T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 05-08-2011, n. 2094 Assegnazione di alloggi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 2 novembre 2007 il sig. A.V. ha impugnato, chiedendone l’annullamento, la nota indicata in epigrafe con la quale il Settore Casa del Comune di Milano ha respinto la sua domanda di assegnazione, in deroga alla graduatoria, di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, per difetto del requisito della residenza o dell’attività lavorativa in Lombardia nei cinque anni immediatamente precedenti la data di presentazione della domanda, previsto dall’art. 3, comma 41 bis, L.R. n. 1/2000, introdotto dall’art. 1, lett.a), L.R. n. 7/2005.

Il ricorrente lamenta l’illegittimità costituzionale della previsione normativa, di cui il provvedimento costituisce pedissequa applicazione, per violazione degli artt. 3, 47, 101, 102, 103, 104, 111 e 117 Cost.

Il Comune di Milano si è costituito in giudizio controdeducendo per l’infondatezza del ricorso, sul rilievo che il provvedimento impugnato è stato adottato in esecuzione della normativa regionale e non avrebbe potuto avere diverso tenore.

Con ordinanza n. 1739 del 15 novembre 2007 la Sezione, che con separata ordinanza n. 108/2006 pronunciata in altro giudizio aveva già sollevato questione di legittimità costituzionale della norma regionale, ha accolto la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato, ritenendo sussistente un periculum in mora di particolare intensità, in ragione delle condizioni di salute del ricorrente, invalido civile al 100% con necessità di assistenza continuativa.

In esecuzione dell’ordinanza il Comune di Milano accoglieva la domanda di assegnazione e, in data 14 gennaio 2008, concedeva in locazione al ricorrente, tramite l’ALER di Milano, un alloggio ERP per la durata di due anni.

Con ordinanza n. 105 del 18 gennaio 2011 il giudizio veniva interrotto a seguito del decesso del ricorrente, avvenuto in data 26 aprile 2009.

Il giudizio veniva successivamente riassunto con atto depositato in data 15 febbraio 2011 dalla signora M.V.R.D.A., vedova del ricorrente, che insiste per l’accoglimento del ricorso, previa disapplicazione della legge regionale o rimessione della questione alla Corte costituzionale o alla Corte di Giustizia CE.

Con memoria finale il Comune di Milano ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancata notifica alla Regione Lombardia e, nel merito, la sua infondatezza.

La parte ricorrente ha replicato con memoria.

All’udienza il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso si dirige avverso il provvedimento con il quale il Comune di Milano ha respinto la domanda di assegnazione di alloggio ERP che era stata presentata dal sig. Villoni in deroga alla graduatoria, in ragione della grave situazione familiare e dei gravi motivi di salute rappresentati nell’istanza. Il diniego è motivato con richiamo alla circostanza che il richiedente, residente in Lombardia dal 30 maggio 2005, non aveva maturato alla data di presentazione della domanda il periodo di cinque anni di residenza nella regione.

Il provvedimento impugnato è stato assunto in fedele applicazione dell’art. 3, comma 41 bis, L.R. n. 1/2000, introdotto dall’art. 1, primo comma lett. a), L.R. n. 7/05, successivamente confluito nell’art. 28 L.R. n. 27/09, recante il Testo unico delle leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica, nella parte in cui prevede, tra i requisiti per la presentazione delle domande di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, che "i richiedenti devono avere la residenza o svolgere attività lavorativa in Regione Lombardia da almeno cinque anni per il periodo immediatamente precedente alla data di presentazione della domanda".

Come noto, l’ordinanza con cui questa Sezione ha rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale della suindicata disciplina regionale non ha trovato adesione nella Corte costituzionale, che con ordinanza n. 32 del 2008, ha dichiarato manifestamente inammissibili le censure sollevate con riferimento agli artt. 117, primo comma, e 120 della Costituzione, per carenza di motivazione e manifestamente infondate le ulteriori censure di violazione degli artt. 3, 47, 117 commi secondo lett. m e terzo, 101, 102, 103, 104 e 11 della Costituzione.

La ricorrente ritiene che sia ancora rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, l. r. n. 27 del 2009 (già art. 3, comma 41 bis, l. r. n. 1 del 2000) e propone anche il dubbio della compatibilità comunitaria della norma con le disposizioni in tema di libertà di circolazione, contenute negli artt. 18, 20 e 21 T.F.U.E. e nell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Su analoghe questioni questa sezione si è già pronunciata con ampia e articolata sentenza n. 5988 del 15 settembre 2010, le cui conclusioni devono essere qui ribadite e sinteticamente richiamate, ex art. 74 c.p.a..

La disciplina sull’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, materia rientrante nella potestà legislativa residuale delle Regioni, è volta a perseguire la finalità di favorire, con oneri a carico della collettività, l’accesso all’abitazione, a canoni inferiori a quelli correnti sul mercato, alle categorie di cittadini meno abbienti (C. cost., 25 maggio 2004 n. 150; n. 419/1991).

L’esigenza che il servizio ERP è chiamato a soccorrere implica che le relative provvidenze siano assicurate nel rispetto delle garanzie soggettive di pari trattamento, quale valore fondante l’unità dell’ordinamento e idoneo a condizionare l’autonomia riconosciuta agli enti territoriali.

Con riguardo ai limiti posti a un trattamento normativo che intenda valorizzare la localizzazione territoriale dei soggetti che richiedano prestazioni sociali, va ricordato che l’art. 120, I comma, Cost., vieta alle Regioni di interporre, con provvedimenti di qualsiasi natura, amministrativa o legislativa, ostacoli alla libera circolazione di persone e cose tra le Regioni stesse. La giurisprudenza della Corte costituzionale, per garantire un grado uniforme di protezione dei diritti civili e sociali non condizionato dalle vicende legate al frazionamento territoriale del potere, considera incompatibili con tale precetto e, come tali, arbitrarie e discriminatorie, le limitazioni prive di ragionevole fondamento che perseguano finalità di ordine protezionistico.

Posto questo limite, tuttavia, bisogna convenire che, in relazione alle esigenze di pianificazione e programmazione delle proprie missioni, il potere delle regioni di ridistribuire – secondo requisiti oggettivi – le risorse scarse di cui si dispone è connaturato allo svolgimento stesso dell’autonomia politica e amministrativa delle regioni stesse, per le quali il territorio costituisce non solo l’ambito spaziale di svolgimento della soggettività giuridica ma anche il perimetro degli interessi assegnati alla loro cura.

La norma regionale di cui trattasi, in primo luogo, non frappone in alcun modo limiti di fatto o di diritto né alla circolazione né allo stabilimento né all’accesso al lavoro salariato nella Regione Lombardia; libertà queste ultime, rispetto al cui svolgimento evidentemente non costituisce precondizione necessaria l’assegnazione di un alloggio a canone sociale. Coerentemente alla dimensione "territoriale" del livello di governo, la disposizione si limita unicamente a delimitare lo spettro soggettivo di intervento del servizio sociale in questione mercé l’adozione di un criterio oggettivo e non discriminatorio, rappresentato dalla stabilità dell’insediamento abitativo.

A questa stregua, la previsione della residenza (o alternativamente dello svolgimento di lavoro) da almeno cinque anni continuativi nelle aree della regione, è parametro senza dubbio idoneo ad assicurare che l’intervento pubblico si diriga verso nuclei stabilmente insediati sul territorio dell’ente regionale, in modo tale che, da un lato, siano evitate possibili manovre fraudolente (anche per consentire alla Regione di effettuare controlli approfonditi sulla sussistenza dello stato di bisogno del nucleo istante), dall’altro, sia consentito programmare le risorse scarse a disposizione in vista delle esigenze delle comunità ivi stanziata (alla cui entità e composizione, del resto, sono di anno in anno parametrati i trasferimenti finanziari).

Nella richiamata ordinanza, la Corte costituzionale, con riguardo alla violazione dell’art. 117 Cost., ha sostenuto che la materia "edilizia residenziale pubblica" rientra nella competenza esclusiva delle Regioni e non interferisce con la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali che devono garantirsi uniformemente sul territorio nazionale.

Anche con riguardo alla censura di violazione dell’art. 3 della Costituzione, la Corte ha affermato che il requisito della residenza continuativa, ai fini dell’accesso all’erp, non si configura come fattore discriminatorio e non risulta irragionevole, ponendosi "in coerenza con le finalità che il legislatore intende perseguire e realizzando un equilibrato bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco".

Ha poi giudicato, con riferimento alle censure di violazione dei precetti contenuti negli artt. 101, 102, 103, 104 e 111 Cost., che la norma contestata non determina alcuna compromissione della funzione giurisdizionale, operante su un piano diverso da quello proprio del potere legislativo.

Quanto alla questione di compatibilità della normativa in esame con la disciplina comunitaria, la pronuncia della Sezione ha osservato che la subordinazione dell’effettiva erogazione di benefici pubblici al possesso del requisito della residenza o allo svolgimento protratto di una determinata attività sul territorio deve ritenersi ammessa, quando sia commisurata allo scopo legittimamente perseguito dal diritto nazionale" nel predisporre le prestazioni o i benefici da erogare e non vada oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (CGCE sent. 23 ottobre 2007 in C11/06 e 12/06; sent. 23 marzo 2004 in C138/02).

Similmente, per quanto attiene invece ai principi della CEDU, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha enucleato il principio, desunto direttamente dall’art. 14 CEDU, per cui ciascuno ha diritto ad usufruire della distribuzione di beni o benefici pubblici aventi rilievo anche economico senza subire discriminazioni che non dipendano dal corretto svolgimento delle specifiche finalità pubblicistiche perseguite nella distribuzione dei beni e dei benefici medesimi (v. anche, di recente, sent. 25 ottobre 2005, Okpsisz v. Germania, e Niedzwiecki v. Germania; sent. 16 settembre 1996, Gaygusuz c. Austria).

Il requisito contestato, infatti, non configura una misura meramente dissuasiva della libertà di circolazione e soggiorno riconosciuta in Europa e risponde al canone di proporzionalità più volte enunciato dalla giurisprudenza comunitaria. Esso è, in primo luogo, adeguato alle finalità proprie del servizio di edilizia residenziale pubblica, il quale, avendo come scopo principale quello di fornire un’abitazione, ovvero un’abitazione più adeguata, a nuclei familiari che non hanno risorse economiche sufficienti per provvedervi autonomamente, è naturalmente rivolto alla rimozione della condizione di bisogno di quanti abbiano deciso di stabilirsi sul territorio della Regione; non a caso l’art. 9 Reg. CE 1612/68 stabilisce che il lavoratore cittadino di uno Stato membro (già) occupato (e, quindi, stabilmente insediato) sul territorio di un altro Stato membro gode di tutti i diritti e vantaggi accordati ai lavoratori nazionali per quanto riguarda l’alloggio. E’ idoneo rispetto all’obiettivo perseguito perché evita possibili manovre fraudolente (e consente alla Regione di effettuare controlli approfonditi sulla sussistenza dello stato di bisogno del nucleo istante). E’ necessario, perché consente all’ente regionale di programmare le risorse scarse a disposizione in vista delle esigenze delle comunità ivi stanziate (alla cui entità e composizione, del resto, sono di anno in anno parametrati i trasferimenti finanziari). La misura, da ultimo, è proporzionata dal momento che sono sufficienti appena cinque anni perché il lavoratore proveniente da qualunque Stato membro (al pari del lavoratore nazionale non proveniente dalla regione erogatrice del beneficio) possa partecipare alle selezioni pubbliche per l’assegnazione dell’alloggio ed, inoltre, anche prima del decorso di tale periodo, non sono escluse altre concorrenti forme di intervento assistenziale.

In definitiva, il provvedimento nazionale in questione è giustificato perché persegue un obiettivo di interesse generale, è adeguato a garantire la realizzazione dello stesso e non eccede quanto è necessario per raggiungerlo.

Ne discende la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della previsione legislativa sulla cui base è stato emanato il provvedimento impugnato.

Discende, altresì, facendo piana applicazione dei canoni elaborati dalla giurisprudenza comunitaria, come le sopra richiamate disposizioni comunitarie e convenzionali non ostino ad una normativa regionale che, nel disciplinare i requisiti per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, stabilisca, come condizione per la presentazione di una domanda di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, l’avere il richiedente risieduto o prestato attività lavorativa nel territorio delle regione, per almeno cinque anni prima della proposizione della domanda.

In definitiva, la confutazione degli argomenti con i quali la parte ricorrente ha prospettato profili di contrasto tra la normativa di legge regionale e le norme costituzionali e comunitarie, mirando con ciò a far discendere l’illegittimità derivata dell’atto amministrativo che ad essa aveva dato applicazione, comporta irrimediabilmente il rigetto integrale dei motivi di ricorso.

Analoga sorte segue anche la domanda di risarcimento dei danni, non potendosi ravvisare alcun comportamento contra ius del Comune che si è limitato a dare applicazione della legge regionale vigente.

Sussistono tuttavia giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese tra le parti, in ragione delle incertezze interpretative che hanno dato luogo alla rimessione degli atti per lo scrutinio di legittimità costituzionale, della complessità della materia e dello stato di disagio sociale della parte ricorrente, persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando:

respinge il ricorso, come in epigrafe proposto;

compensa per intero le spese tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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