T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 08-08-2011, n. 7041 Banca d’Italia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il ricorrente è dipendente della Banca d’Italia, con la qualifica di assistente, dal 2 luglio 2007, in quanto vincitore di concorso pubblico. Sino al momento dell’assunzione, egli aveva prestato servizio presso il Senato della Repubblica, con la qualifica di assistente parlamentare.

Rappresenta che la retribuzione spettante e percepita per l’attività prestata alle dipendenze della Banca d’Italia risulta inferiore a quella precedentemente goduta.

Invoca, pertanto, la disposizione di cui all’art. 202 del t.u. n. 3 del 1957 il quale garantisce che, in caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione statale, il lavoratore abbia diritto ad un assegno ad personam, pari alla differenza tra lo stipendio già goduto e il nuovo.

L’Istituto odierno resistente gli ha rappresentato, però, di non ritenere applicabile detta disposizione, in quanto non espressamente richiamata nel Regolamento del Personale.

Premessa la descrizione della finalità che ispira la norma in discorso, parte ricorrente ricorda che, in giurisprudenza, la norma è stata, per contro, considerata espressione di un principio generale, come tale del tutto pertinente anche ai casi di passaggio tra Enti diversi dallo Stato che siano, però, allo stesso funzionalmente collegati, tra i quali vanno sicuramente annoverati anche la Banca d’Italia e il Senato della Repubblica.

Si è costituita, per resistere, la Banca d’Italia.

Le parti hanno depositato memorie.

Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 22 giugno 2011.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. E’ la stessa parte ricorrente a ricordare che, a chiarimento di un contrasto di giurisprudenza delineatosi negli anni, è recentemente intervenuto un ulteriore arresto dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato (6 maggio 2011, n. 1721).

Il supremo giudice amministrativo ha, in tale occasione, ricordato che la finalità della norma è sostanzialmente quella di incentivare la circolazione delle professionalità all’interno dell’organizzazione burocratica dello Stato, evitando che il passaggio di carriera possa comportare un regresso nel trattamento economico raggiunto.

Tale salvaguardia ha tuttavia un senso solo nell’ambito del plesso in relazione al quale la norma è stata espressamente dettata, vale a dire lo "Stato – amministrazione in senso stretto, inteso come soggetto di diritto al cui interno si articolano varie branche operazionali".

Né tale conclusione può essere messa in discussione dalla circostanza che lo stesso Consiglio di Stato, in decisione risalenti, abbia riconosciuto l’applicabilità, ai dipendenti della Banca d’Italia e delle Camere, del principio sancito dal cit. art. 202 t.u. n. 3/57, trattandosi di pronunce tutte antecedenti l’Adunanza Plenaria n. 8 del 16 marzo del 1992, che ha delimitato gli esatti confini di operatività della norma testé citata.

Traendo spunto dalle argomentazioni recate da tale pronuncia, il Consiglio di Stato, nel parere recentemente reso dall’Adunanza Generale, ha poi escluso anche la possibilità di operare una, sia pur limitata interpretazione estensiva, in favore di "enti – organi, svolgenti funzioni coessenziali a quelle dello Stato", tra i quali, un tempo, veniva annoverato anche l’Istituto oggi resistente.

Se, infatti, l’art. 202 citato, non costituisce un principio di carattere generale, applicabile a tutti i pubblici dipendenti, la disciplina dallo stesso recata, in quanto finalizzata ad evitare che il mutamento di carriera nell’ambito dell’organizzazione burocratica dello Stato comporti un regresso nel trattamento economico raggiunto, postula necessariamente la "confrontabilità" di posizioni tra loro omogenee, nel contesto di un sistema burocratico unitario, entro il quale il dipendente statale si sposti con le modalità previste per il passaggio ad altra amministrazione o ad altra carriera dello stesso plesso.

Nel caso oggetto della pronuncia dell’Adunanza Generale testé citata, è stato ad esempio escluso che si fosse verificato un passaggio tra amministrazioni statali, essendosi negata siffatta natura sia all’ente di provenienza del dipendente (l’Università) sia a quello di "destinazione" (la Consob), quest’ultima nella sua precipua qualità di Autorità indipendente, e pertanto caratterizzata dall’estraneità ad ogni possibile ingerenza del potere esecutivo e della burocrazia amministrativa.

In ragione del carattere di neutralità della funzione svolta, e dell’indipendenza ordinamentale, il Consiglio ha dunque ritenuto la Consob non assimilabile ad una "amministrazione dello stato", vieppiù considerando l’esistenza di una peculiare autonomia organizzativa dell’Ente per quanto concerne il trattamento giuridico ed economico del personale.

Orbene, pare al Collegio che le caratteristiche in relazione alla quali il supremo giudice amministrativo ha ritenuto la Consob estranea al novero delle amministrazioni statali, siano le stesse in base alle quali la Banca d’Italia è riconosciuta come la più antica Autorità indipendente (o, comunque, "quasi indipendente") del nostro ordinamento, sussistendone almeno alcuni degli "indici rivelatori", tra i quali, la mancanza di poteri di indirizzo ovvero di diretta ingerenza da parte del Governo, nonché l’autonomia organizzativa e di bilancio.

Analogamente, come correttamente fatto osservare dalla difesa dell’Istituto, il Senato della Repubblica è struttura costituzionale del tutto avulsa dalle amministrazione statali, il rapporto di impiego alle cui dipendenze è disciplinato da un ordinamento caratterizzato da accentuata specialità, avente la sua fonte esclusiva nei Regolamenti parlamentari.

Tra il servizio prestato alle dipendenze dei due Enti in questione (del tutto estranei all’apparato statale, inteso quale Stato – persona) non è poi nemmeno ipotizzabile una qualche omogeneità, ovvero continuità, idonea a giustificare, in mancanza di disposizioni specifiche, l’estensione della disciplina dettata per il pubblico impiego statale, qui invocata.

In definitiva, la Banca d’Italia ha correttamente negato al ricorrente l’assegno ad personam richiesto, non sussistendo alcuna norma, ovvero disposizione regolamentare che tanto preveda, e non essendo possibile applicare, né in via estensiva, né in via analogica, la disciplina espressamente dettata per i passaggi di carriera all’interno del pubblico impiego statale.

Il ricorso, pertanto, deve essere respinto.

Sembra equo peraltro, in considerazione dell’esistenza di un quadro giurisprudenziale non del tutto univoco e consolidato, disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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