Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 27-07-2011, n. 29969 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza del 26.6.2009 il GUP del Tribunale di Bergamo condannava C.I. e B.M., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generi che dichiarate prevalenti sulla contestata aggravante ed applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, alla pena di anni 6 di reclusione ed Euro 120.000,00 di multa ciascuno per il reato di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2 e art. 73, comma 1 e comma 1 bis, lett. a) perchè, in concorso tra loro, trasportavano, importavano o, comunque, illecitamente detenevano 40.138,60 grammi di cocaina.

La Corte di Appello di Brescia, in data 25 febbraio 2010, in parziale riforma della sentenza del GUP, impugnata dal Procuratore Generale e da entrambi gli imputati, itenute le già concesse circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, rideterminava la pena in anni dieci di reclusione.

Riteneva la Corte ammissibile il ricorso del P.G., con cui si denunciava la manifesta illogicità della motivazione in punto di determinazione della pena base e di giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche (ricorso poi convertitosi in appello a seguito degli appelli degli imputati), per cui procedeva alla trattazione congiunta delle impugnazioni.

Disattendeva la Corte le doglianze degli imputati. In particolare, per quanto riguardava il B., ritenevano i giudici di merito che il predetto fosse pienamente consapevole della presenza della droga a bordo dell’auto. Non era infatti ipotizzabile che il C. avesse dato un passaggio occasionale ad un uomo di 60 anni, pur avendo con sè il rilevante quantitativo di sostanza stupefacente indicato nel capo di imputazione.

Quanto al giudizio di bilanciamento delle concesse circostanze attenuanti generiche, rilevata la illogicità della motivazione del GUP, riteneva la Corte territoriale che le dichiarazioni confessorie del C. fossero parzialmente false, per cui si imponeva il contenimento del loro effetto calmieratore.

Il B., poi, non aveva certo un ruoto marginate, essendo piuttosto costui che doveva condurre alla destinazione finale i 40 Kg di droga; nè le condizioni di salute erano così precarie come prospettato.

Stante l’enorme gravità del fatto (trasporto di ben duecentoquarantimila dosi di cocaina) il giudizio di comparazione non poteva che essere formulato in termini di equivalenza.

Quanto, infine, alla pena, rilevato che era risibile la modesta capacità a delinquere attribuita dal primo giudice agli imputati, dovendosi piuttosto ritenere il notevole spessore criminale di chi trasporta un simile quantitativo di cocaina, che avrebbe invaso il mercato con effetti devastanti per migliaia di individui. Pena adeguata ed equa ex art. 133 c.p., era pertanto, secondo la Corte di merito, quella di anni dieci di reclusione ed Euro 140.000,00 di multa (p.b. anni 15 di reclusione ed Euro 210.000,00 di multa, ridotta di un terzo per il rito).

3) Ricorrono per cassazione entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori.

3.1) C.I., dopo aver ricordato che il ricorso per cassazione del P.G. (poi convertitosi in appello ex art. 580 c.p.p.) aveva per oggetto la pretesa, manifesta illogicità detta motivazione in relazione atta ritenuta prevalenza dette generiche ed atta determinazione della pena base, assume che andava applicato il disposto dell’art. 606 c.p.p., u.c., che prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione quando sia proposto per motivi diversi da quelli consentiti o manifestamente infondati. A parte la superfluità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui si sofferma sulla stessa concessione dette circostanze attenuanti generiche (punto non oggetto del gravame) e comunque la infondatezza delle critiche (essendo stata la concessione delle generiche adeguatamente motivata con riferimento allo stato di incensuratezza ed al buon comportamento processuale), erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto ammissibile il ricorso del P.G..

Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in ordine alle caratteristiche della motivazione in tema di determinazione della pena e di giudizio di comparazione ex art. 69 c.p., evidenzia che le critiche mosse atta motivazione della sentenza di primo grado con il ricorso del P.G. sono di mero fatto e tendono ad ottenere un diverso esito dell’esercizio del potere discrezionale. La Corte territoriale non si è resa conto che si trattava di censure di fatto che rendevano inammissibile il ricorso.

In via subordinata, ove si dovesse ritenere che il ricorso del P.G. superi il vaglio di ammissibilità, denuncia la manifesta illogicità della motivazione detta sentenza di secondo grado nella parte in cui ha ritenuto addirittura fondata l’impugnazione del P.G. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di Appello, il GUP non aveva affatto affermato (per ritenere la prevalenza delle generiche) che chi trasporta la droga ha un ruolo marginale, ma che gli imputati rappresentavano l’ultimo gradino dell’articolata e ben strutturata organizzazione (il che è circostanza vera e non certo congetturale).

Quanto alla determinazione della pena, il giudice di primo grado con la valutazione della capacità a delinquere, ritenuta modesta, ha preso in considerazione i criteri dettati dall’art. 133 c.p., comma 2 e dalla complessiva motivazione emergono chiaramente le ragioni di tale giudizio. Chiede, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

2.2) B.M., a sua volta, dopo una premessa in fatto, con il primo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta ammissibilità del ricorso del P.G..

Il ricorso del P.G. pur convertito in appello, va sindacato secondo i parametri di cui all’art. 606 c.p.p.. L’illogicità della motivazione (per essere denunciabile) deve quindi essere evidente. La mera contraddittorietà formale non è sufficiente. L’eventuale contraddizione evidenziata dal P.G. non è, comunque, giuridicamente rilevante, in quanto la gravità del fatto riguarda il quantitativo della droga, mentre il ritenuto ruolo marginale dell’imputato attiene al giudizio sulla sua partecipazione ed ai rapporti con gli altri autori dell’illecito.

Il GUP ha valutato le risultanze processuali e con adeguato supporto argomentativo ha espresso un giudizio di fatto. La concessione delle circostanze e la quantificazione della pena sono esercizio di un potere discrezionale che se adeguatamente motivato si sottrae al controllo di legittimità.

La Corte territoriale ha ignorato che il ricorso del P.G., riguardava il vizio di motivazione e non la violazione di legge; non si contestava cioè che la patologia, l’età ed il ruolo dell’agente ai fini della determinazione della pena e delle generiche violasse la legge, ma si chiedeva il solo controllo sull’apparato argomentativo della sentenza impugnata. La Corte territoriale sovrappone, invece, il proprio giudizio di fatto a quello del primo giudice.

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità penale del ricorrente.

Tale affermazione era stata fondata dal primo giudice sulla chiamata in correità del C. e sulla presenza del B. nell’auto in cui era stata rinvenuta la droga.

Nonostante gli specifici rilievi contenuti nei motivi di appello, la Corte territoriale ricorre ad una serie di affermazioni apodittiche e violazioni di legge in tema di valutazione frazionata della chiamata in correità, di ricostruzione del fatto, della scelta difensiva di avvalersi della facoltà di non rispondere.

3) I ricorsi sono fondati in relazione alla denunciata inammissibilità della impugnazione del P.M..

3.1) A norma dell’art. 443 c.p.p., comma 3 il pubblico ministero non può proporre appello contro le sentenze di condanna, salvo che si tratti di sentenza che modifica il titolo del reato. E’ indubitabile, quindi, che avverso la sentenza del GUP del Tribunale Bergamo del 26.6.2009, con la quale il C. e il B. erano stati condannati per il reato di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2 e art. 73, commi 1 e 1 bis ascritto, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Brescia non potesse proporre appello, ma solo ricorso per cassazione.

Essendo stato, però, proposto appello dagli imputati, il ricorso per cassazione si convertiva ex art. 580 c.p.p. in appello. La finalità della norma è evidentemente quella di consentire la trattazione in un unico contesto processuale di tutte le impugnazioni, proposte avverso la medesima sentenza, anche per evitare possibili contrasti di giudicato. Le singole impugnazioni, anche se convergono in un unitario processo di appello, conservano però la loro autonomia, per cui ne va preliminarmente esaminata la ammissibilità.

Correttamente, pertanto, ritengono i ricorrenti (e, del resto, la stessa Corte di Appello) che fosse necessario verificare se l’impugnazione del P.G., convertito in appello ex art. 580 c.p.p., prospettasse censure di legittimità ex art. 606 c.p.p..

La conversione del ricorso, invero, non determina una modificazione per così dire "funzionale" dello stesso, altrimenti si attribuirebbe sostanzialmente al P.M. la possibilità di appellare sentenze ritenute dal legislatore inappellabili (come nell’ipotesi prevista dall’art. 443 c.p.p., comma 3).

3.1.1) La conversione del ricorso in appello, come si accennava, non comporta la modificazione dei contenuti possibili dell’impugnazione che restano, anche in caso di conversione, quelli del ricorso (cfr.

Cass. sez. un. sent. N. 7247 del 23.7.1993).

Tale condivisibile principio è stato affermato anche successivamente (cfr. ex multis Cass. sez. 5 38879 del 29.9.2005-Frank; Cass. sez. 1 n. 1070 del 26.9.2006, Salvini; contra Cass. pen. sez. 6 n. 37381 del 9.4.2003-Sgarra).

Il processo di appello si svolge, limitatamente a tale impugnazione, con i limiti che caratterizzano le censure che possono formare oggetto del ricorso per cassazione. La Corte di Appello deve, quindi, sindacarne l’ammissibilità secondo i parametri di cui all’art. 606 c.p.p. ed i suoi poteri di cognizione sono limitati alle censure di legittimità. Tuttavia, essendo il vizio di legittimità esaminato da un giudice di merito, non trova applicazione l’art. 623 c.p.p.. Per cui se vengano ritenute fondate le censure di legittimità contenute nel ricorso convertito in appello, la Corte riprende le sue funzioni di merito e può adottare le consequenziali statuizioni, senza necessità di annullare la sentenza di primo grado (cfr. Cass. sez. 6 del 25.9.2002 – Ruberto; Cass. sez. 4 n. 38879 del 29.9.2005).

Si è quindi in presenza di un procedimento con una prima fase necessaria, nella quale vanno esaminate la legittimità delle censure ex art. 606 c.p.p., e con una seconda fase eventuale (perchè condizionata dall’accertamento positivo dell’esistenza dei vizi di legittimità dedotti), nell’ambito della quale il giudice di appello sostituisce con una propria decisione quella ritenuta viziata. La prima fase "rescindente" può essere di natura anche implicita e ricavarsi dal contenuto stesso della pronuncia.

3.1.2) La Corte di Appello di Brescia ha ritenuto che l’impugnazione del P.&, superasse il vaglio di legittimità ex art. 606 c.p.p., senza considerare che siffatta impugnazione, oltre ad essere generica e meramente assertiva, richiedeva valutazioni di fatto, in sostituzione di quelle espresse dalla sentenza di primo grado, in tema di giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e di quantificazione della pena.

Con l’impugnazione infatti si denunciava la manifesta illogicità della motivazione, evidenziandosi che, da un lato, il primo giudice non aveva potuto negare la notevole gravità oggettiva del fatto e, dall’altro, contraddittoriamente, aveva attribuito agli imputati una modesta capacità a delinquere, smentita proprio dalla enorme gravità del fatto. Tale impugnazione riportava genericamente le valutazioni espresse dal GUP, confondendo, tra l’altro, quelle espresse in tema di giudizio di comparazione con quelle in relazione alla determinazione della pena.

Il GUP, dopo aver evidenziato che per C.I. le circostanze attenuanti generiche si giustificavano in considerazione dell’assenza di precedenti penali o di polizia, di buon comportamento processuale e della sincera resipiscenza dimostrata e per B. in relazione all’età non più giovane, alle precarie condizioni di salute ed al ruolo sicuramente marginale svolto nell’intera vicenda, riteneva di formulare, in termini di prevalenza, il giudizio di comparazione con la contestata aggravante, in considerazione del fatto che "i soggetti oggi giudicati rappresentano l’ultimo gradino dell’articolata e ben strutturata organizzazione dedita al traffico degli stupefacenti che ha predisposto anche tutti gli accorgimenti idonei a far sì che gli stessi non potessero fornire elementi utili per l’identificazione dei livelli superiori". Il GUP, quindi, giustificava il giudizio di prevalenza in relazione al ruolo "secondario" avuto dai prevenuti (e di cui si da conto nella complessiva motivazione) e tale ruolo non era certamente in contraddizione con l’estrema gravità del fatto.

Non era, pertanto, ravvisabile sul punto alcuna contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Sicchè risulta evidente che,- la formale denuncia di illogicità della motivazione, si risolveva nel richiedere al giudice dell’impugnazione di esprimere una nuova valutazione sul punto in considerazione della "enormità del fatto", che doveva far passare in secondo ordine ogni altro aspetto (soggettivo) della vicenda. Si trattava quindi di una censura che investiva il giudizio di bilanciamento e la discrezionalità (purchè adeguatamente motivata) del giudice di merito nella formulazione dello stesso.

3.1.2.1) E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte che il giudice di merito debba, nell’esercizio del potere discrezionale attribuitogli in tema di trattamento sanzionatolo, giustificare il corretto uso di tale potere al fine di dimostrare che non sia trasmodato in arbitrio. E’ altrettanto indubitabile e pacificamente riconosciuto, però, che non sia necessaria una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente la indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri. Non è necessario, quindi, scendere alla valutazione di ogni singola deduzione essendo sufficiente che il giudice indichi, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza considerati.

Il preminente e decisivo rilievo accordato all’elemento considerato implica infatti il superamento di eventuali altri elementi, suscettibili di opposta e diversa significazione, i quali restano implicitamente disattesi e superati. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purchè congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione.

3.1.2.2) Il GUP ha esposto le ragioni che l’inducevano a riconoscere le circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza, facendo riferimento al fatto, ritenuto decisivo, del ruolo marginale ("ultimo gradino dell’articolata e ben strutturata organizzazione..") avuto dagli imputati. E tale valutazione, argomentata ed immune da vizi logici, non era censurabile in sede di legittimità.

Le medesime considerazioni valgono per la determinazione della pena, avendo il GUP fatto riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p. ed in particolare a quelli di carattere "soggettivo" di cui al comma 2. Anche sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ribadito che "In tema di determinazione della misura della pena, il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione:

tale valutazione, infatti, rientra nella sua discrezionalità e non postula una analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto" (cfr. Cass. pen. sez. 2 n. 12749 del 19.3.2008). Peraltro, nella determinazione della pena effettuata dal GUP non è ravvisatale una palese sproporzione o inadeguatezza in relazione alla estrema gravità del fatto contestato, dal momento che la pena base è stata determinata in anni 12 di reclusione ed Euro 220.000,00 di multa (e quindi in misura di gran lunga superiore al minimo edittale di anni 6 di reclusione ed Euro 26.000,00 di multa) e le circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza non sono state applicate nella massima estensione di un terzo (ma di un quarto).

3.2) Il ricorso del B. riguarda anche l’affermazione della penale responsabilità. Le censure sollevate in proposito sono però infondate, avendo i giudici di merito, ampiamente motivato, in fatto ed in diritto, sul pieno, consapevole coinvolgimento del ricorrente nella detenzione e trasporto della sostanza stupefacente. Già il GUP aveva evidenziato che a carico del B. vi era la chiamata in correità del C., le cui dichiarazioni superavano il vaglio di attendibilità intrinseca. Il C. era esente da pregiudizi penali e di polizia e fino alla perdita del posto di lavoro aveva condotto una vita irreprensibile; aveva spiegato le ragioni che l’avevano indotto a commettere il reato; non era emerso (nè era stato neppure prospettato) alcun elemento in ordine ad un possibile risentimento nei confronti del B., che non conosceva e che vedeva per la prima volta in quella occasione. Le dichiarazioni del C. risultavano, poi, esaustive, particolareggiate e disinteressate.

Inoltre aveva confessato le sue responsabilità, ammettendo anche di avere eseguito altri trasporti (circostanza quest’ultima estranea al processo e che avrebbe potuto anche tacere). Sul piano dei riscontri esterni, la chiamata in correità, oltre a trovare conferma nei tabulati, era confortata, per quanto riguardava la posizione specifica del B., dalla presenza di quest’ultimo sull’auto in cui si trovava la droga. Tale presenza assumeva un significato inequivoco, non avendo trovato alcuna, credibile e verosimile, spiegazione alternativa.

La Corte territoriale, nel rinviare a tale esaustiva motivazione della sentenza di primo grado, nel trattare congiuntamente le impugnazioni del P.G. e degli imputati, ha sottolineato ulteriormente, nel disattendere la versione alternativa del passaggio "occasionale", che non era assolutamente ipotizzabile che il C. avesse dato un passaggio ad un uomo di 60 anni, sconosciuto, che faceva l’autostop, pur avendo a bordo quel rilevante quantitativo di sostanza stupefacente, aggiungendo che " B. e C. sanno bene perchè si incontrano, essendo stati condotti l’uno ( C.) all’altro ( B.) per mezzo del sistema degli SMS in arrivo/in partenza dai telefoni che aveva in dotazione".

Il ricorrente ripropone in sede di legittimità la medesima versione "alternativa", già, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, disattesa dai giudici di merito. Le censure sollevate dal ricorrente non tengono conto, però, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione, rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006).

3.3) La sentenza impugnata va, pertanto, annullata, nella parte relativa all’accoglimento dell’impugnazione del P.M., che va dichiarata inammissibile. Ne consegue che la pena, senza necessità di un rinvio, va rifissata nella misura irrogata con la sentenza di primo grado e cioè di anni 6 di reclusione ed Euro 120.000,00 di multa per ciascuno degli imputati (secondo i calcoli effettuati a pagina 10 della sentenza del GUP).

P.Q.M.

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata limitatamente all’accoglimento dell’impugnazione del P.G. che dichiara inammissibile, nonchè alla conseguente determinazione della pena, che conferma nella misura di cui alla sentenza di primo grado.

Rigetta nel resto il ricorso del B..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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