Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-07-2011) 27-07-2011, n. 29991 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Confermando la decisione del primo Giudice, la Corte di Appello di Palermo, con sentenza 8 febbraio 2011, ha ritenuto C.L. responsabile dei reati previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b, art. 64 e l’ha condannato alla pena di giustizia.

Per giungere a tale conclusione,la Corte ha evidenziato che l’imputato, privo di titoli abilitativi, aveva edificato in zona sismica un piccolo vano ed una struttura coperta di circa 60 mq, che determinava una stabile alterazione dello organismo edilizio preesistente.

Nessuna rilevanza aveva – ha evidenziato la Corte – la circostanza che l’appellante avesse provveduto alla demolizione in esito alla ordinanza comunale.

Per l’annullamento della sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:

– che la Corte non ha risposto al motivo di appello con il quale deduceva che i manufatti (un gazebo estivo non ancorato al suolo ed una piccola protezione per una doccia a cielo aperto) erano caratterizzati dal requisito della precarietà a sensi della L.R. Sicilia n. 4 del 2003, art. 20;

– che era applicabile l’attenuante dell’art. 62 c.p., n. 6 per la tempestiva e spontanea demolizione delle opere.

Si deve rilevare che la Corte territoriale ha motivato solo implicitamente in relazione alla deduzione difensiva inerente alla natura precaria dei manufatti. Tuttavia, non costituisce causa di nullità della sentenza il mancato esame di una censura dell’atto di appello che sia manifestamente infondata e percepibile ictu oculi; in questo caso, i Giudici sono esonerati dal prendere in esame il motivo di impugnazione e dal confutarlo (ex plurimis: Cass. Sez. 4 sentenza 24973/2009).

Tale è l’ipotesi in esame in quanto la tesi dell’appellante sulla precarietà degli interventi era, all’evidenza, inconsistente.

Sono esonerati dalla necessità di titoli autorizzativi i manufatti di assoluta ed evidente precarietà destinati a soddisfare scopi specifici o esigenze contingenti, predeterminate nel tempo, e ad essere rimossi dopo il momentaneo uso; a tale fine, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali usati e la facile rimovibilità, ma solo la destinazione dell’opera in relazione alla funzione cui è preposta (ex plurimis: Cass. Sez. 3 sentenza 22054/2009).

I manufatti per cui è processo non erano finalizzati a soddisfare esigenze transeunti o improvvise, ma a fornire una utilità prolungata nel tempo e, di conseguenza, producevano quegli effetti sul territorio che la normativa urbanistica è rivolta a regolare; la circostanza che il gazebo fosse utilizzato solo l’estate è irrilevante in quanto il carattere stagionale di una struttura non significa precarietà dell’opera quando l’utilizzo annuale è ricorrente (ex plurimis; Cass. Sez. 3 sentenza 13705/2006).

Questa conclusione non è superata dai motivi di ricorso con i quali la nozione di precarietà è sostanzialmente collegata alla agevole rimozione dei manufatti e si cita la L.R. Sicilia n. 4 del 2003, art. 20 che non è conferente perchè concerne le opere interne.

In merito alla residua deduzione non è censurabile il mancato esercizio da parte della Corte di Appello del suo potere discrezionale sulla concessione dell’attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 6. L’abbattimento dei manufatti non è indice di ravvedimento perchè avvenuto in epoca posteriore alla ordinanza sindacale che imponeva la demolizione delle opere (la cui inottemperanza avrebbe determinato l’acquisizione del sito al patrimonio comunale).

Per le esposte considerazioni, la Corte dichiara inammissibile per manifesta infondatezza il ricorso con condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma – che reputa equo fissare in Euro mille – alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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