T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 08-08-2011, n. 7049 Ordinamento giudiziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Dopo avere ripercorso le tappe della propria carriera, caratterizzata sempre da valutazioni lusinghiere, la d.ssa S., attualmente in servizio presso la Corte d’Appello di Lecce con le funzioni di Consigliere, rappresenta che, in occasione della procedura di valutazione per la nomina alle funzioni direttive superiori, il Consiglio Giudiziario di Lecce, nella seduta del 20.6.2007, abbia invece espresso parere contrario alla progressione.

Detto parere è riportato nell’impugnata delibera del C.S.M., in cui si dà atto di "diversi ritardi nel deposito delle sentenze penali, culminati in quello della redazione della sentenza nel maxiprocesso "Cahors" celebrato nel 2003, ed oggi non ancora completata. Il parere esprime quindi un giudizio sfavorevole alla progressione, segnalando che "le pregresse valutazioni, attestanti positivamente la professionalità della d.ssa S., non possono, per i ritardi sopra menzionati, essere confermate".

Il C.S.M., ha quindi espresso il proprio giudizio di non idoneità, affermando che "il magistrato in valutazione ha dimostrato di non possedere adeguata capacità organizzativa. Dagli atti trasmessi dal Consiglio Giudiziario di Lecce risulta che nel periodo in valutazione (27 giugno 1998/27 giugno 2006), la d.ssa S. ha disatteso in varie occasioni i termini di legge per il deposito di sentenze, superando, per la consistenza del ritardo, i limiti oggettivi di ragionevolezza e giustificabilità (…).

Avverso siffatte determinazioni, parte ricorrente articola i seguenti motivi di censura:

1) Violazione degli artt. 16 e 22 l. n. 831 del 1973. Eccesso di potere per sviamento dell’interesse pubblico con inconfutabile travisamenti dei fatti, inesatta ed incongrua rappresentazione della realtà. Eccesso di potere per erroneità nei presupposti fattuali. Erronea ed incongrua istruttoria. Ingiustizia manifesta. Illegittimità derivata. Contraddittorietà manifesta. Difetto di motivazione ed omessa valutazione di elementi di prova a favore della ricorrente.

L’Organo locale ed il Consiglio Superiore, si sono arrestati al dato meramente formale di un isolato ritardo nel deposito di una sentenza. In particolare, non hanno considerato che, nella fattispecie, dopo il trasferimento alla Corte d’Appello di Lecce (con la contemporanea applicazione al Tribunale per i minorenni di Taranto, protrattasi sino al 26 ottobre 2002) alla d.ssa S. è stata imposta una attività giudiziaria ai limiti dell’esigibilità, che ha comportato perduranti conseguenze di carattere sanitario, attesa anche la difficile situazione familiare, dovendo la stessa accudire, da sola, un padre ultranovantenne.

Peraltro, è lo stesso CSM a rilevare che, nel periodo in considerazione, la ricorrente ha dovuto fare fronte ad una notevole mole di lavoro, sia per il numero delle udienze che per la rilevanza dei procedimenti trattati.

Ritiene, pertanto, che la delibera impugnata sia intrinsecamente contraddittoria, là dove riconosce che la d.ssa S. è stata gravata di lavoro, senza tuttavia trarne le dovute conseguenze.

Ricorda, in particolare, come, nel solo mese di ottobre 2001, abbia dovuto partecipare a 15 udienze dibattimentali (nove, come giudice a latere, in Corte, e sei come presidente del Collegio presso il T.M.), con la necessità di studiare i fascicoli e predisporre la redazione dei provvedimenti di appello, nei residui momenti disponibili della giornata.

Nel dicembre 2001, venne altresì designata quale relatrice del maxiprocesso c.d. "Cahors" (gli atti processuali erano raccolti in 80 faldoni, oltre quelli contenenti i corposissimi motivi di impugnazione, e la sentenza di primo grado constava di ben 2100 pagine), e delle innumerevoli istanze ad esso relative, concernenti non solo le singole posizioni processuali ma anche la gestione, particolarmente complessa, di aziende e beni patrimoniali del valore all’epoca di molti miliardi di lire, sottoposti ad amministrazione giudiziaria, sequestrati nel corso delle indagini preliminari e confiscati con la sentenza di primo grado.

Anche in data successiva alla definizione del procedimento Cahors ebbe poi ad incamerare altri processi complessi (ad es., il c.d. processo "Pegaso"), e, comunque, numerosi procedimenti relativi a reati non bagatellari.

La d.ssa S., sottolinea ancora che il grave stress accumulato in quella particolare situazione, ebbe a determinarle conseguenze di carattere sanitario, con l’insorgenza di una grave forma di ipertensione arteriosa, che l’ha costretta ad un lungo periodo di aspettativa per motivi di salute.

Altre patologie si sono presentate successivamente, tra cui una fastidiosissima periartrite scapolo omerale che, per un certo periodo di tempo, ha reso inutilizzabile il braccio destro.

Appena rientrata in servizio, ha poi dovuto far fronte ad una mole consistente di lavoro, come peraltro riconosciuto anche dal C.S.M.

Ella sottolinea che, a ben vedere, i ritardi che le sono stati addebitati sono dipesi da una cattiva distribuzione dei carichi di lavoro e non da una sua personale disorganizzazione.

Ritiene, infatti, di avere adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla professione, sacrificando le proprie personali esigenze e la propria salute, nonché, talora, le necessità e le aspettative dell’anziano genitore.

La sua situazione familiare, peraltro, era ben nota in ufficio, ma non è stata adottata alcuna soluzione per consentire di non incamerare una miriade di nuova sentenze.

Quanto alla sentenza Cahors, sottolinea che, sin dal giugno 2007 erano state depositate in cancelleria le prime 770 pagine, ma che l’aggravamento delle condizioni di salute del padre non le consentì, nonostante tutto l’impegno profuso, di completare la motivazione della suddetta sentenza nei termini previsti. La stessa delibera del C.S.M. richiama, peraltro, il carteggio intercorso tra il Presidente della Sezione distaccata di Taranto della Corte di Appello di Lecce, e il Presidente della Corte di Appello di Lecce, dalla quale si evince come, nel periodo 1° ottobre/30 novembre 2007, fu ancora onerata di udienze e procedimenti complessi, tali da ritardare, ulteriormente, il deposito della sentenza Cahors.

Nel frattempo, la vita del padre si spegneva.

2) Violazione di legge (art. 10 – bis l. n. 241/90 – Eccesso di potere – Violazione dei principi del procedimento).

Il C.S.M. è venuto meno al contraddittorio c.d. "predecisorio", garantito dalla disposizione in rubrica.

Si sono costituite, per resistere, le amministrazioni intimate.

Le parti hanno depositato memorie.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 6 luglio 2011.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

2. Relativamente alla violazione di carattere procedimentale dedotta, il Collegio ricorda che la l. n. 241/90 contiene norme generali applicabili a tutti i procedimenti amministrativi; norme che, anche in presenza di una normativa speciale di settore, impongono che quest’ultima debba essere integrata ed armonizzata con i principi da essa posti.

Non si scorge perciò alcuna ragione, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa erariale, per cui gli istituti di partecipazione disciplinati dalla legge sul procedimento, siano suscettibili di "deroga" in relazione alla particolare posizione di autonomia di cui gode l’Organo di autogoverno della magistratura ordinaria; con la quale, invero, essi non possono in alcun modo interferire (cfr., Cons. St., sez. IV, 26 settembre 2001, n. 5037, nonché TAR Lazio, sez. I, 15 maggio 2008, n. 4204).

Piuttosto, la violazione delle disposizioni relative al c.d. "preavviso di rigetto", non produce l’illegittimità del provvedimento terminale nel solo caso in cui, ai sensi dell’art. 21 -octies della cit. l. n. 241/90, risulti che la violazione di tale adempimento formale non abbia inciso sulla legittimità sostanziale del provvedimento.

La norma in esame – che ha introdotto nel nostro ordinamento i c.d. "vizi non invalidanti" del provvedimento (prevedendo, in particolare, la non annullabilità dell’atto per violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti o sulla comunicazione di avvio, quando sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato) – trova applicazione anche alle violazioni dello stesso art. 10 -bis della l. n. 241/90, attesa l’analogia tra tutti gli istituti finalizzati alla partecipazione al procedimento amministrativo (cfr. Cons. St., sez. V, 23 gennaio 2008, n. 143).

Essa, secondo la più convincente ricostruzione dell’istituto, non determina la degradazione di un vizio di legittimità in mera irregolarità, né costituisce una fattispecie esimente, bensì comporta al non annullabilità dell’atto a causa di valutazioni attinenti al contenuto del provvedimento, effettuate ex post dal giudice, il quale accerta che esso non avrebbe potuto essere diverso (così ancora la decisione n. 143/2008, sopra citata).

Secondo detta ricostruzione, la deducibilità di tale vizio trova elementi di insuperabile preclusione nel caso in cui la ricognizione in ordine al contenuto "possibile" dell’atto finale escluda che sia predicabile, in capo al ricorrente, alcun interesse alla proposizione di un profilo di censura (pur potenzialmente) inficiante proprio in ragione del carattere comunque negativo (per la posizione sostanziale della quale la parte è portatrice) assunto dalla conclusiva effusione provvedimentale.

Siffatta "prova di utilità" va, viceversa, esclusa allorché gli elementi che il privato avrebbe potuto introdurre nel procedimento – e che ha indicato in sede di sollecitazione del sindacato giurisdizionale – non siano agevolmente risolvibili se non con valutazioni di merito che risultano precluse al giudice amministrativo.

Il Consiglio di Stato ha peraltro soggiunto che, sebbene la norma di cui al comma 2 dell’art. 21 -octies ponga in capo all’amministrazione (e non a carico del privato) l’onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione, che l’esito del procedimento non poteva essere diverso, tuttavia, onde evitare di gravare la p.a. di una probatio diabolica (quale sarebbe quella consistente nel dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l’esito del procedimento), risulta preferibile interpretare la norma in esame nel senso che il privato non possa limitarsi a dolersi del vizio procedimentale in esame, ma debba anche quantomeno indicae o allegare quali siano gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento, ove avesse ricevuto la comunicazione.

Solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione (che la norma pone implicitamente a suo carico), l’amministrazione sarà gravata del ben più consistente onere di dimostrare che anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato (Cons. St., VI, 29 luglio 2008, n. 3786).

Nel caso di specie, tuttavia, risulta che il C.S.M. ha provveduto sulla base di un quadro fattuale completo, avendo condotto un’istruttoria accurata e analitica, nella quale non è stato trascurato alcuno degli elementi evidenziati anche nel presente gravame, ed in precedenza sintetizzati, di talché l’omessa preavviso circa il contenuto delle determinazioni sfavorevoli alla ricorrente, non ha prodotto alcun effetto invalidante.

3. Nel merito, il Collegio non ravvisa, poi, gli invocati profili di contraddittorietà, perplessità o sviamento.

Ed infatti, come già anticipato, la delibera impugnata ripercorre analiticamente la vicenda professionale della d.ssa S., ed in particolare, tutte le pregresse valutazioni, sempre positive.

Il C.S.M. prende quindi in esame gli aspetti strettamente inerenti la valutazione per cui è causa, rappresentando di avere acquisito a) il rapporto informativo del Presidente preposto alla sezione distaccata della Corte di Appello di Lecce dell’11 maggio 2007; b) il rapporto informativo del Presidente del Tribunale per i minorenni di Taranto dell’11 ottobre 2006; c) il parere del Consiglio Giudiziario di Lecce del 20 giugno 2007.

Prende altresì atto del "convinto parere favorevole" del primo alla progressione della d.ssa S. e della circostanza che, secondo il Presidente della Sezione penale, i ritardi nel deposito di alcuni provvedimenti sono dovuti a gravi problemi di salute della ricorrente, alla redazione di motivazioni di sentenze di maxiprocessi, alla partecipazione a processi di non usuale complessità.

Anche il Consiglio Giudiziario ha dato atto delle valutazioni positive relative all’attività svolta dalla d.ssa S., della sua preparazione giuridica, dell’attenzione allo studio e all’aggiornamento professionale, dell’equilibrio decisionale e della dedizione al lavoro, rilevando, però che "le statistiche allegate non permettono di esprimere una valutazione positiva in ordine all’applicazione del magistrato. In particolare, sono emersi diversi ritardi nel deposito delle sentenze penali, culminati in quello della redazione della sentenza del maxiprocesso "Cahors" celebrato nel 2003, ad oggi non ancora completata".

Il Consiglio Giudiziario ha trasmesso al CSM anche il verbale della seduta del 20 giugno 2007, nel quale si dà conto dell’attività istruttoria svolta in merito al ritardo in questione, nonché di quello relativo alla stesura della sentenza emessa il 18 novembre 2004 nel processo penale a carico di M.S., sentenza depositata il 13 marzo 2006.

Gli accertamenti svolti dal Presidente della Corte d’Appello, hanno consentito di verificare che – a giustificazione di tale ritardo – la d.ssa S. ha addotto le condizioni di salute, nonché il perdurante impegno richiestole dalla stesura della sentenza del processo "Cahors".

Il C.S.M. ha poi condotto anche un’autonoma attività istruttoria.

In particolare, la Quarta Commissione ha disposto l’acquisizione dei dati statistici relativi al lavoro svolto dalla d.ssa S. tra il 27 giugno 1998 e il 30 giugno 2001, non allegati al parere del 20 giugno 2007, ed ha chiesto al Consiglio Giudiziario di Lecce di riferire circa ulteriori eventuali ritardi nel deposito di provvedimenti redatti dal magistrato, nonché in caso di mancato deposito della sentenza relativa al processo "Cahors" di trasmettere copia del dispositivo della stessa, con l’indicazione dei capi di imputazione.

Con nota del 26 gennaio 2008, il Consiglio Giudiziario ha eseguito gli incombenti disposti, trasmettendo altresì ulteriore documentazione relativa al carteggio intercorso tra il Presidente della sezione distaccata della Corte di Appello e l’odierna ricorrente, nonché tra detto Presidente e il Presidente della Sezione penale, nel periodo settembre – novembre 2007.

Alla luce degli elementi acquisiti il C.S.M. ha quindi espresso un giudizio di non idoneità, ritenendo che "il magistrato in valutazione ha dimostrato di non possedere adeguata capacità organizzativa".

In particolare, dagli atti trasmessi dal Consiglio Giudiziario di Lecce, risulta che, nel periodo in valutazione, la d.ssa S. "ha disatteso in varie occasioni i termini di legge per il deposito di sentenze, superando, per la consistenza del ritardo, i limiti oggettivi di ragionevolezza e giustificabilità. In particolare, dall’attività istruttoria svolta, è emerso un significativo ritardo (di un anno e quattro mesi) nel deposito della sentenza relativa al processo a carico di M.S., ed un ritardo, ancora più grave (di cinque anni) nel deposito della sentenza del maxi processo "Cahors", definito nel febbraio 2003. Per una corretta valutazione della rilevanza che in questa sede assumono i predetti ritardi va preliminarmente dato atto che – da tutta la documentazione acquisita – risulta che la d.ssa S. ha dovuto fare fronte in tale periodo ad una consistente mole di lavoro, sia per il numero delle udienza che per la rilevanza dei procedimenti trattati e che non può dunque esprimersi una valutazione in assoluto negativa sul livello di diligenza e di impegno che la stessa ha assicurato nello svolgimento del suo lavoro".

Il CSM non ha espresso, quindi, alcuna riserva sul livello qualitativo dell’attività svolta dal magistrato in valutazione, "al quale sono sempre stati riconosciuti competenza, scrupolo nello studio degli atti ed una approfondita preparazione tecnico professionale".

Tuttavia, l’Organo di Autogoverno non ha potuto trascurare di apprezzare l’ "irragionevole ritardo" di cinque anni nel deposito di una sentenza emessa in un maxi processo relativo a fatti di criminalità organizzata, a carico di numerosi imputati, trattandosi di un dato negativo che denota "l’incapacità del magistrato di programmare il proprio lavoro in modo da garantire una più tempestiva ed efficace tutela dei diritti delle parti".

Orbene, pare al Collegio che siffatta valutazione, a fronte dell’abnormità della condotta in rilievo, non si presti ad alcuna censura di illogicità e/o contraddittorietà con il pure espresso positivo apprezzamento delle doti professionali della d.ssa S., trattandosi, nel caso di specie, del procedimento volto a dichiarare il magistrato "idoneo alle funzioni direttive superiori", con la conseguenza che "l’elevato livello professionale richiesto ai fini della progressione in esame deve sussistere con riferimento a tutti i parametri di valutazione, né la grave carenza di uno di tali parametri può ritenersi compensata dalla sussistenza degli altri requisiti in capo al magistrato che chiede di poter progredire nella carriera".

Pure condivisibile appare il ragionamento svolto dall’Organo di Autogoverno, là dove considera che la disamina dei requisiti di professionalità deve essere compiuta "con riferimento alle concrete modalità con le quali il magistrato svolge il suo lavoro, di talché la grave caduta di professionalità può venire in rilievo anche se circoscritta ad episodi specifici che, per le circostanze del caso concreto, appaiono particolarmente significativi ai fini della valutazione di professionalità".

Si è poi visto che, sia in sede locale, sia in sede centrale, è stata svolta una approfondita analisi del ritardo relativo alla sentenza "Cahors", essendosi in particolare evidenziato che:

– il ritardo appare particolarmente grave per la durata e rilevanza del processo cui lo stesso si riferisce, e costituisce quindi un dato che non può essere ignorato nella complessiva valutazione sul livello di professionalità dimostrato dalla d.ssa S. nel periodo in valutazione;

– dalla documentazione acquisita risulta che più volte la stessa è stata sollecitata al deposito della motivazione e che, nonostante le rassicurazioni dalla stessa fornite, il deposito della sentenza è avvenuto ben oltre i termini che di volta in volta la stessa precisava di avere previsto per il deposito;

– pur non disconoscendo le difficoltà in cui parte ricorrente si è trovata ad operare, il C.S.M. ha ritenuto che le stesse non integrino una impossibilità oggettiva "a ricercare differenti soluzioni organizzative del proprio lavoro, che le consentissero di assolvere all’onere della motivazione della sentenza in tempi compatibili con il principio della ragionevole durata dei processi".

Infatti "la capacità di organizzare il proprio lavoro, anche al fine di garantire il rispetto dei termini di deposito dei provvedimenti, tenuto conto della rilevante funzione alla quale nel nostro sistema assolve la motivazione, concorre (…) in maniera significativa a definire la diligenza del magistrato".

Ciò posto, deve quindi convenirsi con la difesa erariale là dove sottolinea che l’esito negativo dello scrutinio, alla luce della concreta situazione riscontrata nella delibera (peraltro, superata solo nel corso del procedimento di valutazione, con il deposito della sentenza più volte sollecitata alla ricorrente), era inevitabile.

2. In definitiva, per quanto appena argomentato, il ricorso deve essere respinto.

Sembrano tuttavia sussistere ragioni di equità per compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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