quale "il ricorso si intende respinto"- la Commissione, se rileva l’illegittimità del diniego (o del differimento), ne dà comunicazione all’"autorità disponente", la quale può emanare entro i successivi trenta giorni un "provvedimento confermativo motivato" del diniego stesso. In assenza di conferma, "l’accesso è consentito".

Si stabilisce inoltre che "se l’accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso".

Questa disciplina trova sviluppo nel regolamento approvato con D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184, che all’art. 12, individuate nei primi 4 commi le modalità di presentazione del gravame amministrativo, prevede che la Commissione, qualora non dichiari il ricorso irricevibile (se proposto tardivamente) o inammissibile (se proposto da soggetto non legittimato o carente di interesse ovvero se "privo dei requisiti di cui al comma 3 o degli eventuali allegati indicati al comma 4"), "in ogni altro caso" lo esamina e lo decide (così il comma 7. La decisione di irricevibilità o di inammissibilità non preclude peraltro "la facoltà di riproporre la richiesta d’accesso e quella di proporre il ricorso alla Commissione avverso le nuove determinazioni o il nuovo comportamento del soggetto che detiene il documento" (così il comma 8)).

L’art. 25 della legge n. 241 del 1990, nel sancire poi che "contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma quarto è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al tribunale amministrativo regionale" (comma 5), specifica che questo termine, laddove sia stato chiesto il riesame alla Commissione, "decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell’esito della sua istanza" (comma 4).

4. – Tracciate come sopra le traiettorie prescrittive contenute nelle disposizioni dedicate al rimedio giustiziale in materia di accesso ai documenti amministrativi, va nello stesso tempo osservato come non sia pacifica la natura del rimedio amministrativo introdotto dall’art. 25 della legge n. 241 del 1990.

Secondo la tesi maggiormente accreditata, esso sarebbe un ricorso gerarchico improprio (opinione enunciata in un’articolata pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. VI, 27 maggio 2003 n. 2938), peraltro risalente ad epoca anteriore alla riforma della parte V della legge n. 241 del 1990 intervenuta nel 2005, nella quale si affermava l’ammissibilità, nella materia dell’accesso, di "un ricorso di tipo amministrativo, comunque configurato o denominato (riesame, ricorso gerarchico proprio, ricorso gerarchico improprio, ecc.)", tale essendo "sicuramente l’intenzione del legislatore, che (…) ha previsto un ricorso amministrativo al difensore civico (che si configura come una sorta di ricorso gerarchico improprio) e che nell’Atto Senato n. 1281 (che è poi divenuto la legge n. 15 del 2005, n.d.r.) ha previsto anche un analogo ricorso amministrativo alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi (…) (anch’esso configurabile come ricorso gerarchico improprio)").

A tale qualificazione sembrerebbe ostare il rilievo che nei procedimenti giustiziali si ha di norma una completa devoluzione della res controversa all’Autorità decidente (nel senso che all’accoglimento del gravame consegue l’annullamento o la riforma, laddove siano dedotti vizi di merito, dell’atto impugnato, che per tale via viene eliminato dall’ordinamento giuridico ovvero modificato), caratteristica non ravvisabile nel ricorso giustiziale ex art. 25 della legge n. 241 del 1990, il cui accoglimento – per quel che emerge pianamente dalla lettura delle disposizioni recate nella norma surrichiamata – comporterebbe un mero invito, rivolto all’Autorità disponente, a riesaminare la propria determinazione negativa (ovvero, nel caso di inerzia, a provvedere sull’istanza del privato), con conseguente apertura di un nuovo segmento procedimentale suscettibile di concludersi con la motivata conferma del diniego (si tratterebbe in altre parole di una richiesta di riesame del diniego "mediata" dall’intervento della Commissione, ossia dell’organismo che il legislatore del 2005 ha individuato quale referente nazionale per la materia dell’accesso).

Senza dover qui ulteriormente approfondire sulla questione e rimandando per tale scopo alle dotte disquisizioni contenute in alcuni precedenti sul tema (cfr., per tutti, T.A.R. Lazio, Sez. I, 5 maggio 2008 n. 3675, dalla quale sono stati tratti gli spunti riflessivi più sopra riproposti in quanto perfettamente coincidenti con l’opinione del Collegio) e riaffermando la rilevanza del principio espresso nella decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 18 aprile 2006 n. 6, secondo cui la natura impugnatoria dell’actio ad exhibendum e del relativo ricorso prescinde dalla natura della situazione giuridica soggettiva sottostante, non sembrano sussistere ostacoli alla cognizione diretta da parte del giudice anche dell’originario provvedimento (seppur tacito) impeditivo dell’accesso, sempreché la relativa domanda faccia parte del petitum (cfr., ancora, T.A.R. Lazio, Sez. I, n. 3560 del 2008, cit.), ciò potendosi desumere:

a) dal tenore dei ridetti commi 4 e 5 dell’art. 25, dai quali risulta che l’azione giurisdizionale ha ad oggetto le "determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso " ancorché sia stata previamente adita la Commissione;

b) in via sistematica, dalle finalità di semplificazione e di favor perseguite dalla normativa in esame, dovendosi altresì tener conto della circostanza che l’accesso ai documenti amministratrici attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ex art. 117, secondo comma, lettera m), cost. (cfr., sul tema, Corte cost., 1 dicembre 2006 n. 399).

In conclusione, il meccanismo di tutela fin qui indagato comporta che l’oggetto del giudizio in materia di accesso sia comunque costituito dalla verifica circa la fondatezza o meno dell’istanza presentata all’Amministrazione (che quell’accesso ha negato ovvero rispetto alla quale è rimasta (colpevolmente, sussistendo il dovere di rispondere espressamente) inerte) e quindi dall’accertamento diretto del diritto, non essendo limitato al sindacato sulla legittimità delle determinazioni assunte dalla Commissione per l’accesso, il cui contenuto, nondimeno, va pur sempre tenuto in considerazione dal giudice amministrativo innanzi al quale è proposto il ricorso, specialmente nelle ipotesi – per come è avvenuto nel caso di specie – in cui la decisione della Commissione sia stata specificamente fatta oggetto di impugnazione giudiziale con deduzione di motivi di contestazione.

5. – Venendo ora all’esame della questione controversa occorre chiarire che il Signor B. ha dimostrato di essere interessato ad acquisire documentazione in possesso dell’Amministrazione intimata ed utilizzata nell’ambito dell’istruttoria che ha condotto all’emissione di tre avvisi di accertamento in danno dell’odierno ricorrente. In particolare, egli desidera accedere ai seguenti atti:

a) tre note del 21 novembre 2007, 7 gennaio 2008 e 11 giugno 2008, trasmesse dall’autorità fiscale del Regno Unito;

b) una lettera del 12 agosto 2008 dell’autorità fiscale dell’Australia indirizzata al gen. Renato Maria Russo, Capo del II Reparto del Comando generale della Guardia di finanza e trasmessa all’Agenzia delle entrate con nota n. 0294945 del 10 settembre 2008;

c) tutti i documenti e informazioni allegate, attinenti, antecedenti o susseguenti alla documentazione di cui sopra.

La Commissione, tenuto conto della circostanza che gli atti richiesti erano coinvolti in una istruttoria penale avviata per la contestazione del comportamento posto in essere dal Signor B. quale reato di infedele dichiarazione per come configurato dall’art. 4, comma 1, lett. a) e b), del decreto legislativo n. 74 del 2000 e pur consapevole che gli Uffici avevano posto la questione alla Procura della Repubblica di Roma senza aver ottenuto risposta (tanto che la stessa Commissione aveva, in un primo tempo, sospeso il giudizio sul ricorso giustiziale proposto dall’odierno ricorrente, in attesa della informazioni che sarebbero dovute pervenire dalla Procura della Repubblica), decideva – lo si ripete, senza aver ricevuto risposta dalla pur compulsata Procura competente (cfr. pag. 1 della decisione della Commissione, qui gravata) – di respingere il ricorso sulla scorta di due considerazioni svolte dagli Uffici amministrativi coinvolti in sede di procedura giustiziale (cfr. pagg. 3 e 4 della decisione della Commissione, qui gravata) e che la Commissione ha fatto proprie:

A) l’art. 2 del D.M. n. 603 del 1996, relativo alle categorie di documenti inaccessibili per motivi attinenti alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionali, esclude dall’accesso i documenti relativi all’attività investigativa ed ispettiva la cui diffusione può pregiudicare l’attività di indagine di organismi nazionali ed esteri, incidendo sulla correttezza delle relazioni internazionali nonché i documenti attinenti ad accordi di cooperazione, anche di carattere investigativo nei settori istituzionali sviluppati con l’apporto e la collaborazione di organismi di polizia fiscali e doganali esteri nonché dei servizi della Commissione dell’Unione europea e di altri organismi comunitari internazionali;

B) l’art. 4 del succitato decreto ministeriale, relativo alle categorie di documenti inaccessibili per motivi attinenti all’ordine ed alla sicurezza pubblica, nonché alla prevenzione ed alla repressione della criminalità, sottrae all’accesso, tra gli altri, i documenti relativi all’attività investigativa, ispettiva e di controllo dalla cui diffusione possa comunque derivare pregiudizio alla prevenzione e repressione della criminalità nei settori di competenza anche attraverso la conoscenza delle tecniche informative ed operative nonché degli atti di organizzazione interna, quando questa possa pregiudicare le singole attività di indagine nonché i documenti istruttori, comunicazioni su ipotesi di frodi in materia tributaria e segnalazioni dei servizi della Commissione europea o di altri organismi internazionali o Stati esteri ai fini della prevenzione e repressione delle frodi stesse

Il tenore delle due disposizioni regolamentari succitate, in altri termini ed a parere della Commissione, rende inaccessibili gli atti richiesti dal Signor B. rientrando questi ultimi nelle tre categorie di documenti interessate dalle due disposizioni ostative all’accesso sopra riprodotte.

6. – Diviene a questo punto indispensabile, ai fini del decidere, indagare circa la portata, il contenuto e l’attuale efficacia delle disposizioni regolamentari di cui sopra, onde percepirne l’esatta forza ostativa all’accesso che esse recherebbero rispetto agli atti richiesti dall’odierno ricorrente.

Quanto alla natura degli atti rispetto ai quali il Signor B. richiede di poter accedere, indubbiamente essi rientrano nelle categorie evidenziate dalla Commissione per l’accesso, atteso che essendo stati formati nel corso di indagini internazionali volte alla scoperta ed alla repressione di condotte violative della legislazione nazionale di ambito tributario, con rilievi financo di natura penale, non possono che, cumulativamente, tradursi in documenti inerenti le attività investigative ed ispettive che sono richiamate, ai fini della individuazione classi di documenti esclusi dall’accesso, sia nell’art. 2 che nell’art. 4 del decreto ministeriale 29 ottobre 1996 n. 603, in quanto la loro ostensione potrebbe rivelare il segreto delle tecniche investigative (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. IV, 11 aprile 2002 n. 1977).

Fermo quanto testé affermato, occorre però interrogarsi sul se la semplice circostanza che un atto rientri in una di tali categorie (puntualmente indicate dalla norma regolamentare) sia elemento sufficiente ad impedire ad un soggetto che sia sottoposto ad attività repressivosanzionatoria in quel settore e che abbia visto tale documentazione utilizzata dall’Amministrazione per irrogare la relativa sanzione (come è avvenuto nel caso in esame) di conoscerne il contenuto al fine di poter adeguatamente approntare le difese onde percorrere le strade giudiziali che l’ordinamento rende disponibili in materia.

Non a caso, infatti, costituiscono ormai principi acquisiti dalla giurisprudenza amministrativa i seguenti passaggi assertivi:

a) il diritto di accesso ai documenti amministrativi, di cui all’art. 22 della legge n. 241 del 1990, posto a garanzia della trasparenza ed imparzialità della Pubblica amministrazione, trova applicazione in ogni tipologia di attività di quest’ultima e in linea di principio, dunque, l’Amministrazione detentrice dei documenti amministrativi, purché direttamente riferibili alla tutela di un interesse personale e concreto, non può limitare il diritto di accesso, se non per motivate esigenze di riservatezza (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. III, 5 novembre 2009 n. 10838);

b) il riconoscimento nel nostro ordinamento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi, attuato con la legge n. 241 del 1990, comporta che il segreto amministrativo, già regola, deve ora essere considerato eccezione (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 7 febbraio 1997 n. 5);

c) qualora l’accesso ai documenti amministrativi sia motivato dalla cura o la difesa di propri interessi giuridici, prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo" (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II, 23 dicembre 2008 n. 12300);

d) l’interesse alla riservatezza, tutelato dalla legge n. 241 del 1990 mediante una limitazione del diritto di accesso, recede quando l’accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti in cui esso è necessario alla difesa di quell’interesse" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2007 n. 1699);

e) l’art. 8, comma 5, lett. d), del regolamento approvato con DPR 27 giugno 1992 n. 352 (ancora in vigore per quanto successivamente meglio si specificherà), pur ammettendo la possibilità di sottrarre all’accesso alcune categorie di documenti, fa comunque salva la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro stessi interessi giuridici, sicché lo specifico interesse (riconoscibile in capo ad un terzo che potrebbe essere pregiudicato dall’ostensione ovvero in capo alla Pubblica amministrazione ovvero alla generalità dei consociati) tutelato dalla normativa mediante una limitazione del diritto d’accesso è destinato a recedere quando l’accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti in cui esso è necessario alla difesa di quell’interesse (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 11 marzo 2010 n. 1453);

f) l’accesso ai documenti amministrativi va consentito anche quando la relativa istanza sia preordinata alla loro utilizzazione in giudizio (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 28 aprile 1999 n. 6);

g) il diritto di accesso ai documenti previsto dagli artt. 22 ss. della legge n. 241 del 1990, per come confermato dal chiaro disposto dell’art. 59 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 (recante il c.d. Codice della privacy), è finalizzato alla trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa, sicché se pure suscettibile di deroga, prevale rispetto alla tutela della riservatezza, specialmente a fronte dell’esigenza di cura e difesa di interessi giuridicamente rilevanti dei ricorrenti; pertanto tale diritto deve essere riconosciuto in merito alla richiesta volta all’ostensione di documenti necessari ai fini della proposizione di un’azione giudiziaria (cfr. T.A.R. Sardegna, Sez. I, 10 giugno 2010 n. 1435);

h) allorquando venga presentata una richiesta di accesso documentale motivata con riferimento alla necessità di tutelare i propri interessi nelle competenti sedi giudiziarie, l’accesso non può essere negato (cfr. TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 9 marzo 2007 n. 437);

i) comunque la posizione che legittima all’accesso non deve necessariamente possedere tutti i requisiti stabiliti per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo avverso un atto lesivo della posizione giuridica vantata, essendo sufficiente che l’istante sia titolare di un interesse giuridicamente rilevante e che il suo interesse alla richiesta di documenti si fondi su tale posizione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 ottobre 2006 n. 6440);

l) la nozione di situazione giuridicamente rilevante, per la cui tutela è attribuito il diritto di accesso, è nozione diversa e più ampia rispetto all’interesse all’impugnativa e non presuppone necessariamente una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo; così che la legittimazione all’accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. I, 8 marzo 2011 n. 2083).

7. – Può quindi affermarsi ancora una volta che:

A) (anche ai sensi del chiaro disposto di cui all’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990) l’accesso ai documenti amministrativi, quando è strumentale alla cura ovvero alla tutela giudiziale di un interesse, prevale comunque sulla tutela della riservatezza nonché sulle ulteriori esigenze di limitazione all’accesso quando queste non siano giustificate dalla presenza di preminenti interessi (di singoli o superindividuali) da mantenere indenni dal rischio di compromissione, sempreché, in una ipotetica scala di valori, si pongano ad un livello sovraordinato rispetto alla garanzia di tutela (anche giudiziale) della posizione soggettiva del richiedente l’accesso;

B) che tale previsione di rango primario, può essere limitata nella sua applicazione soltanto da una disposizione contenuta in una fonte equiordinata;

C) che tale fonte non può essere costituita dal decreto ministeriale n. 603 del 1996, atteso che la fonte regolamentare – dovendosi necessariamente rispettare il sistema della gerarchia tra le fonti – può soltanto identificare quelle categorie di atti che la fonte normativa individua come (giustificatamente) idonei ad essere esclusi dal generale diritto di accesso nel caso in cui quest’ultimo si "indispensabile" alla cura e tutela giudiziale della posizione del richiedente l’accesso;

D) che tale interpretazione delle norme contenute nell’art. 24 della legge n. 241 del 1990 è la sola possibile, in quanto opinando diversamente non si attribuirebbe alcun valore all’intendimento legislativo che ha dimostrato di voler creare una norma di chiusura del sistema di accesso documentale (utilizzando emblematicamente l’avverbio "comunque"), pur sempre limitando l’esercizio del potere di ostensione a quanto sia "strettamente indispensabile" per la salvaguardia dei valori costituzionali di difesa del cittadino dinanzi all’azione della P.A., che trovano albergo negli artt. 24, 103 e 113 cost. nonché nel principio di parità delle parti ai sensi dell’art. 111 cost. (ed oggi anche, dell’art. 1 c.p.a.);

E) che, conclusivamente, la fonte primaria che può costituire ostacolo all’accesso documentale richiesto da un soggetto (nella specie) sottoposto ad attività repressivo sanzionatoria da parte di una Autorità è costituito dalla necessità di salvaguardare le indagini penali ai sensi dell’art. 329 c.p.p. (così come implicitamente richiamato dall’art. 24, comma 1, lett. a) della legge n. 241 del 1990.

In conclusione, dunque, le disposizioni regolamentari ostative all’accesso ai documenti detenuti dall’Amministrazione finanziaria, di cui agli artt. 2 e 4 del D.M. n. 603 del 1996, mantengono ferma la propria efficacia impeditiva rispetto a richieste ostensive fino a quando tali documenti non abbiano contribuito a definire il presupposto per la irrogazione di una sanzione amministrativa riconducibile all’esercizio del potere punitivo di quella Amministrazione. Una volta emesso il provvedimento sanzionatorio – come è avvenuto in questo caso – tutti i documenti utilizzati nella filiera procedurale che abbiano costituito (o abbiano contribuito a costituire) il reale presupposto dell’esercizio del potere punitivo debbono poter essere disvelati al trasgressore onde consentire a quest’ultimo di approntare adeguatamente quegli strumenti di tutela che l’ordinamento gli garantisce. In tale caso, tuttavia, la limitazione all’accesso documentale elasticamente torna ad impedire l’ostensione in favore del richiedente quando, questa volta non per effetto delle disposizioni di rango secondario ma a cagione della previsione contenuta nella norma primaria, ai sensi dell’art. 329 c.p.p. l’esigenza di mantenere integra l’attività di indagine penale supera (per effetto di una precisa scelta del legislatore) ogni "diritto" all’accesso del trasgressore/indagato.

E’ sotto tale profilo che si manifesta un decisivo (ai fini del presente giudizio) deficit sia nell’inerzia dell’Amministrazione (sempre denigrabile, a giudizio dell’ordinamento, che non consente all’Amministrazione di "optare" per il silenziodiniego, dovendo pur sempre quest’ultima manifestare espressamente il diniego all’accesso al richiedente) rispetto all’istanza ostensiva avanzata dal Signor B. sia nella decisione sfavorevole della Commissione, non essendo stato acquisito in entrambi i casi l’avviso della competente Procura della Repubblica circa la necessità di secretare i documenti richiesti in quanto utilizzati nelle indagini penali svolte a carico dell’odierno ricorrente ed il cui contenuto, solo ad avviso della Procura medesima, potrebbe non essere conoscibile all’indagato.

Sul punto va rimarcato che, come è noto (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 dicembre 2008 n. 6117):

1) tra i casi di segreto previsti dall’ordinamento, rientra quello istruttorio in sede penale, delineato dall’art. 329 c.p.p., a tenore del quale gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari;

2) tale norma segreta gli atti di indagine che siano posti in essere dal pubblico ministero ovvero dalla polizia giudiziaria. Tuttavia, non ogni denuncia di reato presentata dalla Pubblica amministrazione all’Autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all’accesso, in quanto, se la denuncia è presentata dalla Pubblica amministrazione nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 329, c.p.p.;

3) tuttavia se la Pubblica amministrazione che trasmette all’Autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell’esercizio della propria istituzionale attività amministrativa, ma nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dall’ordinamento, si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell’art. 329 c.p.p. e conseguentemente sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990.

Nel caso di specie non vi è dubbio che l’attività posta in essere dagli Uffici ai quali è stata rivolta dal Signor B. l’istanza ostensiva ricade nell’alveo della terza delle ipotesi sopra descritte, ma ciò non vuol dire che quei documenti trasmessi siano stati utilizzati nell’ambito dell’indagine penale ovvero che vi siano ragioni per mantenerne la condizione di segretezza con riguardo all’interessato che potrebbe utilizzarli (ovvero da essi trarre spunti per la redazione di scritti difensivi) nel giudizio di opposizione ai provvedimenti sanzionatori adottati nei suoi confronti nella sede repressivoamministrativa tributaria.

In altri termini, le censure dedotte dal Signor B. nel presente giudizio colgono nel segno limitatamente alla circostanza che il (doppio) diniego all’accesso è affermato senza che la Procura competente abbia sciolto i dubbi in merito alla utilizzabilità degli atti nel giudizio penale ovvero in ordine alla permanente necessità che il contenuto degli atti richiesti resti oscuro al richiedente.

8. – Per completezza di motivazione vale la pena chiarire che le suesposte osservazioni che conducono all’accoglimento del ricorso nei limiti e nei termini appena descritti determinano una valutazione del peso impeditivo all’accesso delle disposizioni contenute nel decreto ministeriale n. 603 del 1996 decisamente attenuato, rispetto all’epoca in cui furono introdotte, per effetto dei successivi intervento normativi che ne impongo di "registrare" la loro effettiva capacità di porsi ad ostacolo rispetto alle richieste d’accesso (agli atti detenuti dall’Amministrazione finanziaria) da parte di coloro che lo pretendano (soprattutto, non solo per curare ma) in vista della tutela giudiziale della loro posizione soggettiva "colpita" dall’esercizio del potere repressivosanzionatorio spiegato dagli Uffici del plesso amministrativo finanziariotributario.

Sul punto il Collegio intende fare propri i recenti ragionamenti espressi dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 13 gennaio 2010 n. 53 nonché i precedenti specifici della Sezione: 2 marzo 2010 n. 3231, 9 dicembre 2009 n. 12668 e 3 febbraio 2009 n. 1021) e che bene sono stati pantografati nella decisione del T.A.R Campania, Napoli, Sez. V, 17 luglio 2006 n. 7528 che si è pronunciata in merito ad un caso analogo a quello qui in esame, ma che necessariamente debbono essere anticipati dalle seguenti sintetiche considerazioni:

a) fino al 2006, in materia di accesso ai documenti amministrativi (come anche sopra si è detto, la fonte regolamentare fondamentale era costituita dal D.P.R. n. 352 del 1992, che recava il regolamento governativoguida volto a fissare, nei confronti di tutte le Amministrazioni, le tracce entro le quali i singoli regolamenti (che ciascuna di esse può adottare per modulare l’istituto dell’accesso ai documenti amministrativi con riferimento alle esigenze tipiche dell’attività svolta) avrebbero potuto introdurre disposizioni speciali, rese necessarie per calibrare l’esercizio della facoltà di accesso alle informazioni ed ai documenti, da parte degli interessati, allo specifico settore nel quale esse operano. Nel regolamento governativo del 1992, tra le altre prescrizioni, assumevano particolare rilievo quelle relative ai casi di esclusione dal diritto di accesso;

b) attualmente le disposizioni regolamentari in materia di ostensione documentale sono contenute nel D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184 che, con puntuale precisione, declina tutti i passaggi procedimentali ai quali debbono attenersi le Amministrazioni per svolgere correttamente i segmenti relativi sia all’accesso formale che a quello informale. Nel citato regolamento governativo sono anche, con altrettanta puntualità, fissate le prescrizioni per consentire il materiale accesso sia nella forma della visione che in quella della estrazione di copia. Esso non reca, tuttavia, né la disciplina né un eventuale elenco degli atti esclusi dall’accesso, ai sensi dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990;

c) tale scelta potrebbe lasciare intendere una applicazione indiretta del principio ormai immanente nell’orientamento giurisprudenziale più recente volto a considerare prevalente il diritto all’ostensione documentale rispetto alla tutela dei dati personali, laddove prevalga o sia almeno paritario l’interesse alla tutela di una posizione soggettiva dinanzi agli organi di giustizia piuttosto che la riservatezza dei dati attinenti il singolo individuo (cfr., da ultimo e con nettezza sul punto, Cons. Stato, Sez. V, 14 febbraio 2011 n. 942). Ne deriverebbe dunque, anche in base alla effettiva portata della disposizione contenuta nell’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990, che si pone quale norma di chiusura della relazione tra accesso e privacy nell’ambito dell’ostensione documentale, che un regolamento di un Ente potrebbe anche individuare casi di esclusione dall’accesso, tuttavia l’esclusione non potrà essere mai dettata in modo assoluto, pena il rischio di dichiarazione di illegittimità della norma regolamentare che recasse una siffatta previsione, dovendosi sempre contemperare il diritto alla riservatezza con il – pressoché – prevalente diritto di conoscenza dei dati al fine di esercitare la tutela a conforto della posizione soggettiva vantata;

d) non a caso l’art. 14, comma 1, del D.P.R. n. 184 del 2006 nel dettare le previsioni transitorie e finali afferma testualmente che "Il diritto di accesso non può essere negato o differito, se non nei casi previsti dalla legge, nonchè in via transitoria in quelli di cui all’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352, e agli altri atti emanati in base ad esso", specificando comunque il successivo art. 15, comma 1, che "Dalla data di entrata in vigore del presente regolamento sono abrogati gli articoli da 1 a 7 e 9 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352. È altresì abrogato l’articolo 8 di detto decreto dalla data entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo 24, comma 6, della legge". Orbene, non essendo mai stato varato il nuovo regolamento governativo, le disposizioni contenute nei regolamenti adottati dalle singole Amministrazioni sulla scorta della previsione programmatica di cui all’art. 8 del D.P.R. n. 352 del 1992, in ogni caso decisamente risalenti nel tempo, possono trovare corretta applicazione sempre che esse siano interpretate (dalle Amministrazioni, dalla Commissione per l’accesso e dallo stesso giudice amministrativo), in senso evolutivo e costituzionalmente orientato, tenendo conto degli orientamenti giurisprudenziali che si sono andati configurando stabilmente nel tempo, attualizzandosi in tal senso la portata delle previsioni ed il significato delle espressioni recate dalle e nelle (superstiti) fonti secondarie.

La correttezza di tale soluzione emerge, d’altronde, dall’esame dell’art. 24, comma 6, della legge n. 241 del 1990 che contiene una previsione tassativa nel senso di destinare ad un regolamento governativo il compito di fissare le regole per procedere alla individuazione di categorie di documenti, ulteriori rispetto a quelle contenute nell’elencazione di cui al comma 1 del medesimo articolo citato: visto che il regolamento governativo introdotto con il D.P.R. n. 184 del 2006 (a differenza di quanto era sancito nell’art. 8 del D.P.R. n. 352 del 1992), nulla dice in proposito, deve ritenersi che nessun Ente possa dotarsi di un regolamento che, al di fuori ovvero in assenza di disciplina regolamentare governativa in proposito, indichi delle ipotesi di documenti esclusi dall’accesso.

Non a caso, infatti, l’art. 24, comma 2, della legge n. 241 del 1990 nel prevedere che "Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1", limita tale facoltà alla sola individuazione degli atti e documenti che, normalmente detenuti da una Amministrazione, siano riconducibili alle categorie di cui al comma 1 e quindi sottratti all’accesso; non estende invece tale facoltà anche alla individuazione di categorie ulteriori nelle quali ricondurre altri atti e documenti che – non rientranti nelle categorie elencate nel più volte richiamato comma 1 – nell’ambito della casistica dei documenti esclusi dall’accesso.

9. – Detto ciò e tornando alla specificità della questione che qui interessa, ma tenendo in attenta considerazione quanto si è testé osservato, va detto che:

A) l’odierno ricorrente è indubbiamente titolare di quell’interesse personale, attuale e concreto per la tutela di connesse situazioni giuridicamente rilevanti che gli artt. 22 della legge n. 241 del 1990 e 2 del D.P.R. n. 352 del 1992 (la cui formula è, peraltro, riprodotta dall’art. 2 del D.P.R. n. 184 del 2006), richiedono quali condizioni per la legittimazione all’azione e l’accoglimento della domanda di accesso;

B) in particolare il Signor B., in ossequio a quanto prescritto dall’art. 25, comma 2, della legge n. 241 del 1990, ha correttamente evidenziato nell’istanza il proprio interesse all’accesso in quanto gli atti richiesti sono utili al ricorrente per procedere alle indagini difensive indispensabili a seguito del procedimento penale instaurato nei suoi confronti;

C) nella fattispecie in esame il diritto all’accesso non può ritenersi escluso, ai sensi dell’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990, dall’esistenza di un segreto previsto dall’ordinamento fino a quando tale circostanza non sia chiarita dall’unica Autorità deputata ad attribuire tale qualità all’atto (del quale è richiesta l’ostensione), vale a dire la Procura della Repubblica competente a svolgere le indagini nell’ambito delle quali emerge la presenza del ridetto atto. Tale circostanza, nella specie, non è stata provata adeguatamente, atteso che né l’Amministrazione procedente né la Commissione per l’accesso hanno atteso la risposta della Procura prima di negare (nel primo caso implicitamente) l’accesso. A ciò si aggiunga che, in ogni caso, l’obbligo di segretezza degli atti d’indagine, previsto dalla norma citata, vale "solo fino a quando l’imputato non ne possa avere a conoscenza".

Tenuto conto di quanto sopra, per quel che, poi, concerne l’inaccessibilità dedotta dall’Amministrazione e fatta propria dalla Commissione in riferimento al tenore dell’art. 4 del D.M. n. 603 del 1996, secondo cui non è consentita la visione e l’estrazione di copia dei "documenti del Corpo della guardia di finanza inerenti all’emanazione di ordini di servizio, nonché all’esecuzione del servizio stesso, relazioni, rapporti, ed informative concernenti l’attività svolta nei settori istituzionali", il Collegio ritiene che il regolamento in esame, emanato ai sensi dell’art. 24, comma 4, della legge n. 241 del 1990, se interpretato nel senso di ritenere non ostensibili gli atti richiesti dal trasgressore dopo che sia stato adottato il provvedimento sanzionatorio nei suoi confronti, è illegittimo per contrasto con la legge citata e con l’art. 8 del D.P.R. n. 352 del 1992 e deve essere disapplicato. Ed, infatti, ai sensi dell’art. 24, comma 2, lettera c), della legge n. 241 del 1990, l’esclusione del diritto di accesso è consentita per salvaguardare "l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità" (circostanza che può essere valutata soltanto dagli organi del potere giurisdizionale che svolgono attività inquirente e requirente) e che non riguarda il caso relativo ad atti che abbiano costituito il presupposto per l’irrogazione di una sanzione amministrativa quando, nel contempo, non siano stati secretati dalla Procura della Repubblica (ovvero non si abbia la certezza che lo siano).

10. – Trasponendo i suesposti principi alla fattispecie in esame emerge l’illegittimità del diniego di accesso opposto dall’amministrazione in quanto in merito ai documenti richiesti dall’odierno ricorrente l’Amministrazione prima e la Commissione poi hanno ritenuto di decidere (sfavorevolmente alla richiesta ostensiva) senza attendere l’avviso della Procura della Repubblica competente. Allo stato, quindi, non vi è prova che nei confronti dei documenti richiesti al Signor B. debba essere opposto il diniego di accesso ai sensi del combinato disposto dell’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 329 c.p.p., dovendo interpretarsi nei sensi sopra delineati le disposizioni regolamentari espressamente poste a fondamento della decisione della Commissione per l’accesso qui gravata.

11. – Nei limiti come sopra illustrati il ricorso è fondato e merita accoglimento disponendosi in capo all’Amministrazione finanziaria, qui resistente, l’obbligo di consentire l’esercizio dell’accesso – nella consueta forma della visione ed estrazione di copia – ai documenti richiesti dal ricorrente successivamente e condizionato all’acquisizione della necessaria valutazione in merito da parte della Procura della Repubblica competente (che deve essere sollecitata, a cura dell’Amministrazione resistente nel termine di trenta giorni dalla notifica della presente sentenza o dalla comunicazione in via amministrativa, se antecedente), il cui eventuale giudizio sfavorevole all’accesso costituirà comunque impedimento all’esercizio del relativo diritto.

In caso di valutazione favorevole all’accesso da parte della Procura della Repubblica competente, si ordina fin d’ora all’Amministrazione, ai sensi dell’art. 116 c.p.a., di provvedere all’esibizione degli atti in epigrafe nel termine di trenta giorni dalla comunicazione della suindicata decisione della Procura della Repubblica.

Stima, infine, il Collegio che sussistano eccezionali e gravi ragioni, in considerazione della novità e complessità delle questioni sottese alla presente decisione, per compensare integralmente tra le parti intimate le spese di giudizio, ai sensi degli artt. 92 c.p.c. novellato per come richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a..

P.Q.M.

pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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