T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 08-08-2011, n. 7040 Giudici di pace

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L’avv. M.G. rappresenta di avere assunto le funzioni di Giudice di Pace di Chiaravalle Centrale (circondario di Catanzaro) a far data dal 12.5.2003.

All’epoca, in considerazione del fatto che aveva, in precedenza, esercitato la professione forense per 18 anni, gestiva un contenzioso di circa mille cause pendenti.

Asserisce, tuttavia, di essersi da subito adoperato per rimuovere ogni incompatibilità con l’ufficio assunto.

In data 10 giugno 2010, veniva a conoscenza del procedimento disciplinare prot. 16/2010 R.P.D. del 25.5.2010, instaurato nei suoi confronti dal Presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, a seguito di una nota, pervenuta in data 21.12.2009, dal Presidente del Tribunale di Catanzaro, con la quale veniva segnalata dal dr. Murgida (Giudice della I^ Sezione penale), l’esistenza di alcuni procedimenti pendenti innanzi al Tribunale di Catanzaro, ove il dr. G. risultava essere difensore costituito, nonché di alcuni procedimenti penali e civili pendenti innanzi al Giudice di Pace di Catanzaro.

Nella predetta nota del 25.5.2010, veniva contestato al ricorrente di avere esercitato in modo stabile e continuativo l’esercizio dell’attività forense.

Il breve lasso di tempo concessogli per deduzioni difensive, non gli permetteva di mettere insieme la documentazione necessaria ad apprestare la propria difesa.

Successivamente convocato innanzi al Consiglio Giudiziario, apprendeva, in quella sede, di una informativa del Cancelliere del Giudice di Pace di Catanzaro nella quali venivano elencati una serie di procedimenti nei quali egli risultava procuratore costituito.

Chiesto ed ottenuto un differimento della seduta, depositava, quindi, una memoria integrativa, con la quale ritiene di avere confutato ogni singoli addebito mossogli.

In esito al procedimento disciplinare, il Consiglio Superiore della Magistratura, dopo avere rigettato la richiesta dell’interessato di audizione personale, dichiarava la decadenza del ricorrente dall’incarico del giudice di pace.

La delibera veniva successivamente recepita con decreto del Ministero della Giustizia del 22.3.2001.

Avverso siffatte determinazioni, deduce:

1) Illegittimità, Violazione di legge, Violazione delle norme sul procedimento, Violazione del d.P.R. n. 198/2000, art. 17.

L’avv. G. è stato sottoposto a procedimento di decadenza per supposta violazione degli artt. 8, comma 1 – bis e 1 – ter, nonché 9 della l. n. 374 del 1991.

Il Presidente della Corte d’Appello, una volta ricevuta la nota in data 11.12.2009 del Presidente del Tribunale di Catanzaro, avrebbe dovuto immediatamente iscrivere la notizia nell’apposito registro, mentre, invece, la contestazione degli addebiti è avvenuta solo in data 10.6.2010.

Inoltre, prima di tale contestazione, illegittimamente il Presidente avrebbe effettuato accertamenti e richiesto informazioni.

Sarebbero stati, altresì, violati i termini di cui ai commi 5, 8 e 9 dell’art. 17 cit., in particolare per quanto riguarda la conclusione del procedimento il quale, tenuto conto del fatto che l’iscrizione nell’apposito registro avrebbe dovuto essere effettuata il 22.12.2009, doveva essere definito entro e non oltre il 21.12.2010.

2) Travisamento dei fatti. Carenza dei presupposti. Illogicità manifesta. Contraddittorietà. Difetto di motivazione.

Sia il locale Consiglio Giudiziario che il C.S.M. non hanno tenuto conto delle controdeduzioni del ricorrente, né comunque è vero che egli avrebbe rinunciato agli incarichi difensivi solo dopo l’avvio del procedimento di decadenza.

Al riguardo, rinvia peraltro alle memorie depositate nel corso del procedimento.

Si sono costituite, per resistere, le amministrazioni intimate, depositando memorie.

Anche il ricorrente ha depositato una memoria.

Alla camera di consiglio del 22 giugno 2011, fissata per la delibazione dell’istanza cautelare, il ricorso è stato trattenuto per la decisione ai fini della definizione in forma semplificata.

2. Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere respinto.

2.1. Sono manifestamente infondate, anzitutto, le censure di carattere procedimentale.

Ai sensi dell’art. 17 del regolamento recante "norme di coordinamento e di attuazione del capo I della l. 24 novembre 1999, n. 468, concernente il giudice di pace" emanato con d.P.R. 10.6.2000, n. 198, il procedimento sanzionatorio nei confronti dei giudici di pace è rimesso ad una prudente valutazione del Presidente della Corte d’Appello, il quale, se abbia notizia "non manifestamente infondata" di fatti costituenti causa di decadenza, di dispensa o di sanzioni disciplinari, entro quindici giorni contesta per iscritto il fatto al giudice di pace interessato (comma 1) e contestualmente cura l’immediata iscrizione della notizia in "apposito registro" (comma 2).

È poi prevista una fase istruttoria eventuale, sempre governata dal Presidente della Corte (che può all’uopo delegare altro magistrato – comma 4), al cui esito questi trasmette – "se la notizia non si è rivelata infondata", "con le sue proposte, gli atti al Consiglio giudiziario" per le conseguenti determinazioni (comma 5).

Indi ha luogo la fase innanzi agli organi collegiali: Consiglio giudiziario integrato, cui spetta la deliberazione della "proposta", nonché l’eventuale trasmissione degli atti al C.S.M.; e Consiglio Superiore della Magistratura, competente a provvedere "sulla dichiarazione di decadenza, sulla dispensa, sull’ammonimento, sulla censura o sulla revoca" (art. 9, comma 4, della legge n. 374 del 1991).

L’atto conclusivo è infine adottato con decreto ministeriale.

A sua volta, la circolare del C.S.M del 23.10.2002, n. P – 23482/2002, al capo VIII, prevede che il presupposto per l’immediata iscrizione nell’apposito registro e della contestazione all’interessato dei fatti costituenti causa di decadenza o di illecito disciplinare indicate ai commi 1, 2, e 3 dell’art. 9 della l. n. 374 del 1991, è la non manifesta infondatezza della notizia.

Alla lettera c), inoltre, la stessa circolare precisa che: "c) il riferimento alla nozione di manifesta infondatezza comporta che il Presidente della corte d’appello procederà all’archiviazione, senza svolgere alcuna attività istruttoria e senza provvedere alla trasmissione al Consiglio Giudiziario e al Consiglio Superiore della Magistratura, di tutti gli esposti, le denunce, le segnalazioni in relazione ai quali manchino i presupposti per l’esercizio del procedimento di cui sopra".

Stante il quadro normativo testé sintetizzato, non ogni notizia potenzialmente di rilievo disciplinare deve essere immediatamente iscritta nell’apposito registro da parte del Presidente della Corte d’Appello, ma solo quella non manifestamente infondata.

Ne discende che al fine di verificare l’eventuale fondatezza e rilevanza disciplinare delle notizie può prospettarsi la necessità di procedere allo svolgimento di accertamenti o approfondimenti, con la conseguenza che il termine annuale per l’estinzione non può decorrere dal giorno dell’acquisizione di qualsiasi notizia relativa alla possibile sussistenza di un illecito, ma dal giorno in cui tale notizia acquisti carattere di non manifesta infondatezza, ovvero dalla data in cui sono stati esperiti gli accertamenti volti a vagliarne la consistenza (in termini: TAR Lazio – Roma – Sez. I – n. 9447 del 2004; n. 2283 del 2005; n. 2456 del 2006; n. 939 del 2008).

In altri termini, il decorso del termine annuale per la conclusione del procedimento disciplinare a carico dei magistrati onorari non può fondarsi su una qualunque segnalazione ricevuta dal Presidente della Corte d’Appello, occorrendo che questa abbia profili di adeguatezza e pregnanza tali da poter essere iscritta nell’apposito registro.

Nel caso di specie, deve quindi essere integralmente respinta la tesi di parte ricorrente che aggancia alla data del 22.12.2009, l’inizio della decorrenza del termine annuale di durata del procedimento disciplinare.

Relativamente alle ulteriori violazioni di carattere procedimentale dedotte, va poi ricordato che, per costante giurisprudenza della Sezione, la normativa in esame configura come perentorio il solo termine di conclusione del procedimento, fissandolo in un anno dall’iscrizione della notitia criminis nel registro all’uopo istituito, pena l’estinzione del procedimento stesso, sicché tutti gli altri termini indicati nel cit. art. 17 hanno natura ordinatoria (tant’è che la loro inosservanza non è sanzionata in alcuna maniera).

2.2. Nel merito, nel corpo del provvedimento impugnato si dà in primo luogo atto del fatto che il dr. G. ha presentato memorie scritte, effettivamente considerate sia dall’Organo locale che dal C.S.M., tanto che, nella delibera impugnata, se ne riportano ampi stralci, con particolare riferimento ai procedimenti n. 167/2009, 410/2006, 1091/2001, 1343/2000, 2346/1999, 3778/2004, 800122/1999, 60001160/1995, 6003609/1990, 4092/2004.

In secondo luogo, il Consiglio rileva che "la sussistenza dei fatti ascritti all’avv. M.G. (…) risulta inequivocabilmente dagli atti acquisiti e le sue giustificazioni non possono avere efficacia confutante gli addebiti, essendo irrilevante che egli abbia solo dopo l’avvio del presente procedimento rinunziato a tutti gli incarichi difensivi".

Anche in sede di gravame, parte ricorrente non ha potuto ribaltare quanto emerge dalle sue stesse deduzioni difensive in sede disciplinare e cioè che dal giugno 2003 (epoca nella quale ebbe ad assumere le funzioni di giudice di pace) ai primi mesi del 2010 (epoca della contestazione), egli ha continuato ad esercitare l’attività forense nel medesimo circondario in cui svolgeva le funzioni giudiziarie onorarie.

Anzi, appare evidente dalla data di iscrizione a ruolo dei ricorsi oggetto di puntuale contestazione da parte del C.S.M., che, in alcuni casi, egli ha, non solo proseguito nell’esercizio dell’attività forense, ma addirittura assunto nuovi mandati difensivi.

In particolare, è lo stesso avv. G., nella memoria difensiva depositata il 19 ottobre presso il C.S.M., a riconoscere: a) di avere depositato, nella qualità di difensore, richiesta di dissequestro al G.I.P. di Catanzaro il 6 marzo 2008; b) di avere partecipato, in sostituzione di un difensore regolarmente costituito, all’udienza svoltasi il 14 dicembre 2009 innanzi alla Prima Sezione Penale del Tribunale di Catanzaro; c) di avere solo gradatamente, e comunque in epoca successiva all’assunzione dell’incarico di giudice di pace, provveduto a rinunciare a tutti i mandati difensivi incompatibili con lo svolgimento di tale incarico.

Come ritenuto dal C.S.M., risulta pertanto inconfutabile la violazione dei divieti posti dall’art. 8 della legge n. 374 del 1991, il quale, ai commi 1 bis e 1 ter, aggiunti dall’art. 6 della legge n. 468 del 1999, prevede, rispettivamente, che "Gli avvocati non possono esercitare le funzioni di giudice di pace nel circondario del tribunale nel quale esercitano la professione forense ovvero nel quale esercitano la professione forense i loro associati di studio, il coniuge, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado" (comma 1 bis); "Gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice di pace non possono esercitare la funzione forense dinanzi all’ufficio del giudice di pace al quale appartengono e non possono rappresentare, assistere o difendere le parti di procedimenti svolti dinanzi al medesimo ufficio, nei successivi gradi di giudizio. Il divieto si applica anche agli associati di studio, al coniuge, ai conviventi, ai parenti entro il secondo grado e agli affini entro il primo grado" (comma 1 ter).

Tali disposizioni sono chiaramente orientate a garantire l’effettiva e piena terzietà del magistrato onorario, anche sotto il profilo della sua apparenza, oltre che ad evitare forme, ancorché larvate, di strumentalizzazione dell’attività giurisdizionale a fini professionali, ivi comprese quelle connesse all’accrescimento del valore sul mercato dell’attività professionale di soggetti che svolgano funzioni onorarie o che possano vantare una relazione con il magistrato onorario.

La ricognizione del quadro normativo di riferimento si completa con l’illustrazione delle indicazioni recate dalla Circolare n. P15880/2002 dell’1 agosto 2002, capo IV, Par 2, richiamata anche nella delibera impugnata, ove si stabilisce che il primo dei divieti, che dà luogo ad una incompatibilità, ha per destinatari gli avvocato ed è preordinato "ad interdire lo svolgimento delle funzioni giudiziarie onorarie nell’ambito del circondario interessato in modo stabile e continuativo dall’esercizio dell’attività forense, da considerarsi normalmente coincidente con quello in cui ha sede il Consiglio dell’ordine al cui albo il professionista è iscritto. Ciò che è del resto conforme alla ratio della normativa in esame, la quale intende evitare che le funzioni giudiziarie siano dal magistrato onorario espletate in quel determinato ambiente in cui sono prevalentemente maturati i suoi rapporti professionali sia con le parti da lui assistite sia con gli altri avvocati del medesimo foro, a meno che quei rapporti non vengano recisi in modo netto e visibile. La violazione di tale regola comporta la declaratoria di decadenza del giudice di pace, secondo quanto previsto dall’art. 9 della legge 21 novembre 1991, n. 374 e successive modificazioni".

Quanto al secondo dei divieti, recato dall’art. 8, comma 1 ter, della legge n. 374 del 1991, precisa la Circolare in esame che lo stesso "si dirige all’avvocato giudice di pace ed ha ad oggetto l’esercizio della professione forense, esercizio interdetto in relazione ai procedimenti pendenti dinanzi all’ufficio del giudice di pace di appartenenza, con l’ulteriore limitazione ivi stabilita quanto ai successivi gradi del giudizio. Divieto che, alla luce dell’interpretazione attribuita al comma 1bis, legittimamente è stato ribadito nel comma 1ter in quanto il giudice di pace potrebbe altrimenti esercitare la professione forense dinanzi all’ufficio in cui egli svolga le funzioni giudiziarie onorarie, se ubicato in un circondario diverso da quello interessato stabilmente dall’esercizio, da parte sua, della professione suddetta. Anche la violazione di tale divieto determina la decadenza del giudice di pace.".

L’esercizio di attività forense nel medesimo Circondario in cui sono svolte le funzioni di giudice di pace assume rilievo sia ai fini della decadenza dalle funzioni onorarie in ragione di una situazione di incompatibilità, sia ai fini disciplinari, in quanto integrante una violazione del divieto di legge e lesivo dei valori di imparzialità ed indipendenza delle funzioni giudiziarie e dell’immagine di imparzialità dell’amministrazione della giustizia che la norma intende tutelare.

Nel caso di specie, risulta pienamente accertato che il dr. G. ha continuato ad esercitare in modo stabile e continuativo la professione forense nell’ambito del medesimo circondario in cui svolgeva le funzioni di giudice di pace, realizzando così proprio quella commistione di ruoli che la legge ha inteso evitare, in quanto lesiva dei valori propri della funzione giudiziaria.

3. Per quanto appena argomentato, il ricorse deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio, in favore delle amministrazioni resistenti, che si liquidano complessivamente in euro 1.000, 00 (mille/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *