T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 08-08-2011, n. 7036 Consiglio Nazionale Forense

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 23 novembre 2010, depositato il successivo 7 dicembre, gli istanti, premesso di essere il Codacons associazione senza fine di lucro che ha nei propri scopi statutari la tutela, anche in via giudiziaria, dei diritti e degli interessi di consumatori ed utenti, l’avv. U. rappresentante legale del Codacons nonchè portatore di un concreto interesse personale, espongono che il regolamento approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010, che, a partire dal 30 giugno 2011, introduce e disciplina le condizioni e le modalità per il riconoscimento ed il mantenimento in capo agli avvocati del titolo di avvocato specialista, in un massimo di due materie tra le undici aree del diritto ivi individuate, incide negativamente sul lavoro degli avvocati, determina confusione e falsa il mercato concorrenziale, orientando l’offerta al pubblico verso le aree di attività ivi individuate in maniera parziale ed aleatoria.

Ciò in quanto, proseguono i ricorrenti, il provvedimento, senza alcuna base normativa, realizza una vera e propria riforma dell’ordinamento professionale, incidente, sia pur su base volontaria, sul lavoro di ciascun professionista, con ricadute economiche di assoluto rilievo a carico degli utenticonsumatori.

Di tale regolamento i ricorrenti, previa illustrazione della legittimazione ad agire per ciascuno di essi, espongono indi l’illegittimità e domandano l’annullamento, deducendo, a sostegno della domanda, le doglianze di seguito illustrate nei titoli e, sinteticamente, nel contenuto.

1) Violazione e falsa applicazione del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 così come integrato, modificato e attuato dal r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 – violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 12 delle preleggi – nullità dell’atto amministrativo per violazione dell’art. 21septies della l. 7 agosto 1990, n. 241 – difetto di attribuzione – violazione degli artt. 3, 23, 24 e 97 Cost.

Il CNF, organo giurisdizionale con limitate funzioni amministrative, in carenza di qualsiasi attribuzione di fonte normativa, è del tutto privo di potestà regolamentare per l’introduzione nell’ordinamento vigente della categoria degli avvocati specialisti, non prevista da alcuna disposizione normativa, né tale potestà può ritenersi discendente dall’art. 13 del vigente codice deontologico, limitato all’autoregolamentazione avente effetti interni: il regolamento è pertanto affetto da nullità assoluta.

2) Violazione dell’art. 117, 3° comma, Cost..

L’atto gravato involve nella surrettizia introduzione, sotto forma di esercizio di potere regolamentare in materia deontologica, di norme aventi in pratica efficacia legislativa, in sostituzione della legge statale, cui, sola, spetta, come chiarito dalla Corte Costituzionale, la fissazione, con competenza concorrente, dei principi fondamentali in materia di professioni, nonché nella usurpazione da parte di un ente pubblico di poteri spettanti ad organi costituzionali. Il regolamento impugnato favorisce la nascita di lobbies di categorie di specialisti, con effetti distorsivi per il mercato e gravi ripercussioni, anche economiche, per gli utenti della giustizia e sul diritto di difesa in giudizio costituzionalmente garantito, nonché con limitazione della concorrenza e creazione di un monopolio di fatto a favore del CNF e a danno dei giovani avvocati.

3) Violazione dei principi di libera concorrenza ex artt. 81 ss., trattato CE – violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 1 della l. 241/90 – violazione dell’art. 41 Cost..

Il CNF, come chiarito anche dalla giurisprudenza amministrativa, non è un soggetto legittimato a perseguire l’interesse pubblico della tutela del cittadino rispetto alla professionalità dell’avvocato né la tutela dell’interesse della collettività alla qualità della prestazione. Il CNF si è, invece, autoattribuito tali poteri, che ha esercitato a vantaggio di alcune branche del diritto, con conseguente svantaggio o vantaggio di categorie di professionisti e lesione dei principi comunitari di concorrenza, che presuppongono la distinzione tra l’attività di regolamentazione volta alla tutela di interessi generali, che compete allo Stato, e le forme di autodisciplina, che possono essere dettate dagli stessi privati interessati. L’attività di regolamentazione svolta dal CNF in spregio di tali regole è distorsiva della concorrenza e lede gli interessi dei giovani avvocati e il diritto di difesa dei cittadini, anche perché non risponde a criteri di proporzionalità e ragionevolezza, canoni di provenienza comunitaria ormai recepiti dalla legislazione e dalla giurisprudenza nazionale.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento o dichiarazione di nullità del regolamento oggetto di censure, previa acquisizione in via istruttoria della documentazione afferente il relativo procedimento.

Si è costituito in giudizio il Consiglio nazionale forense, eccependo il difetto di interesse ad agire del Codacons e dell’Associazione Utenti di Giustizia, l’infondatezza delle esposte doglianze ed instando per la reiezione dell’impugnativa.

Si è costituita in giudizio anche la Società Italiana Avvocati Amministrativisti – SIAA, individuata nel regolamento in questione come soggetto avente titolo, tra altri, sin dall’anno accademico 20102011, ad espletare il corso di durata biennale, per un minimo di 200 ore complessive di frequenza, propedeutico all’esame di specialista presso il CNF. La SIIA eccepisce infondatezza del gravame nonché l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione ad agire di Codacons e delle condizioni legittimanti la proposizione del ricorso collettivo.

Codacons ha confutato in memoria le argomentazioni delle parti resistenti.

La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 25 maggio 2011.

Motivi della decisione

1. Si controverte in ordine alla legittimità del regolamento, approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010, che, a partire dal 30 giugno 2011, introduce e disciplina, anche a mezzo di un regime transitorio, le condizioni e le modalità per il riconoscimento ed il mantenimento in capo agli avvocati, a domanda, del titolo di avvocato specialista, in un massimo di due materie tra le undici aree del diritto ivi indicate, suscettibili di successivi aggiornamenti.

Limitando, per economicità di mezzi espositivi, la descrizione del provvedimento impugnato, composto di 14 disposizioni molto articolate, va rappresentato che, a regime, secondo il regolamento, il titolo di avvocato specialista, che consiste nel rilascio di un diploma e nell’inserimento in appositi registri pubblici tenuti dal Consiglio nazionale forense, attesta l’acquisizione nelle predette aree di diritto, in capo all’avvocato ininterrottamente iscritto all’albo da almeno sei anni, ed in possesso di ulteriori requisiti, tra cui la frequenza biennale di una scuola o di un corso di alta formazione riconosciuti dal CNF e tenuti da enti o soggetti iscritti in apposito registro del CNF, per un minimo di 200 ore complessive, nonché all’esito di apposito esame sostenuto con esito favorevole presso il CNF, di una "specifica e significativa competenza teorica e pratica, il cui possesso è attestato da apposito diploma rilasciato esclusivamente dal Consiglio nazionale forense e che deve essere conservata nel tempo secondo il principio della formazione continua" (art. 2).

La controversia è proposta da Codacons, in persona del legale rappresentante avv. Giuseppe U., agente anche in proprio, e da Associazione Utenti di Giustizia.

Resiste il Consiglio nazionale forense.

Resiste, altresì, la controinteressata Società Italiana Avvocati Amministrativisti – SIAA, soggetto avente titolo, tra altri, alla luce dell’impugnato regolamento (art. 11), in sede di prima applicazione dello stesso, ad espletare i corsi propedeutici al sostenimento dell’esame di specialista presso il CNF.

2. Com’è d’uopo il Collegio deve prioritariamente affrontate le questioni pregiudiziali.

E’ stata eccepita la carenza di legittimazione ad agire di Codacons e di Associazione Utenti di Giustizia.

E’ stata altresì eccepita la inammissibilità del ricorso per carenza delle condizioni legittimanti la proposizione di un ricorso collettivo da parte delle predette Associazioni e l’avv. U., ovvero la perfetta identità delle posizioni dei ricorrenti.

2.1. Al riguardo, va premesso che la Sezione ha già avuto modo di affrontare la disamina del regolamento oggetto dell’odierna impugnativa nelle sentenze nn. 5151, 5152 e 5153 del 9 giugno 2011, rese sui ricorsi nn. r.g. 8807/2010, 10932/2010 e 10934/2010, trattenuti in decisione alla pubblica udienza del 6 aprile 2011.

In tale ambito, la Sezione, nell’ambito della disamina delle eccezioni pregiudiziali ivi spiegate, ha dovuto individuare i soggetti incisi dal regolamento di cui trattasi.

In particolare, la Sezione ricordava il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale nel processo amministrativo l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato, dovendo il ricorso essere considerato inammissibile per carenza di interesse laddove l’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all’interesse sostanziale del ricorrente (C. Stato, V, 4 marzo 2011, n. 1734).

Nell’utilizzare tali coordinate interpretative nella fattispecie ivi all’esame, la Sezione apprezzava gli effetti discendenti dal gravato provvedimento, alla cui luce verificare la sussistenza della lesione della sfera giuridica dei ricorrenti paventata in quel giudizio, nonché la suscettibilità dell’eventuale accertamento della ricorrenza dei vizi dedotti e della conseguente statuizione giurisdizionale demolitoria del provvedimento stesso di arrecare loro un vantaggio.

In tale percorso, si osservava che il regolamento assume espressamente lo scopo di "tutela dell’affidamento della collettività" (art. 7, comma 5), e ricollega altrettanto espressamente al rilascio del titolo di specializzazione, "esclusivamente dal Consiglio nazionale forense", l’attestazione, nei confronti del professionista già iscritto all’ordine, di "una specifica e significativa competenza teorica e pratica", in relazione alle considerate aree di diritto (art. 2).

La Sezione rilevava, pertanto, che il regolamento in parola introduce una nuova, ulteriore e precipua qualificazione, con carattere di esclusività, attinente all’esercizio dell’attività forense, che si aggiunge, innovandola e arricchendola, a quella già attestata dall’iscrizione all’ordine, che, laddove protrattasi ininterrottamente per un dato periodo, ne costituisce solo uno dei presupposti.

Tale qualificazione, si proseguiva, si risolve in una ben precisa differenziazione – che assume rilevanza esterna essendo pubblicata a cura del CNF e spendibile sia nei rapporti tra avvocati e clienti sia nei rapporti tra gli stessi avvocati, ed è connotata dal carattere meritocratico testimoniato dalla frequenza dei corsi e dal superamento dell’esame da svolgersi presso il CNF – della posizione dei professionisti, già abilitati all’esercizio della professione legale, i quali, sussistendone le condizioni e sottomettendosi agli oneri, anche economici, recati dal provvedimento, conseguono il titolo, vedendosi in tal modo riconoscere un ampliamento di matrice pubblicistica delle attestazioni a loro favore, rispetto a quelli che ne restano privi, o per non aver assunto gli oneri stessi o per averli assunti senza esito positivo.

Ne derivava la Sezione che non può porsi fondatamente in dubbio che è classe forense, per un verso, interamente, per altro verso, esclusivamente, ad essere destinataria della nuova conformazione dell’attività professionale recata dal provvedimento.

Ciò in quanto l’avvocato iscritto all’ordine forense, anche laddove, essendo in possesso dei prescritti requisiti, assuma volontariamente di non dotarsi del titolo di specializzazione, non perciò stesso può ritenersi giuridicamente indifferente alle scelte operate dal provvedimento, del quale è comunque destinato a risentire direttamente gli effetti, in termini di sopraggiunta scomparsa dell’elemento di apicalità del percorso professionale precedentemente rappresentato dalla sola iscrizione all’albo, superato dal possesso del titolo di avvocato specialista.

Conseguenzialmente, la Sezione ha ritenuto pienamente ammissibile la domanda avanzata in quella sede dagli avvocati ricorrenti, tutti iscritti all’ordine professionale, di verifica giudiziale della conformità a legge dell’atto impugnato, preordinata all’utilità consistente nel mantenimento delle prerogative così come discendenti dall’iscrizione all’ordine.

2.2. In forza delle considerazioni sin qui richiamate, da cui non sussistono ragioni per discostarsi, deve essere escluso che in capo a Codacons ed a Associazione Utenti di Giustizia, così, come del resto, in capo ai singoli utenti del servizio giustizia, possa essere riconosciuta la legittimazione ad agire avverso il regolamento impugnato, facendo valere un interesse che si qualifica, come emerge con ogni chiarezza dalle doglianze esposte, quale generale ed indifferenziato di tutti i cittadini al corretto e regolare andamento del settore.

Del resto, come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa, anche di questo Tribunale, la legittimazione a ricorrere delle associazioni dei consumatori e degli utenti in possesso di regolare iscrizione nell’apposito elenco ministeriale, legittimamente correlata ai diritti fondamentali che l’art. 2 comma 2, d.lg. 6 settembre 2005, n. 206 (cd. codice dei consumatori) riconosce in favore dei consumatori e degli utenti medesimi, per quanto ampia, non può tuttavia estendersi sino a ricomprendere qualsiasi attività di tipo pubblicistico che si rifletta economicamente, in modo diretto o indiretto, sui cittadini, dovendo al contrario essere commisurata a quegli atti che siano idonei a interferire con specificità e immediatezza sulla posizione dei consumatori e degli utenti (tra altre, Tar Lazio, Roma, II, 3 giugno 2010, n. 15013; C. Stato, IV, 30 giugno 2003, n. 3876).

Evenienza quest’ultima che non è dato registrare nella fattispecie.

L’azione impugnatoria proposta dalle nominate Associazioni va dunque dichiarata inammissibile.

2.3. Sempre in forza delle stesse considerazioni, deve, di contro, essere riconosciuto l’interesse e la legittimazione ad agire avverso il regolamento in parola in capo all’avv. U., che agisce non solo quale rappresentante legale di Codacons, ma anche, come esplicitato sia in ricorso sia nella memoria difensiva dalla parte ricorrente depositata in data 4 maggio 201, nella qualità di avvocato esercente la libera professione.

Né la domanda avanzata dal nominato, e, conseguentemente l’intero gravame, può ritenersi inammissibile poiché proposta unitamente alle ricorrenti Associazioni.

Rilevato, infatti, che, in un ricorso collettivo, la ricorrenza dell’eventuale conflitto tra le posizioni dei ricorrenti va scrutinata in relazione all’interesse astrattamente perseguito (C. Stato, VI, 9 febbraio 2009, n. 710), osserva il Collegio che nella fattispecie non ricorre alcun conflitto, avendo i ricorrenti tutti adito la tutela giudiziale avverso le immutazioni apportate dal regolamento impugnato allo status degli avvocati come regolato dal vigente ordinamento.

La identità dell’interesse speso in giudizio (per quanto sopra, parzialmente di mero fatto, in relazione alle Associazioni) rende del tutto indifferente la eventuale diversificazione della concreta posizione dei singoli ricorrenti rispetto alle disposizioni introdotte con il regolamento impugnato.

Tale elemento, infatti, viene in rilievo esclusivamente in sede di applicazione del regolamento, ed è pertanto suscettibile di essere travolto dall’eventuale accoglimento del gravame e dal conseguente annullamento dell’atto.

L’eccezione di inammissibilità del ricorso va pertanto rigettata.

2.4. Ulteriori eccezioni pregiudiziali sono state dalle parti resistenti spiegate in relazione a singoli motivi di ricorso.

Il Collegio può, peraltro, senz’altro prescindere dal loro esame, atteso che il primo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti denunziano la assoluta carenza di attribuzione in capo al CNF a regolare la materia de qua, per il quale non si pone alcuna questione pregiudiziale, e che presenta carattere assorbente, è fondato.

3. Nel merito, come appena sopra anticipato, il ricorso, che si presenta maturo per la decisione, non necessitando alcun incombente istruttorio, è fondato.

Al riguardo, il Collegio non può, infatti, che ribadire quanto già rilevato nelle già sopra richiamate statuizioni della Sezione.

4. Ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., come sostituito dall’art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la materia delle professioni appartiene alla legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni.

Con legge 5 giugno 2003, n. 131, sono state dettate disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento alla predetta legge costituzionale n. 3 del 2001.

L’art. 1 della ridetta legge 131/2003, ribadito al comma 3 che nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’àmbito dei princìpi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti, ha delegato al comma 4, il Governo ad adottare, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi ricognitivi dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall’articolo 117, terzo comma, Cost..

La ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni è intervenuta con d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 30.

In tale ambito, chiarito dall’art. 3, titolato "Tutela della concorrenza e del mercato", che l’esercizio della professione si svolge nel rispetto della disciplina statale della tutela della concorrenza, ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di interessi pubblici costituzionalmente garantiti o per ragioni imperative di interesse generale, della riserva di attività professionale, delle tariffe e dei corrispettivi professionali, nonché della pubblicità professionale (comma 1), recita l’art. 4, comma 2, che "La legge statale definisce i requisiti tecnicoprofessionali e i titoli professionali necessari per l’esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato".

Resta pertanto affermato che, anche in relazione alla tutela della concorrenza, è la legge statale a dover individuare i requisiti tecnicoprofessionali ed i titoli professionali necessari per l’esercizio delle attività che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali.

In particolare, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, principio fondamentale in materia di professioni è la riserva a favore dello Stato per l’individuazione di nuove figure professionali e la disciplina dei relativi profili e titoli abilitanti, nonché della istituzione di registri professionali e la previsione delle condizioni per l’iscrizione ad essi" (da ultimo, Corte Cost., 15 aprile 2010, n. 132).

5. Chiarito il quadro normativo in cui si inserisce la controversia, il Collegio ritiene anzitutto di precisare, in via preliminare, che nella presente fattispecie va tenuta in disparte ogni questione di merito attinente l’opportunità o l’utilità della introduzione di una disciplina delle specializzazioni dell’attività forense, notoriamente non rimessa a questa sede.

Altrettanto è a dirsi in ordine alla necessità che l’ordinamento appresti utili misure per affrontare le "autoproclamazioni" pubblicitarie di inesistenti specializzazioni forensi, descritto dalle parti resistenti: la problematica, di cui non si intende sminuire né la portata né la negativa incidenza sull’interesse pubblico generale all’amministrazione della giustizia e sul diritto di difesa in giudizio, non può, però, evidentemente rilevare in tema di individuazione del soggetto pubblico competente all’individuazione ed all’adozione delle misure stesse.

6. Tanto premesso, ed in relazione al sopra descritto quadro normativo, dal quale emerge graniticamente che la materia de qua è riservata al legislatore statale, osserva il Collegio che non risulta che il medesimo abbia esercitato detta riserva, né riformando direttamente l’ordinamento della professione forense, sede propria per l’introduzione di un istituto, quale quello delle specializzazioni, prima inesistenti, destinato ad innovare profondamente i termini dello svolgimento dell’attività, né attribuendo al CNF la competenza ad adottare in via regolamentare la disciplina delle specializzazioni della professione legale.

Di talchè al Collegio non è dato comprendere da quale fonte normativa il CNF abbia derivato la potestà, esercitata con l’atto impugnato, di creare ex novo una figura professionale precedentemente non contemplata dal vigente ordinamento – quella dell’avvocato specialista – che si aggiunge alle figure dell’avvocato iscritto all’albo e dell’avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.

6.1. Al riguardo, infatti, a nulla vale sostenere, come fanno le parti resistenti, che la figura professionale dell’avvocato, anche dopo l’introduzione delle specializzazioni, "rimane assolutamente unica", potendo comunque il professionista forense, dopo il superamento dell’esame di Stato, e l’iscrizione all’albo degli avvocati, "svolgere la propria attività professionale in tutti i settori dell’ordinamento indipendentemente dall’aver partecipato alla procedura prevista per il conseguimento del titolo qualificante di specialista".

La valenza istitutiva di nuove figure professionali della impugnata normativa si desume infatti pacificamente dalla circostanza che il gravato regolamento prevede l’istituzione da parte del CNF di appositi registri pubblici ove possono iscriversi, sulla base del verificato possesso di specifici requisiti attestanti una determinata qualificazione professionale, gli avvocati specialisti nelle considerate aree di diritto (art. 5, comma 2).

Come ripetutamente chiarito dalla Corte Costituzionale, la stessa istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per l’iscrizione ad esso, prescindendosi dalla circostanza che tale iscrizione si caratterizzi o meno per essere necessaria ai fini dello svolgimento della attività cui l’elenco fa riferimento, hanno, già di per sé, "una funzione individuatrice della professione" (sentenze n. 57 del 2007; n. 355 del 2005; n. 300 del 2007).

6.2. Né, ai fini dell’esame della presente controversia, occorre spendere molte parole in punto di accertamento della natura, e dei poteri, anche amministrativi, del CNF, ovvero in ordine ai c.d. regolamenti "liberi" previsti dall’art. 17, comma 1, lett. c), della l. 23 agosto 1988, n. 400 (ovvero di quei regolamenti che derogano al principio generale secondo cui il potere regolamentare, espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinante in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti aventi i caratteri della generalità e dell’astrattezza, rispondendo a regole di stretta tipicità, deve sempre trovare nella legge la propria legittimazione (C. Stato, Atti norm., 7 giugno 1999, n. 107)), ovvero dei regolamenti "indipendenti" o "autonomi" (perché promananti da enti dotati, come il CNF, di indipendenza od autonomia), manifestazione di un potere di autoregolamentazione o autogoverno, invocati dal CNF, ma comunque ascrivibili alla compagine dei primi.

Invero, da un lato, si versa, come già sopra chiarito, in una materia riservata alla legge dello Stato, ciò che fa escludere ab origine l’astratta operatività degli strumenti invocati dalla parte resistente, in forza della prescrizione dettata dalla lett. c) del sopraccitato art. 17, quanto ai regolamenti "liberi", e, oltre a ciò, in forza del principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, quanto ai regolamenti "indipendenti".

Dall’altro, ed in ogni caso, alla luce della perdurante vigenza dell’art. 91 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, recante "Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore", convertito dalla l. 22 gennaio 1934, n. 36, che dispone che "Alle professioni di avvocato e di procuratore non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale", non è consentito dubitare che la via regolamentare è assolutamente inidonea ad incidere autonomamente su tale preclusione, posta da fonte di rango normativo primario.

E, quanto a quest’ultimo profilo, non è privo di significato che le difese resistenti neanche tentino di illustrare la compatibilità delle norme regolamentari di cui si discute con l’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933.

Infine, merita comunque di essere segnalato che neanche è condivisibile l’argomentazione relativa alla rilevanza meramente interna delle norme regolamentari impugnate, spesa dalle parti resistenti in uno alle considerazioni relative alla potestà di autonoma regolamentazione: essa, infatti, per quanto sin qui esposto, si risolve in una mera asserzione teorica, ovvero priva di qualsiasi riscontro nell’impianto dispositivo oggetto di giudizio.

6.3. Le parti resistenti tentano infine di aggirare l’ostacolo costituito dalla carenza di una norma che attribuisca specificamente in capo al CNF la regolazione della materia de qua invocando l’art. 2 ("Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali"), comma 3, del d. l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, norma in forza della quale recenti statuizioni di questo Tribunale (per tutte, Tar Lazio, IIIquater, 17 luglio 2009, n. 7081), in tema di formazione forense, hanno riconosciuto la sussistenza del potere di normazione interna del CNF.

Recita la invocata disposizione dell’art. 2 del d. l. 223/2006:

"1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonchè al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:

a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;

b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonchè il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine;

c) il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l’oggetto sociale relativo all’attività liberoprofessionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità…..

3. Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle".

Alla luce della norma, però, neanche tale argomentazione risulta conducente.

Infatti:

– l’avvenuta abrogazione, da parte del riportato art. 2, comma 1, delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, in riferimento a tutte le attività libero professionali ed intellettuali, il divieto anche parziale di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, nulla dice in ordine alla necessarietà o all’opportunità dell’introduzione in uno di tali settori dell’istituto delle specializzazioni, espressamente vietate dal relativo ordinamento a mezzo di una previsione di perdurante vigenza alla data della norma, costituita dall’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933;

– nell’art. 2 del d.l. 223/2006 non vi è traccia né esplicita né implicita di una volontà o di un ratio abrogatrice del suddetto art. 91;

– la valorizzazione delle disposizioni deontologiche e pattizie e dei codici di autodisciplina emergente dal comma 3 dell’art. 2 in parola è chiaramente una misura adeguatrice, o di accompagnamento, con effetti interni allo stesso ambito regolatorio interno, di quanto già direttamente disposto dal comma 1 della norma primaria, in applicazione di un principio di tendenziale rispetto della eterogeneità e della separatezza delle fonti;

– il meccanismo contemplato al comma 3 del ridetto art. 2, con l’apposizione di un termine perentorio all’attività adeguatrice deontologica o pattizia o dei codici di autoregolamentazione, scaduto il quale subentra la previsione della nullità ope legis delle norme deontologiche o pattizie o codicistiche in contrasto con il comma 1 dello stesso articolo, sottolinea, piuttosto che annullare, la primazia nella materia della legge statale sulla fonte pattizia;

– la comminatoria della nullità ope legis di cui al ripetuto comma 3 è testualmente riferita alle sole previsioni deontologiche, pattizie e codicistiche in contrasto con il comma 1 dello stesso articolo, e non può certamente essere estesa alla norma di fonte primaria di cui all’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933;

– alla già detta valorizzazione della sede pattizia e deontologica operata dal comma 3 viene senz’altro riconnessa, oltre che una pars destruens, una pars costruens, ma alla stessa non può ascriversi una portata generale od illimitata, ovvero travalicante il mero ordinamento a valenza meramente interna, attesa la carenza di qualsiasi indicazione del legislatore che legittimi le sedi deontologiche e pattizie al compimento di scelte di portata riformatrice della struttura portante delle considerate professioni, in sostituzione del legislatore stesso;

– in particolare, il richiamo operato dal ridetto comma 3 alla "qualità delle prestazioni professionali", riferito, com’è, al (normativamente) variegato ambito delle attività libero professionali ed intellettuali contemplato dall’art. 2 che lo contiene, non risulta suscettibile, sotto il profilo ermeneutico, di una considerazione che lo renda talmente avulso dal complessivo contesto nel quale il rimando si pone, da farlo involvere, prima, in una manifestazione di volontà del legislatore statale di recedere dalla regolazione di tutte le attività professionali, ed in particolare dell’attività forense, quasi alla stregua di una loro "liberalizzazione", poi, segnatamente, in una delega in bianco al CNF: entrambe tali conclusioni, che le difese resistenti sembrano propugnare, si profilano infatti abnormi rispetto sia al dato testuale che allo spirito della considerata disposizione dell’art. 2.

Infine, è appena il caso di osservare che l’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933 è rimasto del tutto estraneo alla congerie normativa considerata dalle sentenze amministrative di primo grado come appena sopra invocate da parte resistente. La circostanza, unitamente alla valenza meramente interna della regolazione della materia della formazione ivi considerata, fa escludere la sussistenza di qualsiasi profilo di sovrapponibilità, anche in relazione all’esito, delle relative controversie rispetto alla questione all’odierno esame.

7. Per tutto quanto precede, accertati la carenza di interesse e di legittimazione ad agire avverso l’atto impugnato di Codacons e di Associazione Utenti di Giustizia, nonchè l’interesse ad agire e la legittimazione ad agire dell’avv. U., nella qualità di avvocato esercente la libera professione, e rilevata la fondatezza del primo motivo di doglianza, il ricorso deve dichiarato in parte inammissibile ed accolto per il restante.

Per l’effetto, accertata la assoluta carenza di attribuzione in capo al CNF della regolamentazione assunta con il gravato provvedimento, lo stesso deve essere dichiarato nullo ai sensi dell’art. 21- septies, l. 7 agosto 1990, n. 241, categoria di invalidità dell’atto amministrativo per la quale l’art. 31, comma 4 del codice della giustizia amministrativa facoltizza il Collegio anche al rilievo d’ufficio.

Nella specie, comunque, l’accertamento della nullità dell’atto gravato ha formato oggetto di specifica domanda ricorsuale.

La novità della questione alla data della sua proposizione giustifica la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe:

– dichiara inammissibile l’azione impugnatoria proposta da Codacons e da Associazione Utenti di Giustizia per carenza di interesse e di legittimazione ad agire;

– lo accoglie per il restante, nei sensi di cui in motivazione, dichiarando, per l’effetto, la nullità del regolamento impugnato.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *