Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-07-2011) 27-07-2011, n. 29996 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Al termine di una complessa indagine relativa ad attività di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha ottenuto il rinvio a giudizio nei confronti di numerosi imputati, ciascuno gravato da specifiche contestazioni per plurime violazioni del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 riportante in calce alla sentenza oggi impugnata.

Con sentenza in data 19 marzo 2008 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha ritenuto sussistere la responsabilità penale degli odierni ricorrenti e di altri imputati, con conseguenti condanne come sintetizzate alle pagine 2 e 3 della sentenza di appello.

Avverso tale sentenza gli odierni ricorrenti hanno separatamente proposto appello. Alcune delle impugnazioni presentano motivi comuni concernenti l’incompetenza territoriale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in favore del Tribunale di Latina e la inutilizzabilità delle conversazioni telefoniche intercettate. Altri motivi di appello, come esposto partitamente alle pagine 4 e seguenti della sentenza di appello, concernevano la mancata applicazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 75 con conseguente insussistenza del reato per cui vi è stata condanna; il mancato riconoscimento dell’ipotesi prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5 e di altre circostanze attenuanti; la mancata applicazione della continuazione fra i fatti oggetto del giudizio e quelli decisi con precedenti sentenze aventi ad oggetto condotte simili e coeve;

altre specifiche doglianze.

Con la sentenza qui impugnata la Corte di Appello di Napoli ha ridotto la pena inflitta a A., D. e Ci. ed ha ridotto la pena portata in aumento ex art. 81 cpv. c.p. nei confronti di C. e De., con conferma della restante decisione. Va precisato che in sede di udienza alcuni appellanti, tra cui Ci., D. e P., hanno rinunciato a tutti i motivi di appello con esclusione di quelli concernenti il trattamento sanzionatorio.

Avverso tale decisione sono stati presentati separati ricorsi per cassazione.

I Sigg. M.G. e VI.St., difesi dalll’avv. Giuseppe DI MASCIO, lamentano:

1. mancanza e manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte omesso di identificare l’esatto ammontare della sostanza stupefacente (si parla di quantità "consistente"), ed avere ciò nonostante impropriamente escluso sia la riconducibilità dei fatti ad ipotesi plurime di consumo personale sia la loro eventuale qualificazione, nel caso si volesse ritenere sussistente anche l’ipotesi di destinazione all’uso di terzi, ai sensi del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5. 2. Errata qualificazione giuridica del fatto, che avrebbe dovuto essere rubricato, in via principale, ai sensi del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 75 oppure ai sensi del citato art. 73, comma 5;

Il Sig. C.L., difeso dall’Avv. Sergio ROSSI, lamenta:

1. nullità della citazione per il giudizio di appello per violazione degli artt. 157, 161 e 179 c.p.p.. Risulta dagli atti che la citazione dell’appellante sia stata effettuata presso il difensore di fiducia in applicazione dell’art. 161 c.p.p., comma 4 pur non sussistendo il presupposto della impossibilità di notificazione presso il domicilio ove le precedenti notificazioni erano state regolarmente effettuate. Si è in presenza di nullità assoluta, mai sanata dall’imputato che è rimasto contumace (sebbene l’intestazione della sentenza lo qualifichi come assente);

2. nullità assoluta dell’intero processo ai sensi dell’art. 179 c.p.p. a seguito dell’omessa notificazione del decreto che dispone il giudizio, vizio prospettato al Tribunale e oggetto di specifico motivo d’appello. Sul punto si rileva che il ricorrente non presenziò, restando contumace, alla prima udienza del 23 marzo 2007 avanti il collegio C della Prima sezione penale del Tribunale e che in tale occasione il processo venne preliminarmente rinviato all’udienza del 4 maggio 2007 davanti al collegio A, tabellarmente competente. Nessuna notificazione fu effettuata al ricorrente contumace, con conseguente violazione dei suoi diritti;

3. violazione dell’art. 21 c.p.p., commi 2 e 8 per incompetenza territoriale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, posto che sia i contatti telefonici finalizzati all’acquisto della sostanza sia le condotte di detenzione risultano avere avuto luogo in territorio ricadente nella competenza del Tribunale di latina. L’eccezione è stata ritualmente proposta sia in sede di udienza preliminare sia in sede di giudizio e quindi ribadita con le impugnazioni;

4. violazione degli artt. 267, 203 e 271 c.p.p. e vizio di motivazione con riferimento alle intercettazioni telefoniche che sono state utilizzate a fini probatori sebbene effettuate in violazione di legge per essere state inizialmente disposte e avviate a carico del coimputato A. esclusivamente sulla base di segnalazione anonima; la contrarietà all’ordinamento delle intercettazioni iniziali travolge anche le conversazioni successivamente intercettate che concernono la posizione del ricorrente. La non inutilizzabilità delle conversazioni intercettate travolge l’unica fonte di prova a carico del ricorrente, che deve così essere mandato assolto ex art. 530 c.p.p. "perchè il fatto non sussiste";

5. vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio, per essere stata omessa la considerazione della non autonomia delle condotte tenute dal ricorrente (mero corriere senza poteri decisionali), del totale superamento della tossicodipendenza dopo l’arresto avvenuto nel (OMISSIS), dell’uso promiscuo della sostanza detenuta; tutti elementi che avrebbero dovuto imporre la concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell’applicazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5 concessione immotivatamente negata.

La Sig.ra P.F., difesa dall’Avv. Alessandro TERENZI, lamenta:

1. con unico motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) (più correttamente, vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per avere erroneamente la Corte territoriale omesso di riconoscere il nesso ex art. 81 cpv. c.p. con i fatti oggetto della condanna inflitta per fatti in tutto simili e legati alla condizione di tossicodipendenza da una precedente sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Latina.

La Sig.ra D.S. propone personalmente ricorso e lamenta:

1. con unico motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) (più correttamente, vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per avere la Corte di Appello omesso di rendere motivazione in ordine all’applicabilità dell’art. 129 c.p.p., motivazione che non può essere omessa per il solo fatto che la ricorrente ebbe a rinunciare in udienza a tutti i motivi di appello esclusi quelli relativi al trattamento sanzionatorio.

Il Sig. CI.An., difeso dal l’Avv. Vincenzo MAGARI, lamenta:

1. con unico motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), (più correttamente, vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per avere la Corte di Appello omesso di rendere motivazione in ordine all’applicabilità dell’art. 129 c.p.p., motivazione che non può essere omessa per il solo fatto che il ricorrente ebbe a rinunciare in udienza a tutti i motivi di appello esclusi quelli relativi al trattamento sanzionatorio.

Il Sig. V.S., difeso dall’Avv. Vincenzo ALESCI, lamenta 1. errata applicazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 in ipotesi che, alla luce dei plurimi elementi di fatto evidenziati dalla difesa, avrebbe imposto l’applicazione del successivo art.75, immotivatamente negata;

2. mancata applicazione della continuazione con i fatti oggetto della sentenza emessa dal Gp del Tribunale di Latina in data 5 luglio 2006, applicazione negata in modo erroneo sulla base del solo dato temporale che separa gli episodi contestati da quelli già giudicati.

Con atto depositato in data 30 giugno 2011 la Difesa di M. e Vi. ha sviluppato i temi sottoposti all’attenzione di questa Corte con i motivi principali.

Motivi della decisione

1. In primo luogo deve essere dichiarato manifestamente infondato il motivo di ricorso C. che lamenta la irritualità della notificazione dell’atto introduttivo in appello per la data di udienza del 17 aprile 2009, posto che alla notificazione presso il Difensore avvenuta in data 16 marzo 2009 ha fatto seguito la notifica a mani dell’appellante in data 24 marzo 2009.

Parimenti risulta manifestamente infondato il motivo di ricorso concernente la notificazione della nuova data di udienza avanti il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, posto che la ritualità della prima notificazione conserva efficacia quanto a instaurazione del contraddittorio anche a seguito del rinvio del processo a data fissa, ancorchè davanti ad altro collegio del medesimo Giudice.

2. Ciò premesso, la Corte ritiene necessario esaminare preliminarmente le censure mosse alla decisione impugnata con il terzo e quarto motivo C. in riferimento al vizio di competenza territoriale e alla pretesa inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, atteso il rilievo di ordine generale che le caratterizza.

La prima censura è viziata da genericità e deve essere ritenuta inammissibile: il ricorrente ripropone la questione nei termini già sollevati in sede di merito, e cioè con riguardo alla localizzazione delle condotte che a lui vengono contestate come commesse in (OMISSIS), ricadente nella competenza del Tribunale di Latina. Non solo il ricorrente omette di esaminare l’esistenza di condotte a lui contestate come commesse in territorio (OMISSIS), e dunque soggette alla competenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ma omette di dare risposta alle osservazioni dei giudici di merito secondo cui la competenza viene determinata ex art. 12 c.p.p., lett. e) in base alla connessione con le più gravi condotte contestate al Sig. I. (si vedano pagg. 10 e 11 della sentenza impugnata). Appare così evidente che la competenza del giudice di primo grado fu correttamente individuata, con conseguente non rilevanza delle decisioni nel merito che quel giudice ha assunto rispetto ai reati che radicavano la competenza.

La seconda censura è viziata da manifesta infondatezza. Alle pagine 11 e 12 della sentenza impugnata sono esposte in modo puntuale le ragioni che escludono la fondatezza del ragionamento esposto dal ricorrente e confermano l’esistenza dei gravi indizi di reato che giustificavano l’avvio delle attività intercettazione prescindendo dal contenuto della fonte confidenziale e anonima, cui erano seguiti i primi accertamenti della polizia giudiziaria che comunque precedono l’emanazione del primo decreto di intercettazione delle utenze rilevanti.

3. Venendo alle ulteriori censure, la Corte rileva in via generale che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n. 47289 del 2003, Petrella, rv 226074).

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello".

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e) non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.

Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica della lett. e) dell’art. 606 c.p.p. apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b) dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n. 23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte:

Sezione Sesta Penale, sentenza n. 22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

4. La puntuale applicazione di tali principi conduce alla dichiarazione di infondatezza di tutti i restanti motivi di ricorso.

Appare, infatti, chiaro che le valutazioni compiute concordemente dai giudici di merito in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti potrebbero essere censurate da questa Corte soltanto ove sussistessero profili di incoerenza o di manifesta illogicità del percorso motivazionale, essendo preclusa al giudice di legittimità la possibilità di procedere a valutazioni di merito circa le caratteristiche della sostanza o gli estremi delle condotte.

Per quanto concerne le posizioni M. e Vi., ad esempio, non può certo definirsi illogico il percorso argomentativo (pagina 24 e seguenti) che considera il quantitativo dei singoli acquisti eccedente la possibilità di consumo dei due coniugi e valuta tale elemento alla luce del complessivo compendio probatorio, così che la diversa ricostruzione dei fatti opposta dai ricorrenti (diversa per modalità e per quantitativi di assunzione, fino a giungere all’assunto della "inefficacia farmacologica della sostanza") costituisce una evenienza che non comporta l’esistenza di un vizio logico della motivazione e non è apprezzabile in sede di legittimità; ciò anche perchè la Corte di Appello ha affrontato (v. pag. 23) il tema della qualità della sostanza stupefacente sequestrata con provenienza da I., giungendo a conclusioni che non collimano con quelle prospettate dai due ricorrenti. Anche con riferimento alla mancata applicazione dell’ipotesi D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 73, comma 5 deve giungersi alla conclusione che si è in presenza di censura infondata; si è, infatti, in presenza di valutazione attinente il merito della decisione e non illogicamente rapportata alla condotta complessiva dei ricorrenti e ai quantitativi singolarmente acquistati, con la conseguenza che le conclusioni cui i giudici di merito sono pervenuti risultano sottratte alle censure della Corte di legittimità.

Per quanto concerne il quinto motivo C., va escluso che sussista il vizio motivazionale denunciato. I giudici di merito hanno escluso (si vedano le pagine 16 e 17 della sentenza di appello) che le condotte accertate giustifichino la pretesa esistenza di un ruolo secondario del ricorrente e che si sia in presenza di quantitativi di sostanza stupefacente che possano permettere l’applicazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 73, comma 5. Infine, esclusa l’applicabilità dell’art. 62-bis c.p. a causa della gravità e della reiterazione delle condotte, la Corte territoriale ha comunque ridotto la pena inflitta all’imputato in primo grado, con una complessiva motivazione che non appare manifestamente illogica e meritevole di censura.

Con unico motivo la Sig.ra P. lamenta la mancata applicazione dell’istituto della continuazione rispetto a fatti giudicati nel 2006 dal Tribunale di Latina al termine di separato procedimento. La distanza temporale fra i fatti oggetto dei due procedimenti è tale (dai 13 ai 16 mesi circa) da poter essere legittimamente posta a fondamento del rigetto della istanza difensiva senza che si ravvisi alcuna manifesta illogicità nel fatto che tale elemento sia giudicato prevalente rispetto alla condizione di consumatrice abituale.

La censura proposta dalla Sig.ra D. e quella proposta dal Sig. Ci. sono con ogni evidenza infondate: a fronte di una motivata sentenza di condanna in primo grado e alla rinuncia degli appellanti a tutti i motivi di appello in punto responsabilità non sussiste la lamentata violazione dell’art. 129 c.p.p., essendo presente in atti la piena giustificazione del giudizio di responsabilità penale e così soddisfatte le garanzie previste dagli artt. 125 e 129 c.p.p..

Venendo, infine, ai motivi di ricorso del Sig. V., la Corte richiama, in ordine al secondo motivo, quanto affermato con riferimento al ricorso P. in ordine alla mancata applicazione dell’istituto della continuazione coi fatti oggetto della sentenza del Tribunale di Latina del 2006. Circa il primo motivo di ricorso, la Corte di Appello ha fornito alle pagine 22 e seguenti della motivazione una chiara illustrazione delle ragioni per cui i quantitativi di sostanza stupefacenti acquistati (circa 230 grammi in due mesi) sono incompatibili con la tesi difensiva, soprattutto considerando che la distanza ravvicinata fra acquisti singolarmente consistenti (35 grammi in otto giorni). Si è in presenza di motivazione fondata su elementi di fatto specifici e sorretta da ragioni logiche certo non manifestamente viziate, con conseguente preclusione per un diverso giudizio di merito da parte di questa Corte.

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte i ricorsi devono essere respinti e i ricorrenti condannati, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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