Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-07-2011) 27-07-2011, n. 29986

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Confermando la decisione del primo Giudice, la Corte di Appello di Messina, con sentenza 21 giugno 2010, ha ritenuto S.E., S.A., C.G., T.S. responsabili dei delitti di associazione a delinquere e di reclutamento, agevolazione e sfruttamento della prostituzione;

S.E. e S.A. anche del reato di esercizio di case di prostituzione e le imputate S.A. e S.T. del reato di false dichiarazioni sulla propria identità.

Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno, innanzi tutto, focalizzato gli elementi dai quali hanno tratto la conclusione di un permanente vincolo associativo tra gli imputati, con apparato organizzativo, tendente a fornire supporto materiale a varie donne che si prostituivano; nel sodalizio criminale, avevano un ruolo verticistico ed erano le promotrici, la S.E. e S.A.che, tra l’altro, avevano allestito varie case dove svolgevano una costante attività di organizzazione e coordinamento della prostituzione di numerose donne.

Successivamente, la Corte ha preso in esame la posizione degli altri imputati ed ha evidenziato la fattiva collaborazione al sodalizio e le mansioni svolte di supporto in favore delle prostitute. L’ultima parte della decisione è dedicata alla sussistenza del reato ex art. 496 cod. pen..

Per l’annullamento della sentenza, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare rilevando:

= che difettavano i presupposti per ritenere configurata la struttura tipica del reato associativo e sul punto i Giudici non hanno risposto al motivo di appello;

= che la S. e la S. si prostituivano con altre donne con le quali avevano un accordo paritario illecito sotto il profilo morale, ma non giuridico;

= che non è configurabile la fattispecie prevista dalla L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 1, perchè le case erano gestite dalle stesse persone che si prostituivano e mancava il requisito della notorietà;

= che C. e T. non hanno tenuto alcun comportamento che possa configurare partecipazione ed un consorzio illecito o favoreggiamento della prostituzione;

= che S.T. non ha dato false generalità alla Polizia.

Nelle deduzioni dei ricorrenti sono riscontrabili vari profili di inammissibilità.

Innanzi tutto, va rilevato che le censure ora al vaglio di legittimità non presentano elementi di fatto o censure in diritto inedite e diverse da quelle già sottoposte all’esame della Corte territoriale, prese dalla stessa nella dovuta considerazione, e disattese con congrua e completa motivazione; di questo iter argomentativo, gli imputati non tengono conto nella redazione dell’atto di ricorso che, sotto tale profilo, è privo della necessaria concretezza perchè non in sintonia con le ragioni giustificatrici del gravato provvedimento.

Le censure sono, pure, manifestamente infondate.

Per quanto riguarda il reato associativo, i Giudici hanno avuto cura di indicare il coacervo probatorio (in particolare, la complessa attività di intercettazioni) che ha permesso di individuare nelle imputate S. e S. le coordinatrici e dirigenti di un gruppo criminale avente l’obiettivo di realizzare copiosi guadagni tramite la commissione di un numero indeterminato di reati in tema di prostituzione.

La Corte ha messo a fuoco l’esistenza di una stabile struttura organizzata e plurisoggettiva, con al vertice le ricordate imputate, munita di un efficiente apparato e di risorse finanziarie finalizzata al reclutamento, favoreggiamento e sfruttamento dell’altrui prostituzione.

I Giudici hanno considerato la posizione dei singoli imputati evidenziando il loro fattivo coinvolgimento nello illecito sodalizio e le condotte antigiuridiche poste in essere ai danni delle prostitute integranti gli illeciti previsti dalla L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 4, 5, 6, 8. Poichè il Tribunale ha sintetizzato nella sentenza tutte le prove acquisite, questa Corte è stata posta nella condizione, senza compulsare gli atti, di verificare come il convincimento dei Giudici di merito sia una logica conseguenza delle emergenze istruttorie. Pertanto, la conclusione della decisione impugnata, sulla sussistenza del delitto previsto dall’art. 416 cod. pen. e dei reati programmati , è sorretta da apparato motivazionale congruo completo, corretto e, come tale, insindacabile in questa sede.

In tale contesto, i ricorrenti propongono censure in fatto tendenti ad una rinnovata ponderazione delle prove, alternativa a quella correttamente effettuata dalla Corte territoriale, ed introducono problematiche che esulano dai limiti cognitivi del giudizio di legittimità.

La modifica legislativa introdotta con la L. n. 46 del 2006 permette alla Corte di Cassazione una indagine extratestuale oltre il limite del provvedimento impugnato, ma non ne ha alterato la funzione tipica;

rimane fermo il divieto – in presenza di una motivazione non carente e non manifestamente illogica – di una diversa valutazione delle prove.

Ad analoga conclusione si deve pervenire per la censura, esclusivamente in fatto, sulla sussistenza del delitto previsto dall’art. 496 cod. pen..

Per quanto concerne la fattispecie L. n. 75 del 1958, ex art. 3, comma 2, n. 1 si osserva come siano riscontabili gli elementi costitutivi del reato (ex plurimis Cass. Sez. 3 sentenza 21090/2007).

Le imputate S. e S. avevano, in maniera stabile ed organizzata, adibito varie abitazioni allo esercizio del meretricio da parte di una pluralità di persone; le case erano caratterizzate dalla abituale destinazione agli incontri di donne disposte a prostituirsi e clienti che vi accedevano in modo indiscriminato.

Come ha già correttamente precisato dalla Corte di Appello, l’esistenza di una casa di appuntamenti era nota, sì che chiunque poteva accedervi, tramite l’inserzione su di un giornale (mentre era irrilevante che l’indirizzo venisse comunicato al cliente previo contatto telefonico).

Le imputate non solo si prostituivano, ma nelle case ad hoc predisposte avevano organizzato la gestione del meretricio di altre donne per cui devono rispondere del delitto in oggetto.

Per le esposte considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma- che la Corte reputa equo fissare in Euro mille- alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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