T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 08-08-2011, n. 7034 Ordinamento giudiziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 23 aprile 2009, depositato il successivo 29 aprile, l’istante, magistrato ordinario, impugna il decreto del Ministero della giustizia 26 febbraio 2009, comunicatogli il 20 aprile 2009, con il quale, vista la deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura del 4 febbraio 2009, è stato dichiarato non idoneo ad essere ulteriormente valutato ai fini della nomina a magistrato di cassazione e del contestuale conferimento di un ufficio corrispondente. L’impugnazione è estesa alla sopra citata deliberazione del CSM 4 febbraio 2009.

Al riguardo, il ricorrente fa rilevare che la stessa deliberazione del CSM impugnata, nell’illustrare i pareri ed i rapporti conseguiti nella carriera, fa emergere le ottime qualità dimostrate nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, sotto i profili della preparazione, capacità, laboriosità, diligenza e impegno, delineando una valutazione del magistrato non soltanto positiva, ma addirittura lusinghiera e di eccellenza.

Di talchè ritiene che le impugnate determinazioni, che lo hanno giudicato non idoneo alla nomina di magistrato di cassazione e a due progressioni economiche (maturate nel 1999 e nel 2003), siano frutto di un ragionamento viziato e distorto.

A sostegno della proposta impugnazione il ricorrente formula le censure di seguito descritte nei titoli e, sinteticamente, nel contenuto.

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della l. 20 dicembre 1973, n. 831 – eccesso di potere: insufficiente e contraddittoria motivazione; perplessità; motivazione effettuata con riferimento ai criteri conseguenti alla l. 30 luglio 2007, n. 111 espressi nella circolare 8 ottobre 2007, n. P20691/2007 con violazione e falsa applicazione delle disposizioni di detta circolare in merito alle disposizioni transitorie (in particolare Parte III, Capo XX, nn. 2 e 2.1) – eccesso di potere sotto vari profili.

Il giudizio di inidoneità reso dal CSM è frutto di voti indotti da pregiudizi e preconcetti. Alla fattispecie di interesse del ricorrente, sospeso dal servizio dal 2003, si applica la l. n.831 del 1973, con conseguente necessità di una valutazione globale del magistrato, avente a riferimento tre parametri normativi (preparazione e capacità tecnico professionale; laboriosità e diligenza dimostrate nell’esercizio delle funzioni; precedenti relativi al servizio prestato), cui si aggiungono i dieci elementi specifici di cui alla circolare CSM n.17003. In tale valutazione unitaria, la circolare specifica che i pareri del Consiglio Giudiziario e del Capo dell’Ufficio cui il candidato è addetto, e soprattutto il primo, svolgono ruoli di primari ed imprescindibili elementi di conoscenza.

Alla luce di tali prescrizioni, il ricorrente avrebbe dovuto essere valutato alla luce del parere espresso dal Consiglio Giudiziario e dal Presidente della Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma, che offrono un immagine del magistrato di assoluta eccellenza.

La preparazione, la capacità tecnico professionale, la laboriosità e diligenza dimostrate sono state invece del tutto ignorate dalla gravata deliberazione, che si è basata esclusivamente sui due procedimenti disciplinari nn. 155/04 e 19/06 e sulle due sentenze della Sezione disciplinare passate in giudicato, nonché sulla suggestione recata dalla comunicazione di un nuovo procedimento disciplinare promosso nel 2007 dal P.G. presso la Corte di Cassazione, accusa dalla quale il ricorrente è stato poi prosciolto nella seduta della Sezione disciplinare del 17 aprile 2009.

I precedenti disciplinari non possono però rivestire una valenza automatica nella valutazione de qua, soprattutto laddove, come nel caso di specie, la sanzione applicata sia quella minima dell’ammonimento.

Il CSM, anche se ha richiamato i predetti parametri normativi di riferimento, ha in realtà applicato i criteri derivanti dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, che, allo stato, regola le valutazioni in parola con criteri più restrittivi, poiché, diversamente dal precedente regime, nella carenza del requisito disciplinare, rende non necessaria la comparazione con altri elementi di giudizio, essendo quel giudizio negativo sufficiente, da solo, a portare ad una valutazione negativa del candidato.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della l. 20 dicembre 1973, n. 831 e dell’art. 17 della l. 24 marzo 1958, n. 195 – violazione e falsa applicazione del principio costituzionale circa la presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Cost. – eccesso di potere: insufficiente e contraddittoria motivazione; perplessità.

Il procedimento di valutazione del ricorrente era stato sospeso con atto i cui effetti erano stati paralizzati da ordinanza cautelare di questo Tribunale (2401/05). Pur tenendo in disparte la circostanza che il CSM non si è adeguato all’ordinanza giudiziale, procrastinando sino ad oggi la valutazione del ricorrente, una corretta valutazione della vicenda avrebbe comportato che la deliberazione gravata desse contezza delle ragioni della sospensione e, soprattutto, della circostanza delle prevalenti assoluzioni dalle ipotesi più gravi, anche penali, formulate a carico del magistrato, circostanza che, invece, non solo non è stata minimanente approfondita, ma che è stata fatta oggetto di un solo riferimento, malevolo e contraddittorio, che sembra adombrare fondatezza anche degli addebiti disciplinari in relazione ai quali il ricorrente è stato prosciolto. La deliberazione impugnata non è entrata nel merito dei labili episodi addebitati al ricorrente in sede disciplinare. La gravata delibera non ha infine considerato né la "pena" della cristallizzazione della carriera dal 2003 al 2008 già subita dal ricorrente, né la circostanza che gli episodi addebitatigli, anche di valenza penale, da cui è stato pienamente prosciolto, risalivano a periodo antecedente al 2001 (oltre il quale il ricorrente ha serbato un atteggiamento irreprensibile), per effetto di una ispezione concernente l’intera Sezione del Tribunale Fallimentare di Roma, che la stessa Sezione Disciplinare ha ritenuto "lunghissima e caotica".

3) Ancora violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della l. 20 dicembre 1973, n. 831 – violazione e falsa applicazione del Capo III, artt. 1, 2 e 3 della circolare CSM n. 17003 del 24 settembre 1999 – eccesso di potere sotto vari profili.

La gravata deliberazione del CSM ha considerato anche il procedimento disciplinare promosso nei confronti del ricorrente nel 2007 e non definito: tale procedimento, inserito nel fascicolo personale del magistrato, senza che il medesimo fosse a conoscenza del suo possibile apprezzamento nell’ambito della valutazione di cui si discute, o non doveva essere menzionato o avrebbe dovuto comportare la sospensione della valutazione ovvero l’informativa all’interessato con concessione di un termine per presentare le proprie controdeduzioni. Il CSM non ha invece dato nessuna informativa al riguardo, neanche in sede di audizione del ricorrente, che, concessa su sua richiesta senza conferimento di alcun termine per l’esame del fascicolo, è risultata un inutile rito. Tale ulteriore addebito si è poi concluso con una assoluzione, che fa venir meno un altro dei puntelli su cui regge la delibera.

Esaurita l’illustrazione dei vizi rilevati negli atti gravati, il ricorrente ne domanda l’annullamento.

L’intimata amministrazione, costituitasi in resistenza, confutate partitamente la fondatezza delle censure ricorsuali, domanda la reiezione del ricorso.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 25 maggio 2011.

Motivi della decisione

1. Si controverte nella presente sede in ordine alla delibera del Consiglio Superiore della Magistratura adottata nella seduta del 4 febbraio, con la quale il ricorrente, magistrato di appello con decorrenza dal 19 marzo 1996, che dal 19 marzo 2003 ha maturato il periodo per la valutazione di idoneità ad essere ulteriormente valutato ai fini della nomina a magistrato di cassazione, non è stato ritenuto idoneo ad essere ulteriormente valutato ai fini predetti.

2. E’ bene innanzitutto premettere che non può ritenersi controversa la ricostruzione del quadro normativo applicabile alla fattispecie, che entrambe le parti in causa individuano, tenuto conto del periodo cui si riferisce l’impugnata valutazione (19 marzo 1996 -19 marzo 2003), nella l. 20 dicembre 1973, n. 831.

Ed infatti, se anche il ricorrente adombra, nel primo motivo di gravame, che il CSM abbia, in realtà, applicato alla fattispecie i più rigorosi criteri derivanti dalla sopravvenuta riforma dell’ordinamento giudiziario, contenuta nella l. 30 luglio 2007, n. 111, che ha modificato il d. lgs. 5 aprile 2006, n. 160, tale rilievo non trova alcun riscontro nell’andamento della gravata deliberazione del CSM.

Ed infatti, da un lato, sotto il profilo formale, lo stesso ricorrente afferma che la delibera gravata assume come norma di riferimento proprio la l. n. 831 del 1973.

Dall’altro, sotto un profilo sostanziale, la circostanza che l’iter argomentativo che connota la delibera veda dedicato un ampio spazio alle vicende disciplinari che hanno riguardato il ricorrente risulta oggettivamente indicativo non – come paventato dal ricorrente – dell’assunzione da parte del CSM di un criterio automatico che ricollega alle condanne disciplinari un effetto preclusivo ad una positiva valutazione del magistrato, bensì, piuttosto, dell’ampiezza, varietà e complessità delle vicende stesse.

Si trattava, infatti, di valutare, da parte del CSM:

– una sentenza di condanna all’ammonimento (n. 93 del 2006) pronunziata a carico del ricorrente dalla Sezione disciplinare del CSM nel procedimento n. 155/04 in data 23 maggio 2006, depositata il 31 luglio 2006 e successivamente divenuta irrevocabile, per violazione dell’art. 18 del r.d. 31 maggio 1946, n. 511, "per aver gravemente mancato ai propri doveri, rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere il magistrato e compromettendo, altresì, il prestigio delle funzioni esercitate nonché quello dell’intero Ordine Giudiziario". La vicenda ha tratto origine da una inchiesta condotta dall’Ispettorato generale del Ministero della giustizia a partire dal 19 settembre 2002, a seguito di esposti relativi a presunti favoritismi nell’assegnazione delle procedure e nel conferimento degli incarichi presso la Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma. Nel corso dell’attività istruttoria, veniva acquisito il decreto di archiviazione del GIP di Perugia nel procedimento penale iscritto a carico del ricorrente in relazione al fallimento della Costruzioni Pubbliche e Private s.p.a.. La Sezione disciplinare del CSM riteneva sussistenti solo tre dei vari addebiti indicati nel capo di incolpazione, relativi ad altrettante procedure concorsuali nelle quali l’incolpato aveva avuto veste di giudice delegato o di relatore;

– una sentenza di condanna del 13 luglio 2006, successivamente divenuta irrevocabile, pronunziata nel procedimento n. 19/06, in forza della quale il ricorrente è stato ritenuto responsabile della violazione dell’art. 18 del r.d. 31 maggio 1946, n. 511, "per aver svolto, in tempi diversi, molteplici incarichi extragiudiziari (cicli di lezioni universitarie), per lo più remunerati, in alcuni casi senza la preventiva autorizzazione del CSM (neppure richiesta ovvero sospesa – e per ciò inefficace – dal CSM) ed in altri casi nonostante in rigetto da parte dell’organo di autogoverno delle sue istanze di autorizzazione". Rispetto alla contestazione, avente ad oggetto tre distinte condotte, il giudice disciplinare riteneva sussistente la responsabilità dell’incolpato solo in relazione al primo addebito.

Le predette sentenze disciplinari attengono a condotte ricadenti interamente nel periodo in valutazione.

Di talchè non è imputabile ad alcun vizio funzionale dell’iter argomentativo del CSM la circostanza che l’esposizione delle predette vicende – sopra riassunte nei meri tratti salienti – abbia richiesto nella gravata delibera uno spazio materiale non modesto, dovendosi necessariamente approfondire, nella valutazione della professionalità del magistrato, gli elementi rilevabili dai procedimenti disciplinari relativi, si ribadisce, a fatti interamente ricadenti nel periodo in valutazione.

Quanto alle valutazioni dal CSM rese su tali vicende disciplinari, esse risultano esposte nelle pagine finali della delibera.

Anche in questo caso, la diffusa esposizione delle considerazioni denota non un automatico recepimento nella valutazione in parola degli esisti dei procedimenti disciplinari, bensì, al contrario, un approfondito esame di tutti gli aspetti dei fatti complessi ivi considerati, riguardati sotto il profilo dell’apprezzamento del tratto complessivo del magistrato.

Per l’effetto, la delibera perviene:

– con riferimento alla vicenda disciplinare di cui al procedimento n. 155/04, ad una valutazione negativa in ordine "alle modalità con le quali il dottor V. – per un significativo periodo di tempo – ha esercitato le sue funzioni giurisdizionali, dimostrando, in più occasioni, mancanza di capacità e di equilibrio. Tutte le condotte censurate in sede disciplinare, per la rilevante incidenza che hanno avuto sui diritti delle parti, hanno inoltre determinato un grave appannamento dell’immagine di imparzialità del magistrato e la percezione di una gestione non trasparente delle procedure allo stesso assegnate";

– con riferimento ala vicenda disciplinare di cui al procedimento n. 19/06, ad una valutazione negativa del comportamento del magistrato "posto in essere in evidente violazione delle regole comportamentali fissate dalla procedura di settore…oltre che rilevante sotto il profilo della violazione dei doveri di correttezza incombenti su ogni magistrato" che "denota una grave disattenzione verso i doveri propri del magistrato ed ha per questo una evidente ricaduta sulla valutazione di professionalità".

La impugnata deliberazione risulta indi supportata da una motivazione estesa ed analitica, nel contesto della quale l’organo di autogoverno enuncia con compiutezza gli elementi detratti dalle sentenze disciplinari e autonomamente utilizzati ai fini dell’espressione della valutazione per cui è causa.

3. Caposaldo della parte restante del primo motivo di ricorso è l’osservazione che la richiamata l. n. 831 del 1973 e la circolare CSM n. 17003 del 24 settembre 1999 sulla verifica periodica della professionalità dei magistrati individuano in via esclusiva i parametri da porre a base della valutazione di cui trattasi (preparazione e capacità tecnico professionale; laboriosità e diligenza dimostrate nell’esercizio delle funzioni; precedenti relativi al servizio prestato, parametri tutti da applicarsi secondo gli indicatori puntualizzati dalla stessa circolare), sulla scorta di un giudizio di carattere globale, ove confluisce anche, ma senza assumere rilievo scriminante, la valutazione delle condotte oggetto di provvedimenti disciplinari, che impedirebbe che il convincimento dell’organo di autogoverno possa poggiare decisivamente ovvero esclusivamente sull’apprezzamento delle condotte stesse, relegando in secondo piano i pareri del Consiglio Giudiziario e del Capo dell’Ufficio cui il candidato è addetto, che svolgono – soprattutto il primo – ruoli di primari ed imprescindibili elementi di conoscenza.

Ciò posto, si sostiene nella censura che il ricorrente non poteva non essere positivamente valutato, atteso che i pareri resi nei suoi riguardi dal Consiglio Giudiziario di Roma e dal Presidente della Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma offrono un immagine del magistrato di assoluta eccellenza, ciò che si assume ignorato dalla gravata deliberazione, basata esclusivamente sulle due precitate sentenze della Sezione disciplinare passate in giudicato, nonché sulla suggestione recata dalla comunicazione del nuovo procedimento disciplinare, promosso nel 2007 dal P.G. presso la Corte di Cassazione.

Il predetto percorso argomentativo non è conducente, in quanto pur se corretto nella prima parte, ovvero nel suo impianto teorico, non può essere seguito in concreto, ovvero nelle affermazioni contenute nella seconda parte.

3.1. Invero, l’impugnata delibera, articolata in cinque segmenti (svolgimento della carriera del magistrato; pareri ed altri atti relativi alla progressione in carriera; sentenze e procedimenti disciplinari; audizione del magistrato; valutazione di professionalità) risulta aver collocato le sanzioni disciplinari riportate dal ricorrente nel contesto complessivo di un giudizio globale reso sulla professionalità del magistrato, che non omette in alcun modo la valutazione degli elementi altamente positivi emergenti dal suo profilo di carriera.

Risulta, infatti, che la delibera dà adeguato spazio sia al parere favorevole espresso nei confronti del ricorrente dal Consiglio Giudiziario in data 9 luglio 2003, sia al rapporto del Presidente della Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma.

Entrambi tali pareri sono riportati a pag. 2 della delibera impugnata nei tratti – che si ritiene qui di non riportate per economia di mezzi espositivi – altamente positivi che li caratterizzano, e che corrispondono, quanto all’evidenziazione delle doti del magistrato, nonché della preparazione, capacità e laboriosità dimostrate nell’esercizio della funzione, esattamente agli stessi termini che l’interessato assume in ricorso.

Ciò che attesta che gli stessi non solo sono stati presi nella dovuta considerazione, ma anche che sono confluiti nella valutazione finale in parola, pur non essendo stati ritenuti prevalenti.

Ed allora, deve concludersi che il profilo di doglianza in trattazione involve nella pretesa che, nel bilanciamento degli elementi positivi e negativi emergenti dalla carriera del magistrato – insito nel giudizio in parola, come, del resto, in tutti i procedimenti valutativi – i primi dovessero necessariamente risultare prevalenti, ovvero che al ridetto giudizio globale dovesse risultare completamente estraneo l’apprezzamento delle vicende disciplinari che hanno riguardato il ricorrente.

Ma entrambe siffatte pretese si rivelano all’evidenza insostenibili.

Non occorre spendere molte parole per rilevare, quanto alla prima, che essa impinge nel merito delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo di autogoverno della magistratura.

Quanto alla seconda, essa contrasta con le disposizioni della stessa circolare invocata dal magistrato.

E’ corollario delle guarentigie costituzionali di indipendenza e di imparzialità riconosciute alla magistratura ( artt. 101 e 104 Cost.) che, a presidio della funzione, sussistano regole deontologiche da osservarsi sia in riferimento al concreto esercizio delle attività giudiziarie, sia in ogni comportamento del magistrato, anche non strettamente connesso alle dette funzioni (C. Cost., sentenza 17 luglio 2009, n. 224).

Il principio spiega effetti anche nella valutazione per cui è causa.

La circolare CSM n. 17003 del 24 settembre 1999, nel richiamare la consolidata giurisprudenza formatasi nella materia, stabilisce infatti che "…la globalità del giudizio, che deve essere espresso per la progressione in carriera, comporta la possibilità che qualsiasi elemento al quale possa essere riconosciuto un valore sintomatico della personalita’, della preparazione professionale, della laboriosità e dell’equilibrio del magistrato, anche se già assunto a fondamento di un procedimento disciplinare o di un trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale o di altra procedura sia altresì suscettibile di un’autonoma valutazione per quanto riguarda la sua valenza ai fini del giudizio di professionalita’; autonoma nel senso che essa non incontra preclusioni o vincoli formali nel provvedimento conclusivo di altra procedura, nè nei diversi criteri di qualificazione e di accertamento in essa impiegati. Si tratta infatti di procedimenti che, pur essendo rivolti a tutelare analoghi valori, hanno natura e finalità ed effetti diversi".

Tant’è che, nel prosieguo, tra le dieci fonti di conoscenza di cui avvalersi ai fini della valutazioni di professionalità del magistrato, pure invocate dal ricorrente, la circolare in parola introduce anche "6) le sentenze pronunziate nei confronti del magistrato dalla Sezione disciplinare del Consiglio, che attengono a fatti o comportamenti rilevanti per la valutazione di professionalità del magistrato sottoposto a valutazione".

Pertanto – e ferme restando ovviamente le questioni afferenti, da un lato, al possibile travisamento dei fatti materiali considerati dal CSM e, dall’altro, all’eventuale incongrua formulazione del giudizio che su di essi fonda, ipotesi entrambe qui non ricorrenti – è del tutto legittima la valutazione autonoma da parte dell’organo di autogoverno della magistratura delle risultanze emerse a carico del magistrato in sede disciplinare, al diverso fine di trarne conseguenze per la valutazione per cui è causa.

3.2. In altre parole, il rilievo dei valori evocati nella gravata delibera del CSM e sopra riportati e gli accadimenti materiali acclarati in sede disciplinare consentono di apprezzare la tenuta logica e la consequenzialità argomentativa dell’apprezzamento di merito operato nella fattispecie dall’organo di autogoverno della magistratura, che si sottrae alle censure dedotte dal ricorrente.

Né conduce ad un diverso avviso la circostanza che la deliberazione impugnata non risulti in linea con il parere favorevole formulato dal Consiglio giudiziario.

Quest’ultimo, invero, ai sensi dell’articolo 2 della l. n. 831 del 1973, è atto infraprocedimentale non vincolante, essendo pacificamente riconosciuta all’Organo di autogoverno la potestà di decidere in difformità.

E, con riguardo al rinforzato onere motivazionale che incombe sul provvedimento che disattende un parere necessario, costituisce opinione consolidata in giurisprudenza, anche della Sezione (Tar Lazio, Roma, I, 15 marzo 2007, n. 2312), che il CSM, nel caso in cui ritenga di discostarsi dal parere dell’organo locale, non è affatto tenuto a confutarne analiticamente le risultanze, dovendosi a tal fine ritenersi sufficiente che dal contesto del provvedimento finale risulti che l’apporto consultivo sia stato tenuto presente nella sua complessiva ed effettiva portata, e che sia possibile desumere la ragione che ha indotto alla decisione difforme, anche mediante il riferimento a fatti o comportamenti assunti dall’Organo di autogoverno come ostativi ad una positiva valutazione.

E nel caso di specie, nel quale il CSM ha preso atto in modo esauriente delle risultanze del parere favorevole espresso dal Consiglio giudiziario, ed ha al contempo esplicitato analiticamente ed espressamente le ragioni in base alle quali è pervenuto ad un opposto avviso, tali condizioni risultano pienamente soddisfatte.

3.3. Conviene ancora chiarire che non assume decisivo rilievo nella presente controversia la circostanza, pure evidenziata dal ricorrente nel motivo di ricorso in trattazione e nel secondo motivo, che la sanzione comminata in entrambe le fattispecie disciplinari sia la più leggera tra quelle previste dall’ordinamento giudiziario (ammonimento).

L’argomentazione infatti – dovendosi naturalmente escludere che i fatti accertati in sede disciplinare possano essere rimessi in discussione nel corso del procedimento valutativo di cui trattasi, ovvero, oggi, essere autonomamente apprezzati in questa sede, obiettivo cui pure sembrano tendere alcune affermazioni ricorsuali – è in primo luogo contraddittoria, essendo lo stesso ricorrente a riferire (e a lamentare, secondo le censure già sopra confutate) che la valutazione inerente i precedenti disciplinari ha assunto nel procedimento in parola un rilevante spazio di apprezzamento, per poi sostenere che i precedenti stessi non siano stati attentamente valutati dall’Organo di autogoverno.

Quanto al resto, la circostanza che i due procedimenti disciplinari si siano conclusi con la più leggera tra le sanzioni previste dall’ordinamento giuridico non può certamente inficiare la legittimità della negativa valutazione resa dal CSM nella procedura in esame, che non prevede a sua conclusione un ampio ventaglio di possibilità.

3.4. In definitiva, quindi, il primo motivo di ricorso va interamente respinto.

4. Con il secondo motivo di gravame il ricorrente fa presente innanzitutto che il procedimento di valutazione in parola era stato sospeso con un provvedimento i cui effetti erano stati paralizzati da ordinanza cautelare di questo Tribunale (2401/05), cui il CSM non si era adeguato, procrastinando la valutazione del ricorrente.

Ma tale elemento non assume alcun peso nel presente giudizio.

La pretesa del ricorrente alla esecuzione della ordinanza in parola avrebbe dovuto essere fatta valere, infatti, nell’ambito del relativo giudizio (n. r.g. 9763/2004).

In ogni caso, da un lato, lo stesso ricorrente afferma di riferire tale circostanza con finalità puramente espositive.

Dall’altro, la delibera gravata in questo giudizio dà conto che la sospensione del procedimento valutativo ai fini della nomina del ricorrente a magistrato di cassazione, che ha avuto a motivo la pendenza del predetto procedimento disciplinare n. 155/04, a seguito del rinvio a giudizio del magistrato disposto in data 19 aprile 2004, per effetto del ricorso interposto innanzi a questo Tribunale dall’interessato, nonché del ridetto provvedimento cautelare in quell’ambito emesso, che acclarava la carenza di adeguata motivazione, è stata confermata nelle sedute del 18 e del 20 ottobre della IV Commissione.

Il provvedimento riferisce, altresì, che quel contenzioso è stato definito in data 21 febbraio 2007, avendo questo Tribunale preso atto della dichiarazione del ricorrente di non aver più interesse alla decisione del gravame, essendosi nel frattempo concluso il procedimento disciplinare, e dichiarato conseguentemente il ricorso improcedibile (Tar Lazio, I, 3279/2007).

Nel prosieguo della censura, il ricorrente sostiene che una corretta valutazione da parte del CSM della vicenda di suo interesse avrebbe comportato che la deliberazione gravata desse contezza delle ragioni della disposta sospensione e, soprattutto, della circostanza delle prevalenti assoluzioni dalle ipotesi più gravi, anche penali, formulate a carico del magistrato, circostanza che ritiene, invece, non solo non approfondita, ma fatta oggetto di un solo riferimento, malevolo e contraddittorio, che sembra adombrare la fondatezza anche degli addebiti disciplinari in relazione ai quali il ricorrente è stato prosciolto.

Le predette argomentazioni non risultano però persuasive.

Come emerge anche da quanto sia pur sinteticamente riferito al punto che precede, la delibera impugnata affronta prima in chiave espositiva, poi in chiave valutativa, le vicende connesse ai procedimenti disciplinari subiti dal ricorrente, ivi comprese le assoluzioni dagli addebiti.

Che, poi, tali ultimi elementi dovessero controbilanciare, ed, anzi, prevalere, quasi alla stregua di dati di merito, sulle pronunzie di condanna, è conclusione che contrasta con la finalità della valutazione di cui trattasi, impinge nel merito della valutazione discrezionale che la contraddistingue, e si pone in assoluta antinomia con l’unico dato oggettivo che gli stessi elementi attestano, che è esclusivamente l’insussistenza di ulteriori profili negativi rispetto a quelli che hanno determinato la condanna disciplinare.

Inoltre, il Collegio non rinviene alcun effetto viziante nella circostanza che il CSM abbia dato conto, con riferimento alla vicenda disciplinare di cui al procedimento n. 155/04, che "le gravi cadute di professionalità registrate con riferimento alle predette vicende non appaiono in alcun modo ridimensionate dalla decisione assolutoria ottenuta dal dottor V. relativamente agli ulteriori addebiti", poiché gli accertamenti dibattimentali sono rimasti confinati "allo stretto indispensabile, non essendosi potuto sviluppare… un approfondimento in merito a tutti i singoli atti e provvedimenti posti in essere dal dottor V….".

Infatti, tali ultime considerazioni sono frutto non di valutazioni estemporanee, come assume il ricorrente, bensì del richiamo puntuale alle stesse motivazioni del giudice disciplinare, tant’è che esse sono state riportate in delibera tra virgolette.

Sempre nel motivo in trattazione, il ricorrente lamenta, infine, che la gravata delibera non ha considerato né la "pena" della cristallizzazione della carriera già subita dal magistrato dal 2003 al 2008, né la circostanza che gli episodi addebitatigli, anche di valenza penale, da cui è stato pienamente prosciolto, risalivano a periodo antecedente al 2001, oltre il quale il ricorrente ha serbato un atteggiamento irreprensibile, e trovavano fonte in una ispezione concernente l’intera Sezione del Tribunale Fallimentare di Roma, che la stessa Sezione Disciplinare ha ritenuto "lunghissima e caotica":

Ma neanche tali argomentazioni risultano conducenti.

Infatti:

– laddove il procedimento sanzionatorio non può prescindere dall’apprezzamento non solo della condotta non iure oggetto di esame, ma anche di tutte le circostanze soggettive ed oggettive che l’hanno caratterizzata, al fine di adeguare, secondo un principio di proporzionalità, la ratio afflittiva e ripristinatoria che caratterizza la sanzione alla misura della responsabilità accertata, in termini di dolo o di colpa,

– il giudizio in parola – al quale, per quanto sopra, non è estraneo l’apprezzamento dei precedenti disciplinari – consiste in una valutazione ampiamente discrezionale, ove viene in rilievo prevalente, accanto alla legittima aspirazione di ogni magistrato al progresso in carriera, l’interesse pubblico a che funzioni giurisdizionali di peculiare rilievo direttivo siano esercitate degnamente, cioè da magistrati previamente dichiarati idonei perchè in possesso di riconosciute doti di prestigio e di equilibrio, oltre che ovviamente della necessaria capacità professionale ed organizzativa.

E rispetto al detto rilievo, gli elementi di cui il ricorrente lamenta il mancato apprezzamento risultano del tutto irrilevanti.

5. Con la terza doglianza il ricorrente lamenta che la gravata deliberazione del CSM ha considerato anche il procedimento disciplinare promosso nei suoi confronti nel 2007 e non definito, e ciò senza che il medesimo fosse a conoscenza del suo possibile apprezzamento nell’ambito della valutazione di cui si discute; pertanto tale procedimento, secondo il ricorrente, o non doveva essere menzionato o avrebbe dovuto comportare la sospensione della valutazione ovvero l’informativa all’interessato con concessione di un termine per presentare le proprie controdeduzioni. Il CSM non ha invece dato nessuna informativa al riguardo, neanche in sede di audizione del ricorrente, che, concessa su sua richiesta senza conferimento di alcun termine per l’esame del fascicolo, è risultata un inutile rito. Tale ulteriore addebito si è poi concluso con una assoluzione, che, conclude il ricorrente, fa venir meno un altro dei puntelli su cui regge la delibera.

Ma neanche tali censure colgono nel segno.

Il procedimento disciplinare in itinere cui si riferisce la censura risulta essere stato avviato a carico del ricorrente dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione, e comunicato in data 28 giugno 2007, in relazione a condotte del magistrato quale giudice delegato della Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma.

L’avvio del procedimento non poteva non confluire nel fascicolo dell’interessato, e risultare, quindi, sconosciuto al CSM all’atto della valutazione, così come non poteva essere ignoto al ricorrente medesimo.

Esso è stato meramente menzionato nelle due parti della delibera dedicate all’illustrazione dello svolgimento della carriera del ricorrente e delle sentenze e dei procedimenti disciplinari.

In altre parole, alla luce dell’andamento motivazionale della delibera, da esso il CSM non risulta aver tratto, neanche incidentalmente, alcuna considerazione nella parte propriamente dedicata alla valutazione della professionalità.

Infine, il proscioglimento dall’incolpazione, secondo quanto riferito dal ricorrente medesimo, è intervenuto nella seduta della Sezione disciplinare del 17 aprile 2009, ovvero in data successiva alla delibera impugnata (4 febbraio 2009).

6. Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna il ricorrente a corrispondere in favore della parte resistente le spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.000,00 (euro mille/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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