Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 27-07-2011, n. 29968 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Il Tribunale di Sanremo, con sentenza del 12.5.2009, condannava N.A., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata, alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione per i reati di cui all’art. 605 c.p. (capo a) e art. 81 c.p., comma 2, art. 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p., n. 4 (capo b), commessi in danno di S.S..

Con sentenza dell’11.5.2010 (a Corte di Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, appellata dal P.G. e dall’imputato, escludeva le circostanze attenuanti generiche ed elevava la pena inflitta in primo grado ad anni 7 di reclusione. In ordine all’eccezione preliminare per la illegittima acquisizione ex art. 512 c.p.p. delle dichiarazioni rese dalla parte offesa, rilevava la Corte territoriale che nei motivi di appello non si contestava l’imprevedibilità della successiva irreperibilità della S. (a parte il fatto che, come correttamente argomentato dai primi giudici, subito dopo la denuncia-querela la donna era stata rimpatriata dall’organizzazione di assistenza sociale senza che il P.M. ne fosse informato), ma solo che la predetta si era volontariamente sottratta all’esame dibattimentale. Tanto premesso, riteneva la Corte che difettasse la prova di una certa ed inequivoca volontà di sottrarsi all’esame. Delle tre citazioni solo la prima era stata recapitata (con consegna al padre, di cui peraltro non era stato indicato neppure il rapporto di convivenza); non vi era, quindi, prova che la S. fosse venuta a conoscenza della citazione medesima. Quanto al merito, riteneva la Corte territoriale, richiamando anche la motivazione della sentenza impugnata, che le dichiarazioni accusatorie rese dalla parte offesa fossero pienamente attendibili in ordine alla sua segregazione in casa, al mancato autonomo possesso delle chiavi dell’appartamento, alle ripetute violenze sessuali, e trovassero, per di più, numerosi riscontri nelle risultanze processuali.

2) Ricorre per Cassazione N.A., denunciando, con il primo motivo, la erronea applicazione della legge processuale penale in relazione all’art. 512 c.p.p. e art. 526 c.p.p., comma 1 bis, essendosi la parte offesa, benchè citata per l’udienza del 5 febbraio 2008, volontariamente sottratta all’esame dibattimentale. La notifica era stata regolarmente eseguita, dal momento che il padre ne aveva curato il ritiro. Nè si comprende perchè i giudici di merito abbiano tenuto conto solo dell’ultima notifica non andata a buon fine (perchè nel frattempo la parte offesa aveva cambiato indirizzo) per ritenere che essa non si sia sottratta all’esame. A parte il fatto che dalla mera difficoltà di citazione e quindi di assunzione della prova non può farsi derivare l’impossibilità di ripetizione dell’atto.

Con il secondo motivo denuncia la manifesta illogicità della motivazione e la violazione e falsa applicazione dell’art. 192 c.p.p., in relazione alla valutazione delle dichiarazioni della parte offesa. Il principale, anzi l’unico elemento, su cui i giudici di merito hanno fondato I1 affermazione di responsabilità è costituito dalla denuncia-querela, che risulta contraddittoria ed illogica rispetto agli stessi elementi di riscontro indicati.

Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’arto par. 1 e lett. d) Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, essendo stata la sentenza di condanna fondata, in modo determinante, sulle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari da persona che si è poi sottratta all’esame dibattimentale.

Con il quarto motivo, infine, denuncia la violazione di legge e la manifesta illogicità detta motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

3) Il ricorso è infondato.

3.1) Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inutilizzabilttà delle dichiarazioni rese da S.S. nella fase delle indagini preliminari, per essersi la medesima sottratta all’esame dibattimentale.

3.1.1) Non c’è dubbio che come affermato più volte da questa Corte, "il giudizio di imprevedibilità della ripetizione debba essere ora correlato, come in una fattispecie a formazione progressiva, all’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, che, in attuazione del principio costituzionale sopra ricordato, stabilisce i criteri di utilizzabilità delle prove, acquisite o acquisibili legittimamente, ai fini della decisione; in tema di dichiarazioni la norma stabilisce che la responsabilità di un imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni di chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del suo difensore. In sostanza, se anche la prova è stata legittimamente acquisita agli atti ai sensi dell’art. 512 c.p.p., per impossibilità della ripetizione per circostanze imprevedibili, per essere pienamente utilizzata deve anche essere accertato che non vi sia la prova che il testimone si sia volontariamente sottratto all’esame delle parti" (cfr. Cass. sez. n. 23571 del 20.6.2006; Cass. sez.1 n. 18848 del 2007). "L’irreperibilità… è di per sè una situazione neutra, nel senso che le sue cause potrebbero essere le più diverse, affatto indipendenti dal processo nel cui ambito assuma rilievo, anche se è plausibile che in presenza di indici sintomatici possa essere ricondotta ad una libera e volontaria scelta di sottrarsi all’esame delle parti. Per effettuare questa riconduzione, assume certamente valore sintomatico l’avvenuta citazione del teste per l’udienza, nel senso che l’irreperibilità sopravvenuta a tale notizia può certamente assumere il connotato della libera scelta di sottrarsi all’esame. Invece l’irreperibilità sopravvenuta, non correlata a elementi che denotino una manifestazione di volontà esplicita in relazione all’obbligo di testimoniare e non correlata ad una citazione a giudizio, non può essere considerata presuntivamente come volontaria scelta di sottrarsi all’esame dell’imputato ed anzi integra un’ipotesi di oggettiva impossibilità di formazione della prova in contraddittorio (S.U. 28 maggio 2003 n. 36747, rv. 225470;

sez. 4A, 10 dicembre 2005 n. 5821, rv. 231303).

Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalla sentenza n. 43331/2007 della sezione 2: "Il giudice di merito deve, poi, accertare che l’irreperibilità sia oggettiva anche nel senso che non dipenda da una libera scelta di sottrarsi volontariamente all’esame.

Tale accertamento assume un ruolo di primo piano alla luce del principio dell’art. 111 Cost., comma 4, secondo periodo, riprodotto nell’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, aggiunto dalla L. 1 marzo 2001, n. 63, art. 19, comma 1. Questa Suprema Corte ha opportunamente chiarito, nelle pronunce più recenti, che l’irreperibilità è di per sè una situazione "neutra", nel senso che le sue cause potrebbero essere le più diverse e affatto indipendenti dal processo nel cui ambito assume rilievo (Sez. 6A, 8 gennaio 2003, n. 8384, Pontini, riv. 223731; Sez. 6A, 19 febbraio 2003, n. 18150, Bianchi, riv. 225250; Sez. 1^, 20 giugno 2006, n. 23571, Ogaristi, riv.

234281), così che ai fini della lettura ex art. 512 c.p.p. il giudice deve poter escludere che la irreperibilità del teste sia la conseguenza di una scelta del dichiarante per sottrarsi all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore, scelta che deve essere volontaria e libera da influenze esterne che la rendano non spontanea. Per indirizzare il giudice di merito nella valutazione ad esso riservata, la giurisprudenza della Corte ha messo in rilievo l’utilizzo di "indici sintomatici", quale l’avvenuta citazione del teste per l’udienza, "nel senso che l’irreperibilità sopravvenuta a tale notizia può certamente assumere il connotato della libera scelta di sottrarsi all’esame", "invece l’irreperibilità sopravvenuta, non correlata a elementi che denotino una manifestazione di volontà esplicita in relazione all’obbligo di testimoniare e non correlata ad una citazione a giudizio, non può essere considerata presuntivamente come volontaria scelta di sottrarsi all’esame dell’imputato" (Sez. 6A, n. 8384 del 2003, Pontini, cit.; Sez. 1 n. 23571 del 2006, Ogaristi, cit.). Ma, al di là degli elementi sintomatici, resta imprescindibile la dimensione dell’accertamento concreto svolto dal giudice, con riferimento alla specifica situazione di fatto. Tutti i suddetti accertamenti sono riservati al giudice di merito, il quale ha l’obbligo di adeguatamente motivare le sue decisioni per consentire la verifica del rispetto puntuale dei principi e dei criteri sopra formulati.

Poichè le verifiche concernenti l’irreperibilità e le sue cause integrano i presupposti per l’applicazione dell’art. 512 c.p.p., si può affermare che esse riguardano "fatti da cui dipende l’applicazione di norme processuali" ( art. 187 c.p.p., comma 2), così che il giudice può avvalersi di tutti i dati utili per effettuare una simile verifica". 3.1.2) Confutando i rilievi difensivi, ha ritenuto (a Corte territoriale, con accertamento in fatto argomentato ed immune da vizi logici, che dagli atti non emerga alcun elemento da cui desumere che la teste abbia voluto deliberatamente sottrarsi all’esame dibattimentale.

Ha rilevato, infatti, risultando pacificamente che la seconda e la terza citazione non erano andate a buon fine, che neppure dalla prima citazione potevano trarsi argomenti per affermare che la S. fosse venuta a conoscenza della citazione medesima perchè: a) manca dal padre, che ha ricevuto la notifica dell’atto, la dichiarazione di un rapporto di convivenza; condizione questa necessaria e sufficiente per radicare la presunzione della sussistenza di tale rapporto e conseguentemente della consegna dell’atto medesimo al destinatario;

b) non vi è prova che la p.o. sia venuta altrimenti a conoscenza dell’atto. Su tali presupposti ha ritenuto quindi, correttamente, che le dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dalla S. fossero pienamente utilizzabili, in quanto: 1) la donna, dopo il suo ritorno in Romania, non era stata più reperita; 2) la sua irreperibilità non era prevedibile; 3) non vi era prova di una sottrazione volontaria all’esame dibattimentale.

3.2) Le ulteriori doglianze sollevate con i motivi di ricorso in ordine alla valutazione del materiale probatorio non tengono conto che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. E’ necessario cioè accertare se nell’interpretazione delle prove siano state applicate le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciarle, deve quindi essere evidente e tale da inficiare lo stesso percorso seguito dal giudice di merito per giungere alla decisione adottata. Anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. c), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione, rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr.

Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006). Tale controllo, però, non pud "mai comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi ed idonei ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito" (così condivisibilmente Cass. pen. sez. 2 n. 23419/2007-Vignaroli).

3.2.1) La Corte territoriale, rinviando anche alla motivazione della sentenza impugnata, ha esaminato approfonditamente le dichiarazioni rese dalla parte offesa, anche alla luce delle deduzioni contenute nei motivi di appello, ed è pervenuta alla conclusione che esse debbano ritenersi, pur in presenza di alcune contraddizioni, pienamente attendibili. Ha dato, poi, una spiegazione ragionevole e plausibile, tenuto conto anche del contenuto delle intercettazioni, al ritardo della denuncia, al comportamento della S. ed a quello dei genitori in Romania, determinato e condizionato dalla paura che incuteva "il N. ed i suoi compari".

Ha inoltre evidenziato la Corte di merito, richiamando la pacifica giurisprudenza di legiittimità, che, pur essendo le dichiarazioni della parte offesa idonea a sorreggere da sole l’affermazione di penale responsabilità, nel caso di specie esse siano confortate da numerosi riscontri esterni, in particolare in relazione: a) alla segregazione in casa; b) al mancato autonomo possesso delle chiavi dell’appartamento; c) al sequestro del passaporto; d) alle intercettazioni telefoniche; e) ai tabulati telefonici.

A fronte di tale articolata ed esauriente motivazione le censure formulate dal ricorrente contengono sostanzialmente una richiesta di riesame delle risultanze probatorie per inferirne una (non consentita nel giudizio di legittimità) diversa ed a lui più favorevole lettura.

3.2.2) Essendo, quindi, l’affermazione di responsabilità fondata non esclusivamente sulle dichiarazioni della parte offesa (acquisite ex art. 512 c.p.p.), ma su numerosi elementi esterni, in precedenza evidenziati, desumibili dalla documentazione acquisita, dalle testimonianze degli operanti Ten. C., M.llo M., M.llo St., dagli accertamenti di p.g. trasfusi nelle relazioni di servizio acquisite ex art. 507 c.p.p., dal contenuto delle intercettazioni telefoniche (in particolare conversazioni tra N. A., C.V. e tale G. identificato in Na.Ge.) – cfr. anche sent. Trib. pag. 6 e ss, non vi è alcuna violazione dell’art. 6, par. 1 e art. 3, lett. d) Conv. europea dei diritti dell’uomo.

Come riconosce lo stesso ricorrente, non sussiste tale violazione "qualora la condanna sia stata fondata anche su una serie di altri elementi, letti in congiunzione con le suddette dichiarazioni".

L’art. 6 della Convenzione, invero, per costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non disciplina le fattispecie acquisitive degli elementi di prova e non detta regole di esclusione, che sono riservate alle leggi e ai giudizi nazionali, ma pone limiti alla loro utilizzazione e valutazione in danno dell’imputato, da ciò l’affermazione che "i diritti della difesa sono ristretti in maniera incompatibile con le garanzie dell’art. 6 quando una condanna si fonda esclusivamente o in misura determinante su deposizioni provenienti da una persona che l’imputato non ha potuto interrogare o fare interrogare nè allo stadio dell’istruzione nè durante il dibattimento" (Craxi c. Italia cit; Luca c. Italia cit.; A.M. c. Italia cit; De Lorenzo c. Italia, 12 febbraio 2004, n. 69264/01).

Ecco perchè, ancora di recente (Bracci c. Italia, 13 ottobre 2005, n. 36822/02), la Corte di Strasburgo ha ritenuto di non dovere esaminare se l’irreperibilità di testimoni extracomunitari in situazione irregolare in Italia costituisse o meno una impossibilità sopravvenuta ed imprevedibile di ripetizione dell’esame ai sensi dell’art. 512 c.p.p., ritenendo, con riferimento ad un capo di imputazione, che la lettura delle dichiarazioni predibattimentali di un testimone non avesse violato l’art. 6, pp. 1 e 3, lett. d) della Convenzione, poichè tale dichiarazione aveva portato alla condanna dell’imputato solo in quanto valutata "in congiunzione" con altri elementi di prova; mentre, con riferimento ad altra imputazione, l’utilizzo delle dichiarazioni predibattimentali di altro testimone aveva comportato la violazione della norma convenzionale, perchè la condanna dell’imputato era stata pronunciata "esclusivamente sulle dichiarazioni rese dalla vittima prima del processo".(cfr. Cass. pen. n. 43331/2007 cit.).

3.3) Infine, destituito di fondamento è anche l’ultimo motivo di ricorso in relazione alla esclusione, in accoglimento dell’appello del P.G., delle circostanze attenuanti generi che. E’ pacifico che, ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, il giudice di merito deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tal fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso far riferimento.

La concessione delle circostanze attenuanti generi che è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, che deve motivare nei soli (imiti atti a far emergere, in misura sufficiente, la sua valutazione. La Corte territoriale ha correttamente ed adeguatamente motivato in ordine alla esclusione di tale beneficio.

Dopo aver dato atto che la motivazione sul punto della sentenza impugnata risultava espressa "in termini di graziosa concessione, atta a fronteggiare una pena di legge non condivisa dal Tribunale", ha evidenziato che il prevenuto non risultava assolutamente meritevole del concesso beneficio in considerazione "della consistente gravità del fatto e delle connotazione della condotta, indicative della spiccata capacità a delinquere del soggetto". E dalla complessiva motivazione della sentenza risultano ampiamente delineate la gravità dei fatti e la personalità "negativa" dell’imputato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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