Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-07-2011) 27-07-2011, n. 29998 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza 5 novembre 2009 il tribunale di Chiavari dichiarò O.C. colpevole dei reati di sequestro di persona e di violenza sessuale in danno della propria fidanzata D.A. R. e di molestia in danno dei familiari della medesima e lo condannò alla pena di anni 5 e mesi 4 di reclusione, mentre lo assolse dai contestati reati di violenza privata, lesioni, cessione di sostanze stupefacenti, minacce, ingiurie sempre in danno della D. A. perchè il fatto non sussiste.

A seguito di appello dell’imputato e del PM di Chiavari, la corte d’appello di Genova, con la sentenza in epigrafe, riconobbe l’ipotesi lieve di cui all’art. 609 bis u.c., ridusse la pena ad anni 3 di reclusione e confermò nel resto la sentenza di primo grado.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla rilevata improcedibilità dell’azione penale per il reato di violenza sessuale per tardiva presentazione della querela. Lamenta che la corte d’appello non ha risposto alle ampie argomentazioni difensive in proposito, limitandosi ad affermare che l’onere di provare la intempestività della querela incombe su chi la deduce, sicchè la situazione di incertezza va risolta a favore del querelante. In ogni caso, la querela è stata presentata il 23 maggio 2007 mentre la relazione con la persona offesa era cessata a novembre 2006, e siccome la gran parte dei rapporti sessuali erano consenzienti, in mancanza di una allegazione che vi sia stata una violenza sessuale nell’ultima settimana di novembre 2006 si deve desumere che la querela fu presentata dopo il termine di sei mesi. Spettava comunque al giudice di merito compiere le opportune valutazioni su questa circostanza.

2) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla prova della colpevolezza dell’imputato per la contestata violenza sessuale. Ricorda che la donna aveva parlato di violenza per costringerla ad avere un rapporto soltanto nella denunzia, mentre nelle successive dichiarazioni a sommarie informazioni aveva negato di essere stata picchiata e detto di avere alla fine acconsentito alle richieste sessuali dell’imputato, ed in seguito aveva anche ritirato la querela. In dibattimento la donna ha poi riferito in modo contraddittorio ed incoerente sui fatti. Inoltre, gli stessi giudici del merito hanno considerato insufficienti o prive di fondamento le asserzioni della persona offesa nella misura in cui hanno assolto l’imputato da quattro delle sei contestazioni a suo carico. Il giudizio di responsabilità si basa sulle sole dichiarazioni della persona offesa, le quali quindi avrebbero dovuto essere valutate con particolare approfondimento e rigore, considerando gli elementi critici e dissonanti e la presenza di riscontri esterni.

Motivi della decisione

Il primo motivo è fondato, in quanto effettivamente la corte d’appello ha totalmente omesso di rispondere alle pur specifiche ed articolate eccezioni proposte dalla difesa con l’atto di impugnazione in ordine alla dedotta improcedibilità dell’azione penale per il reato di violenza sessuale per tardiva presentazione della querela.

La corte d’appello si è infatti limitata ad affermare che l’onere di provare la intempestività della querela incombe su chi la deduce, sicchè la situazione di incertezza va risolta a favore del querelante. Con ciò però la corte d’appello ha fatto scorretta applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte.

E’ vero infatti che la giurisprudenza ha ritenuto che "L’onere della prova dell’intempestività della querela incombe a chi lo deduce, sicchè l’eventuale situazione di incertezza va risolta a favore del querelante" (Sez. 6, 24.6.2003, n. 35122, Sangalli, m. 226237; Sez. 5, 19.9.2008, n. 40262, Franzi, m. 241737). E’ tuttavia anche vero che è stato precisato che però, allorchè l’imputato abbia indicato al giudice elementi e circostanze tendenti a dimostrare la tardi vita della querela, spetta poi al giudice del merito compiere ogni doverosa indagine al riguardo (Sez. 5, 21.2.2006, n. 15853, De Arcangelis, m. 234498).

Nella specie appunto l’imputato aveva adempiuto a questo onere di indicazione di specifiche circostanze che dimostravano la intempestività della querela, eccependo che la querela era stata presentata il 23 maggio 2007, che era stato accertato in primo grado che il rapporto avvenuto nel (OMISSIS) era stato consensuale e che, pur essendo la relazione sentimentale tra i due cessata a fine (OMISSIS), non vi era alcuna prova che fra il (OMISSIS) fossero intervenuti rapporti sessuali o comunque fosse intervenuto un rapporto sessuale non consensuale ottenuto con violenza o minaccia, dal momento che era stato accertato in primo grado che la gran parte dei rapporti sessuali avvenuti nel corso della relazione sentimentale erano stati consenzienti.

La corte d’appello, quindi, a fronte di questa specifica contestazione, avrebbe dovuto accertare se vi era la prova della commissione in concreto di una violenza sessuale tra il (OMISSIS) e non richiamare genericamente un principio di diritto non applicabile nella specie stante l’indicazione di precisi elementi idonei a dimostrare la tardività della querela.

E’ fondato anche il secondo motivo. L’imputato aveva infatti eccepito con l’impugnazione che la donna aveva parlato di violenza per costringerla ad avere un rapporto soltanto nella denunzia, mentre nelle successive dichiarazioni aveva negato di avere subito violenza a questo fine ed aveva detto di avere ogni volta, dopo le insistenze, acconsentito alle richieste sessuali dell’imputato. Aveva anche eccepito che le dichiarazioni rese dalla D.A. in dibattimento erano state contraddittorie ed incoerenti, e quindi inattendibili, tanto che lo stesso giudice di primo grado aveva assolto l’ O. da quattro delle sei contestazioni e che il PM aveva chiesto l’assoluzione perchè il fatto non sussiste per il reato di violenza sessuale. Aveva infine chiesto che le dichiarazioni delle persona offesa, sulle quali soltanto si basava il giudizio di responsabilità per la violenza sessuale, fossero valutate con particolare approfondimento e rigore e sulla base di eventuali riscontri esterni, attesi gli elementi critici e dissonanti.

La corte d’appello ha dato atto che la D.A. sicuramente non sgradiva il rapporto sessuale con l’imputato e che fra i due esisteva una situazione di reciprocità, ma si è poi in sostanza limitata a richiamare la sentenza di primo grado senza prendere in esame e valutare le specifiche doglianze avanzate con l’atto di appello. La sentenza impugnata resta quindi caratterizzata da una motivazione generica, che non risponde ai motivi di appello, e che a ben vedere nemmeno indica quali siano gli elementi in base ai quali ha ritenuto che nei singoli casi concreti i rapporti sessuali tra i due fidanzati erano stati ottenuti con la violenza o minaccia e non erano invece avvenuti con il consenso della ragazza. Inoltre, ammesso che vi siano stati rapporti estorti con violenza o minaccia, la corte da atto che molti dei rapporti erano comunque consenzienti, ma non specifica in alcun modo in quali occasioni i rapporti fossero stati consenzienti ed in quali frutto di violenza. D’altra parte, la corte d’appello non specifica nemmeno quali violenze e quali minacce avrebbe usato l’ O. per ottenere il rapporto sessuale nei diversi casi concreti, ma si limita genericamente ed apoditticamente ad affermare che nella condotta dell’ O. vi sarebbe stata "una prevaricazione in cui l’irresistibile voglia di sesso si unisce alla rabbia ed all’intento vendicativo per il supposto tradimento". In altre parole, la corte d’appello attribuisce all’imputato un comportamento possessivo nei confronti della fidanzata, influenzato dalla gelosia, ma non spiega come tale comportamento, ritenuto arbitrario e prevaricatore, si sia poi tradotto in azioni violente o minacciose tali da costringere la donna a sopportare il rapporto sessuale.

D’altra parte, va anche ricordato che con il capo di imputazione non è stato contestato all’imputato di avere indotto la ragazza ad avere i rapporti abusando di uno stato di inferiorità psichica o fisica della stessa, bensì di averla costretta al rapporto esercitando su di lei violenze fisiche e psicologiche. Ora, nella sentenza impugnata manca specificazione di quali siano state queste violenze nelle diverse occasioni, non potendo ritenersi sufficiente un generico richiamo ad una non meglio precisata condotta arbitraria e prevaricatrice che avrebbe contraddistinto l’intera relazione sentimentale e non già il singolo o i singoli rapporti sessuali.

Deve dunque convenirsi che la motivazione della sentenza impugnata sull’esistenza di concreti atti di violenza sessuale è del tutto generica ed insufficiente.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato di violenza sessuale, con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Genova per nuovo esame. Nel resto il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di violenza sessuale con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Genova.

Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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