Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-07-2011) 27-07-2011, n. 29997 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, emessa in data 6 novembre 2008 al termine di rito abbreviato, gli odierni ricorrenti sono stati condannati assieme ad altri imputati per plurime condotte legate al traffico di sostanze stupefacenti, mentre è stata esclusa con la formula "il fatto non sussiste" l’ipotesi di reato D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 74 contestata ad una parte soltanto degli imputati. Applicata la continuazione tra i vari reati, con eccezione per il capo B14 per il Sig. G., escluse le circostanze aggravanti D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 80 e concesse a tutti le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulle residue aggravanti, il Giudice dell’udienza preliminare ha, per quanto qui interessa, condannato G. alla pena di dieci anni di reclusione e 80.000,00 Euro di multa e Ga.Gu. a quella di sei anni di reclusione e 30.000,00 Euro di multa.

Sull’appello proposto sia dal Procuratore della Repubblica in sede (che chiedeva la condanna per il reato associativo anche nei confronti del G. e l’esclusione per tutti delle circostanze attenuanti generiche) sia dagli imputati, la Corte di Appello con la sentenza oggetto del presente ricorso ha assolto il Sig. T. dal reato di cui al capo B11 e ha riconosciuto al Sig. G. la continuazione tra il reato di cui al capo B14 e i restanti reati;

ha quindi rideterminato le pene che, quanto al Sig. G. è stata fissata in anni otto di reclusione e 60.000,00 Euro di multa e quanto alla Sig.ra Ga.Gu. in anni quattro e mesi quattro di reclusione e 30.000,00 Euro di multa. La Corte di Appello ha respinto l’appello del Pubblico Ministero, come da pagine 5 e 6 di parte motiva, e, salvo per T. con riferimento al capo B11, ha respinto tutti i motivi di appello degli imputati che concernono la responsabilità penale. Osserva la Corte (pagine 6-8) che gli esiti delle intercettazioni telefoniche trovano pieno riscontro nei plurimi sequestri dei quantitativi di droga importati in Italia e nelle dichiarazioni dei consumatori circa gli acquisti fatti successivamente alle importazioni. La Corte territoriale passa poi (pag. 8 e ss.) ad affrontare i motivi di appello "gradati", che quanto a G. sono esaminati a pag. 8 e quanto a G. G. a pag. 9.

Avverso tale sentenza propongono ricorso i Sigg. G. e Ga.Gu..

Il Sig. G.S., difeso dall’Avv. Gianluca Tognozzi, lamenta:

1. omessa motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) circa l’affermazione di responsabilità in ordine ai fatti contestati ai capi B3, B6, B7 e B13. Afferma il ricorrente che la sintetica motivazione con cui la Corte territoriale ha affrontato le censure mosse alla prima decisione non contiene alcuna indicazione specifica circa le telefonate e il contenuto delle dichiarazioni che fonderebbero le prove di responsabilità. Si è in presenza, cioè, di motivazione generica e sostanzialmente carente;

2. omessa motivazione ai sensi dell’art. 616 c.p.p., lett. e) in ordine al trattamento sanzionatorio per il reato contestato al capo B14, avendo la Corte territoriale non esaminato la censura relativa alla disciplina da applicare al caso concreto. Erroneamente, infatti, il primo giudice aveva considerato più favorevole per l’imputato la disciplina entrata in vigore con il D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni in L. 21 febbraio 2006, n. 49, mentre coi motivi di appello si illustravano le ragioni che rendono in concreto più favorevole la norma previgente; sul punto la Corte territoriale omette ogni valutazione;

3. omessa motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in ordine alla mancata concessione dell’attenuante ex art. 114 c.p. in relazione al capo B. 14;

4. omessa motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) del mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti.

La Sig.ra GA.GU.Mo. propone personalmente ricorso, lamentando:

1. carenza di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in ordine alla richiesta assoluzione ex art. 530 c.p.p., comma 2.

Erroneamente in motivazione si considerano i motivi di appello non concernenti la questione della penale responsabilità penale, posto che la derubricazione richiesta muove dal presupposto, chiaramente indicato nel primo motivo di appello, della carenza di prove in ordine ai fatti di droga, per i quali espressamente si chiede l’assoluzione;

2. carenza di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in ordine alla richiesta qualificazione delle condotte ex art. 379 c.p..

La Corte omette di considerare che le condotte tenute dalla ricorrente trovano origine nel rapporto di coniugio col coimputato C. e nella sudditanza della donna nei confronti di costui, limitandosi la motivazione ad un unico passaggio apodittico che richiama in modo del tutto generico il contenuto delle intercettazioni;

3. carenza di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in ordine alle censure concernenti il regime delle circostanze e il trattamento sanzionatorio. La Corte territoriale, infatti, ha omesso di esplicitare le ragioni che si oppongono all’applicazione dell’attenuante ex art. 114 c.p. e al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche; del tutto carente, poi, la motivazione circa i criteri seguiti della determinazione della pena.

Motivi della decisione

1. Il contenuto dei motivi di ricorso proposti dagli imputati impone alla Corte di prendere le mosse da due premesse di ordine generale.

Innanzitutto, qualora la sentenza di secondo grado confermi l’impostazione della decisione di primo grado e ne approvi i passaggi essenziali ben può la Corte di legittimità, indipendentemente da espressi rinvii da parte del giudice di appello, procedere all’esame anche della motivazione di primo grado che costituisce l’antecedente logico della decisione sottoposta a ricorso.

In secondo luogo, la Corte deve evidenziare in via preliminare che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n. 47289 del 2003, Petrella, rv 226074).

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello".

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e) non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.

Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica della lett. e) dell’art. 606 c.p.p. apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b) dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n. 23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui e "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte:

Sezione Sesta Penale, sentenza n. 22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

2. In applicazione di tali premesse la Corte ritiene che il ricorso della Sig.ra Ga.Gu. sia viziato da genericità e manifesta infondatezza. I passaggi motivazionali della sentenza impugnata che concernono la posizione della ricorrente possono essere compresi nella loro rilevanza alla luce dell’ampia motivazione della decisione del Tribunale che, alle pagine 29 e seguenti (con riferimento al capo B2) e, soprattutto, alle pagine 34 e 35 espone in modo puntuale le ragioni che rendono rilevanti le conversazioni telefoniche intercettate e attribuiscono valore decisivo al contenuto delle stesse. La chiara e specifica motivazione di primo grado rende così sufficiente il richiamo, invero generico, operato dalla sentenza di appello alla rilevanza di tali conversazioni telefoniche, non comprendendosi sul punto le censure mosse dalla ricorrente con l’atto di appello e, quindi, con i primi due motivi del successivo ricorso.

Si tratta di censure che non consentono di giungere ad un giudizio di manifesta illogicità dei passaggi motivazionali richiamati, apparendo, al contrario, coerente e logico il percorso motivazionale che colloca le conversazioni intercettate nell’ambito del complessivo compendio probatorio e le ritiene indice in equivoco di una partecipazione consapevole e attiva della Sig.ra Ga.Gu. alle condotte di gestione della sostanza stupefacente, con conseguente reiezione della ipotesi di reato di mero favoreggiamento prospettata dalla ricorrente.

Ad analoga conclusione deve giungersi con riferimento al terzo motivo di ricorso. Una volta escluso che la Sig.ra Ga.Gu. abbia svolto un ruolo di mero favoreggiamento delle condotte altrui e affermato, al contrario, che ella era ben inserita all’interno delle condotte criminose, i giudici di merito hanno effettuato una valutazione di gravità delle condotte ed escluso che vi siano motivi per ritenere le concesse attenuanti generiche come prevalenti sulle aggravanti contestate e giudicate sussistenti. I giudici di appello hanno, peraltro, ritenuto che il minor numero di episodi criminosi commessi dalla ricorrente giustifichino un trattamento sanzionatorio più lieve di quello inflitto in primo grado, muovendo da una pena base contenuta sui minimi edittali e apportando un aumento di pena per la continuazione limitato a soli dei mesi di reclusione.

3. Quanto richiamato in premessa circa i limiti del giudizio di legittimità impone di ritenere infondato il ricorso del Sig. G..

Anche per il Sig. G. occorre considerare che le censure mosse alla prima sentenza devono essere lette alla luce della chiara e articolata motivazione che il Tribunale ha offerto alle pagg. 70-72 del provvedimento. Muovendo da tale dettagliata motivazione, può oggi ritenersi che la Corte di Appello abbia fornito una illustrazione assai sintetica, ma chiara delle ragioni che conducono a qualificare i fatti ai sensi della prima parte del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 così che risulta infondato il primo motivo di ricorso.

Manifestamente infondato il terzo motivo di ricorso, posto che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, risulta puntuale e logica la motivazione resa dalla Corte di Appello in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante ex art. 114 c.p. per il reato previsto dal capo di imputazione B.14.

La Corte ritiene infondato il secondo motivo di ricorso. E’ vero che la Corte di Appello non ha fornito risposta in ordine alla disciplina legale applicabile al reato sub B.14 in relazione alla data di commissione del fatto, ma si tratta di omissione che perde ogni rilevanza, e dunque rende priva di interesse la decisione sulla censura, dal momento che è stato accolto il motivo di ricorso circa la riconducibilità del fatto all’interno dell’unico disegno criminoso. L’applicazione dell’art. 81 cpv c.p. anche al fatto di reato sub B.14 e l’irrogazione di un aumento di pena molto inferiore al minimo edittale più favorevole ha nei fatti assicurato al ricorrente un complessivo trattamento sanzionatorio conforme al dato normativo da lui stesso prospettato come più mite in concreto.

Infine, quanto al quarto motivo di ricorso, la Corte richiama per intero le considerazioni sopra esposte con riferimento all’ultimo motivo di ricorso Ga.Gu..

Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, mentre al giudizio di inammissibilità del ricorso Ga.Gu. consegue oltre al pagamento delle spese processuali anche il versamento della somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende alla luce della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186 e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità".

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di Ga.Gu.Mo. e rigetta quello di G.S.. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e l’imputata al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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