Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-06-2011) 27-07-2011, n. 29956 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

V.F. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, riformando in melius quella di primo grado solo relativamente al trattamento sanzionatorio riconoscimento dell’attenuante del "fatto di lieve entità" del D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, ha confermato per il resto il giudizio di colpevolezza relativamente alla contestazione di plurimi episodi di detenzione a fini di spaccio e cessione di sostanze stupefacenti del tipo hashish e cocaina in concorso con altro soggetto, non ricorrente.

Si contesta il giudizio di responsabilità.

In primo luogo, si ripropone l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie rese da alcuni cittadini extracomunitari, di cui era stata data lettura ex art. 512 c.p.p., per sopravvenuta, imprevedibile impossibilità di ripetere l’esame.

Si tratta, a quanto è dato desumere, di alcuni correi in primo luogo, tale M.A., le cui dichiarazioni sono state utilizzate per confortare l’assunto accusatorio relativo all’attività di spaccio svolta dal V..

In secondo luogo, si contesta l’illogicità della valutazione effettuata dai giudici di merito in ordine alla attendibilità e valenza probatoria delle dichiarazioni rese dal succitato M. e da altro collaborante, tale Me.Ma.. Si sostiene che tali dichiarazioni non sarebbero concludenti, sarebbero, anzi, contraddittorie, e sarebbero state rese in particolare, quelle del Me. da soggetti di non ancora provata attendibilità. Anzi, il Me. avrebbe reso dichiarazioni contraddittorie nell’identificazione del V. quale soggetto dedito al traffico di droga, avendolo dapprima indicato come soggetto già ristretto nel medesimo carcere ove era stato detenuto esso dichiarante, e, poi, aveva corretto la versione nel corso dell’esame dibattimentale, a fronte della contestazione della non veridicità di tale circostanza.

Si contesta anche il trattamento sanzionatorio, in particolare il diniego delle generiche, motivato in ragione della sistematicità dell’attività delittuosa, che pure aveva consentito di concedere l’attenuante del fatto di "lieve entità". L’incensuratezza del prevenuto avrebbe dovuto portare a concedere le attenuanti generiche.

Il ricorso è infondato.

Ci si trova di fronte ad una "doppia conforme" statuizione di responsabilità e, allora, vale il principio in forza del quale, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi ad una "doppia conforme" e cioè ad una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento può essere rilevato in sede di legittimità, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sezione 4, 10 febbraio 2009, Ziello ed altri).

In realtà le doglianze in punto di responsabilità, in particolare quelle sull’apprezzamento valutativo delle plurime dichiarazioni accusatorie, sono state già proposte al giudice di appello, a fronte della decisione sfavorevole in primo grado, derivandone che in questa sede la relativa questione non può essere più posta, risolvendosi in una censura sul merito dell’apprezzamento probatorio, tra l’altro formulata in modo comunque non pertinente, difettando la specifica illustrazione delle ragioni per cui la singola dichiarazione, ove ritenuta inattendibile, dovrebbe portare ad un giudizio di non tenuta del complessivo giudizio di responsabilità, come detto convergentemente formalizzato sia in primo che in secondo grado.

Va poi aggiunto, in punto di diritto, la correttezza della statuizione che ha portato alla "lettura" delle dichiarazioni rese da soggetti non più reperiti in dibattimento.

Vale il principio secondo cui l’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, introdotto dalla L. 1 marzo 2001. n. 63 (sul "giusto processo"), secondo cui la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore, non opera nel caso in cui l’utilizzazione delle dichiarazioni rese nelle indagini preliminari avvenga in forza di legittima applicazione dell’art. 512 cod. proc. pen., per irreperibilità sopravvenuta del teste, in quanto tale situazione configura un’ipotesi di oggettiva impossibilità di formazione della prova in contraddittorio prevista dall’art. 111 Cost., comma 5. La sopravvenuta ed imprevedibile irreperibilità del testimone, quindi, configura un’ipotesi di irripetibilità dell’atto di indagine che giustifica la lettura ex art. 512 cod. proc. pen. delle dichiarazioni rese in fase di indagine.

A tal fine, però, la valutazione dell"’imprevedibilità dell’evento", che rende impossibile la ripetizione dell’atto precedentemente assunto e ne legittima la lettura, è demandata in via esclusiva al giudice di merito, il quale deve formulare in proposito una "prognosi postuma" (con riguardo al tempo in cui l’atto è stato assunto e tenuto conto della concreta situazione esistente in tale momento), che deve essere sorretta da motivazione adeguata e conforme alle regole della logica: ciò che nella specie, secondo questa Corte, il giudice di merito ha correttamente effettuato, in ossequio al principio secondo cui la semplice condizione di cittadino extracomunitario non è sufficiente per rendere prevedibile l’allontanamento di questi dal nostro paese e la sua assenza dal dibattimento, con conseguente impossibilità di lettura delle dichiarazioni dallo stesso rese alla polizia giudiziaria in sede di indagini (Sezione 6, 24 maggio 2007, Anastasio ed altri).

Analoghe considerazioni valgono, poi, in ordine al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dal Me. e dal M.:

non può certo essere il giudice di legittimità a rinnovare il relativo apprezzamento, cogliendo gli aspetti di asserita non genuinità di tali dichiarazioni, in un contesto complessivo in cui è la tenuta complessiva della dichiarazione di responsabilità che può essere solo sottoposta al vaglio della Cassazione.

Inaccoglibile anche il motivo sul trattamento sanzionatorio, a fronte della spiegazione fornita dal giudicante sulle ragioni di diniego delle generiche, fondate, a ben vedere, non solo sull’assenza di elementi positivi per vero la circostanza dell’incensuratezza del prevenuto, evocata in ricorso, è irrilevante a fronte dell’inequivoco disposto normativo dell’art. 62 bis c.p., comma 3, ma anche e soprattutto sulla apprezzata gravità della condotta che qui non può essere sindacata. In proposito, basta ricordare che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, e1 sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, a fortiori, anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto ad un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (di recente, Sezione 3, 8 ottobre 2009, Esposito).

Nè vi è alcun contrasto con il riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entità.

Quanto ai rapporti tra l’attenuante de qua e le circostanze attenuanti generiche deve ritenersi, infatti, che tra le stesse non sussista un nesso biunivoco, nel senso che debbano essere entrambe negate o riconosciute, e ciò tenuto anche conto del "carattere residuale" delle attenuanti generiche che sono state introdotte nel sistema penale per consentire di valutare, ai fini della graduazione della pena, elementi e circostanze non espressamente previsti e tipizzati che solo in tal modo possono trovare accesso (cfr. Sezione 4, 29 gennaio 1998, Reale e Sezione 4, 16 gennaio 2006, Care, che, quindi, non ha apprezzato, nella specie, contraddizione tra il diniego delle attenuanti generiche e il contestuale riconoscimento dell’attenuante del fatto di "lieve entità" ex art. 73, comma 5).

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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